domenica 17 maggio 2020

Poeti dimenticati: Cesare Giulio Viola


Nacque a Taranto nel 1886 e morì a Positano nel 1958. Dopo la laurea in legge iniziò a scrivere per vari giornali interessandosi principalmente di teatro e di letteratura. Fu romanziere, commediografo e sceneggiatore cinematografico. Compose versi in gioventù e pubblicò una raccolta: L'altro volto che ride, in cui è facile notare una assidua presenza di atmosfere fosche e macabre che lo avvicinano alla poesia degli scapigliati.



Opere poetiche

"L'altro volto che ride", Ricciardi, Napoli 1909.





Testi

L'ALTRO VOLTO CHE RIDE

Uomo che ascolti, se un giorno, un tuo pazzo fratello
affondasse nel bianco tuo volto un aguzzo scalpello,
e scavasse,
feroce scavasse ne l'umida faccia cruenta la carne tua molle,
a vuotarti le cave terribili occhiaie,
a slargarti la bocca in immonde ferite,
a scuoiarti la cute villosa del cranio; -
- fra il rosso fluire del sangue,
fra il multiplo intrico di tutte le fibre ritorte, -
imagine tetra da te balzerebbe il tuo teschio giallastro,
sul folle tuo grido di strazio e di morte;
e al guardo febrile di quei che infrenabile squarta ed uccide,
beffardo, apparrebbe, ghignando,
l'Altro volto che ride.
Poeta selvaggio, nel breve cammin di mia vita mortale,
più che l'aratro puntuto per l'aride zolle,
più che la falce lunata alla fulvida messe,
più che l'autunno ferale pei rami de l'arbori macre,
più che l'aratro e la falce e l'autunno
io mi fui per l'effimere maschere umane.
Uomo! predando passai sul tuo pallido viso,
come il largo torrente pei fertili piani,
quando dei torbidi cieli cavalcano sopra l'attonita terra,
a torme, gli uragani.

Ed ora - nudata del carneo suo guscio l'ambigua tua faccia -
d'innanzi al mio cuor di sparviero,
Uomo!
perduto hai, per sempre, il tuo grande mistero.

Che gli occhi tuoi, gonfi di lacrime,
piangano il pianto più amaro
di tutte le più desolate sciagure del mondo;
che s'apra la bocca tua rossa
al riso più chiaro-squillante
del cuor più giocondo;
irrida il tuo sguardo sottile
o adocchi la preda, o carezzi il pugnale omicida;
s'aderga la tua larga fronte,
protesa in un sogno d'accesa vittoria;
t'esalti il più nobile grido di sfida,
t'accasci il più fosco tormento
di nostalgia,
ti strozzi l'estremo terribile rantolo
dell'agonia,
Uomo! a tuo scherno indelebile,
ne la tua carne polita, ti beffa, celato, il sarcastico viso
che ghigna all'alterna vicenda
della tua vita
quello che un dì riderà, nella fossa, al tuo lento
disfacimento;
quello che un dì mireranno, devoti,
superstite effige dell'avo glorioso,
i tardi nepoti.

Pure d'innanzi al fatale sigillo
che segna la tua poderosa mascella,
Uomo! poeta selvaggio, io ti grido:
- Se il cuore ti basti e l'ingegno,
sii tu della saggia Natura, più grande e più forte:
dischiudi il tuo labro sottile a un sorriso di sdegno,
di fronte alla Vita e alla Morte. -

(da "L'altro volto che ride")

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