domenica 17 settembre 2023

10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo contro la caccia

 

Il cacciatore uccide sempre per giocare

(Francesco De Gregori)

 

Mi sono sempre chiesto perché, ai tempi nostri, tanti esseri umani si dedichino ancora alle attività di caccia e pesca, quando è facile procacciarsi il cibo in tutt’altra maniera. Risulta evidente che chiunque vada a caccia di animali – quasi sempre questi ultimi sono piccoli e pressoché indifesi – lo fa solamente per divertimento personale; ma come è possibile divertirsi uccidendo degli esseri viventi come noi? Ovviamente io non me lo so spiegare; so soltanto che l’uomo, in tempi lontanissimi, cacciava per procurasi il cibo necessario a vivere, e per tale motivo la caccia era comprensibile; quei tempi sono finiti da svariati secoli, ma l’uomo prosegue ad esercitare questa attività, giustificato e perfino protetto dalla legge. Qui si possono leggere dieci poesie scritte da dieci poeti italiani che, più o meno apertamente, si dichiarano contrari alla caccia. In verità ve n’è qualcuno che ammette di essere un cacciatore, ma guardando un povera colomba colpita dalla sua arma, agonizzare e poi morire, si pente di tutti quei piccoli delitti che ha compiuto andando a caccia per anni e anni. Un altro poeta non si capacita che un suo collega ed amico possa, sorridendo, puntare il suo fucile contro un uccellino e colpirlo a morte con soddisfazione. La poesia di Alessandro Parronchi – che per me è di gran lunga la migliore delle dieci – afferma in maniera ineccepibile ciò che io e chissà quanti altri come me pensano riguardo alla caccia, ed esorta gli uomini affinché la finiscano di togliere la vita in modo crudele a degli esseri viventi che non li disturbano minimamente, e anche se lo facessero, ci sarebbe certo un motivo, mentre appaiono immotivati molti dei comportamenti violenti cui sono soliti dedicarsi gli umani. Ma la realtà – triste ammetterlo – è che l’uomo continuerà sempre a cacciare ed a pescare, e non serviranno versi, parole o suppliche di qualsiasi genere a farli desistere da questi comportamenti ingiustificabili; soltanto la legge può intervenire, punendo severamente chi, ai giorni nostri, ancora si diletta nell’uccidere degli esseri viventi.

 

 

10 POESIE CONTRO LA CACCIA DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

 

Da "PER PARTITO PRESO"

di Fernando Bandini (1931-2013)

 

2

Un milione di cacciatori

hanno sterminato i pettirossi

colmandone i carnieri.

 

I concimi chimici hanno ucciso gl'insetti

fino all'ultima larva

sotto la foglia caduta dell'ultimo acero.

 

Ma i pettirossi si avvicinano fiduciosi alla casa

dell'uomo dove c'è un water-closet,

si avvicinano al mese dell'ultimo tuono.

 

E tutto rispunterà,

marciume di foglie e garrito,

dal velo delle piogge autunnali.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 2018, p. 29)

 

 

 

 

COLOMBA FERITA A MORTE

di Luigi Bartolini (1892-1963)

 

Tale nel verde tappeto, delle erbe,

nel bosco crogiolava la sua ferita,

rossa specie nel collo che singultava

la colomba non vide più oltre al suo cerchio di morte.

Le ali falcate si dischiusero; tremò il suo corpo;

le zampe di corallo a lungo vacillarono.

Crudele era stata la mortale ferita.

 

II

(Per plaghe abbacinanti d'un'estate selvaggia

così io fui: cacciatore crudele che uccise e uccise.

Vita che, barbaro, tolsi ai gaudiosi uccelli).

 

(da "Poesie 1911-1963", Rebellato, Padova 1964, p. 168)


 

 

 

AD UN POETA CACCIATORE

di Enrico Braccesi (1882-?)

 

Tu puntasti il fucile

atteggiando la faccia ad un sorriso,

già pregustando in cuore

il cadere d'un povero uccellino

per la tua mano ucciso.

Ma non volli veder, non volli udire,

non volli maledire...

e tornai indietro, assorto,

pregando Dio che il piccolo cantore,

no, non cadesse morto.

 

Un poeta non può, non deve uccidere;

un poeta non può fare soffrire,

egli non può mentire.

Anche una goccia, anche una goccia sola

di sangue, che per te macchiò la terra,

offuscherà per sempre

i giorni tuoi sereni.

Lascia ad altri spezzare il canto in gola

al piccolo cantore;

tu no: tu non devi.

 

   Firenze, 24 gennaio 1927.

 

[da "Liriche (1905-1928)", Edizioni "La Cavalcata", Firenze 1929, pp. 35-36]

 

 

 

 

IL FAGIANO

di Giorgio Caproni (1912-1990)

 

  Cercavo «il fagiano».

O, forse, era «il fagiano»

a cercar me?

 

            La mano

esitava.

 

        Sparai.

Forse sparò lui. O un altro.

 

  S'io caddi (chi cadde),

non l'ho saputo mai.

 

(da "Poesie 1932-1986", Garzanti, Milano 1993, p. 544)

 

 

 

 

CACCIA

di Bartolo Cattafi (1922-1979)

 

Non ti aspetta in aria

vola

mira più alto e più avanti

mentre tiri egli vola

traiettoria più alta

e il piombo portalo più avanti

per l’impatto

la resistenza dell’aria

velocità distanza

sempre più avanti e più in alto

rincorrilo

finché non ti trovi

stranito

in terra tramontana

trasmarina

e non siete gli stessi

in un pallido cielo

lui non vola

tu non spari.

