domenica 24 settembre 2023

"Le Evocazioni" di Guido Ruberti

 Le Evocazioni (sottotitolo: Odi) è il titolo della seconda ed ultima opera poetica di Guido Ruberti (Roma 1885 – ivi 1955). Poeta soltanto in gioventù, Ruberti appartenne al gruppo o cenacolo di poeti romani che avevano, quale punto di riferimento e guida spirituale, Sergio Corazzini: poeta crepuscolare per eccellenza, morto appena ventunenne a causa della tisi. Ruberti fu amico di Corazzini, e quest’ultimo a lui dedicò un paio di poesie. Le Evocazioni è un volumetto di 96 pagine, che fu stampato a Roma, nel 1909, dalla Casa Editrice Centrale. Al suo interno si possono leggere 27 poesie di Ruberti, suddivise in tre sezioni. La prima di queste, che non ha titolo, ne comprende solamente quattro: Il Pendolo; Monte Cavallo; Dopo il veleno; Il faro. Nella seconda sezione, che è la più corposa, si trovano alcune tra le migliori composizioni poetiche del Nostro, in cui è facile ritrovare quelle particolari atmosfere care ai poeti crepuscolari; ecco tutti i titoli delle poesie qui presenti: Mattino di pioggia; Domenica; Chopin: notturno; Nevrastenia; La Devota; I suicidi; All’amica lontana; Anemica; Il soliloquio di Lady Currie; A Marcella; Case in demolizione; L’infanticida; Nell’arsenale di Spezia; Alla soglia…; Alla luce; Vas spirituale; Nozze di sangue; Il ratto. L’ultima sezione - a mio avviso la meno interessante del volumetto - s’intitola Sonetti, e comprende i seguenti componimenti poetici: Volontà; La città dei venti; La città della pietra; L’astronomo; Per un ritratto di Napoleone. La seconda e la terza poesia dell’ultima sezione sono composte da tre sonetti ciascuna. Chiudo, con la trascrizione di un testo poetico appartenente alla seconda sezione, dove, come già accennato in precedenza, si notano delle peculiarità che avvicinano Ruberti al crepuscolarismo, di cui in sostanza fu un esponente minore.

 

 


 

 

A MARCELLA

 

Marcella, che cosa hai tu fatto

dal dì che spezzammo l'incanto

d'amore in reciproci inganni?

Discesa è la torma degli anni

qual orda di barbari in preda...

Ma quanti! perch'io ti riveda

bisogna che levi una pietra

da questa mia sepoltura

e senta, becchino, il ribrezzo

de la putredine oscura

e invano tenti il labirinto

di un sotterraneo estinto.

 

Tu, già non rammenti... stamane

sfiorandomi quasi per via

andasti impassibile e muta;

ma non forse una nostalgia

ti assalse siccome una acuta

fragranza di sale rinchiuse

da tempo, una strana malia?

 

Marcella, che cosa hai tu fatto

dal dì che eravamo fanciulli

e le anime come trastulli

spezzammo per noia al finire

di un sogno? Che cuore! che fede!

Mutammo già tanto? di udire

mi sembra una voce ascoltata

nel regno delle ombre: il tuo viso

è men che uno spento sorriso...

Oh come la vita è passata,

fanciulla, e non siamo gli stessi

di quelli che fummo una volta:

la nostra memoria è sepolta.

 

Marcella, che cosa hai tu fatto

dal dì che spezzammo l'incanto?

la grave opulenza ha disfatto

il giovine corpo; e la mente?

i saggi consigli che accanto

ti sussurrai scaltramente!

tu certo obliati non gli hai,

poiché l'innocenza è sfiorita...

io guardo, sorrido, che mai

trovata ho sì gaia la vita.

 

L'antica vergogna fu come

un morbo di primavera,

che l'anima n'esce leggera

e aspersa da puro lavacro.

Marcella, passandoci accanto

ormai che ne val ricordare?

tu più non sapresti arrossare

io più trovar pianto.

 

(da "Le Evocazioni", Casa Editrice Centrale, Roma 1909, pp. 50-51)

 

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