 

(da “Marzo e le sue Idi”, Mondadori, Milano 1977, pp. 102-103)

 

 

 

 

ANEDDOTO

di Libero De Libero (1906-1981)

 

All'alba scherzose pernici

mi destarono e felici

della tornata luce

al campo di stoppie m'invitarono.

Seguii di pernici la brigata

che amano pietrosi luoghi

e in dono ne portano colore,

il mio ozio era d'amore.

A meriggio stavano dilette

pernici dietro la siepe,

venne il cacciatore.

 

(da "Le poesie", Bulzoni, Roma 2011, pp. 266-267)

 

 

 

 

CACCIA

di Mario Luzi (1914-2005)

 

Che mare livido nelle sue rincorse contro i muri a fil di piombo dei bunker,

che branchi d'uccelli attesi al passo od al ritorno

gridano più d'ogni altra volta: «È autunno,

è il tempo di tua nascita a questa vita» nell' ora che a uno a uno

cadono uccelli sotto il piombo, prendono

vento lungo la caduta, ed a perdita d'occhio la foresta

lascia di ramo in ramo foglie, lembi

di fuoco, brani di vita ancora palpitante tra le piume.

 

Ora e qui, dove il cane alza la starna

e talvolta per una breve tappa

di ore si attendano i re zingari

nel viaggio tra borgo e borgo, e foglie

e uccelli stanziali e migratori,

lievi e grevi, s'abbattono sul suolo

fradicio, non ancora freddo, tempo

di mia nascita e insieme tempo e luogo

per ricordare i miei morti per forza,

i miei caduti sotto il piombo - poco

prima i miei padri, dopo i miei fratelli -

m'investe a fiotti in pieno viso il vento

di vita e tutt'uno di rapina

e di morte, mi mozza il fiato, mentre

levo le mani a questi alberi e spicco

frutti per la mia cena ancora avido.

 

«È il tempo di tua nascita». Riposano,

muoiono nella vita, essi, periscono

nell'avvenite; e il festoso, l'oscuro si diffondono

per foglie morte, per ali inerti come piombo

a vincere e a espiare tutto quel che ha avuto fine.

 

(da "Tutte le poesie", Garzanti, Milano 1993, p. 280)

 

 

 

 

LA CACCIA

di Eugenio Montale (1896-1981)

 

Si dice che il poeta debba andare

a caccia dei suoi contenuti.

E si afferma altresì che le sue prede

debbono corrispondere a ciò che avviene nel mondo,

anzi a quel che sarebbe un mondo che fosse migliore.

 

Ma nel mondo peggiore si può impallinare

qualche altro cacciatore oppure un pollo

di batteria fuggito dalla gabbia.

Quanto al migliore non ci sarà bisogno

di poeti. Ruspanti saremo tutti.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1996, p. 503)

 

 

 

 

CONTRO LA CACCIA

di Alessandro Parronchi (1914-2007)

 

L'aria è dolce, il cielo coperto.

Nella campagna inanimata

da stamani, domenica invernale,

sparano ininterrottamente.

Che uccideranno?

 

Discendo da una famiglia di cacciatori.

Mio padre stava fuori l'intero giorno

per riportare, a sera, una ghiandaia.

Tirava d'imbracciata

maledettamente bene.

Ma so che appena avuto l'animale

gli avrebbe reso vita volentieri.

Il suo non era gusto di uccidere

ma di cercare e scovare una preda.

Lo so ben io, che preda e ricerca

ho trasferito in parole ed immagini.

Devo a lui se ho conosciuto la selva

quando ancora esisteva e era possibile

ascoltarne l'inconscio respiro.

Ora non più. I boschi sono orti.

E l'istinto di uccidere si esercita

su passerotti dall'ali mozze

scampati a qualche tiro d'inesperto.

 

Non uccidete il cucùlo che segnala

il va e vieni della primavera

senza di che non so più orientarmi.

Non uccidete la tortora che cola

al molle filtro il grigio delle nuvole.

Non uccidete il merlo

ubriaco del mosto del crepuscolo.

Non uccidete la ghiandaia che tra nero

e bianco stringe al petto l'azzurro.

Non uccidete la lepre occhi e orecchi

spuntati sul sentiero.

Non uccidete la biscia d'erba viva

non sfrangete il piccolo cuore della lucertola

non uccidete la futile farfalla

né il ragno laborioso

né il rospo filosofo indifeso.

E se tutti questi sono morti?

Non avrete che larve

pei vostri fucili automatici.

 

(da “Diadema. Antologia personale 1934-1997”, Mondadori, Milano 1998, pp. 126-127)

 

 

 

 

BATTUTA DI CACCIA

di Lucio Pisani (1930-2018)

 

La folaga impazzita

al secco scoppio

dello schioppo infido

non trovò tempo e modo

a una ragione

che il secondo omicida

il volo estinse.

L'improbabile cielo

in cui fu vortice

e nella guazza tonfo

la caduta

il livido scenario

sulla morte.

Come folaga in volo

l'esistenza

che all'improvviso colpo

senza scoppio

patisce più che il rischio

la paura.

 

(da "Interno d'autore", Genesi Editrice, Torino 1984, p. 28)

 

 


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