domenica 16 giugno 2019

Poeti dimenticati: Luigi Conforti


Nacque a Torino nel 1854 e morì a Napoli nel 1907. Figlio di Raffaele, famoso avvocato, patriota e politico (fu ministro di Grazia e Giustizia per diversi anni nella neonata nazione italiana), studiò a Siena e ivi si laureò in giurisprudenza; si spostò quindi a Firenze e nel capoluogo toscano iniziò i suoi studi letterari. Trasferitosi infine a Napoli, nella città partenopea trovò un impiego dapprima nel Banco di Napoli, poi al Museo Nazionale, dove trovò il modo di occuparsi anche di archeologia. È autore di libri di storia napoletana e di versi; questi ultimi, quasi tutti dalla struttura poematica, si distinguono per una evidente propensione verso il paganesimo, unita ad una spiccata tendenza verso il romanticismo e l'erotismo.



Opere poetiche

"Pompei", Pierro, Napoli 1888.
"Esperia", Vecchi, Trani 1889.
"Poema dei baci", Pierro, Napoli 1892.
"Poema della passione", Chiurazzi, Napoli 1898.
"I dodici Cesari", D'Auria, Napoli 1902.
"La Spiaggia delle Sirene", Marzano, Napoli 1905 (1910²)
"Sibari", Pironti, Napoli 1907.




Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (p. 116).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. V, pp. 49-53).




Testi

DIONISIACA

O cagne de la rabbia andate, andate
al monte, dove il coro
de le figlie di Cadmo furioso
move la danza bacchica; agitate
dei veli l'ampie spire
in orgia di baccanti.
Da la cima rocciosa, ove s'inalza
il sacro albero, erranti
le Menadi vedrete a le montane
balze discender ebbre,
agitando dei cembali
sonanti i crepitacoli.
Chi lor fu madre? Nate
da fiera leonessa o da gorgone
ne le libiche tane,
insaziate di lascivia, alternansi
quai bisce in sozzi talami,
che non le partorir viscere umane!
Chi son queste femine,
che mai non furon vergini?
Esse sen vanno in corsa scapigliata
in lunga teoria, là sovra l'erte
del Citerone e vanno ognor ne l'ansia
di nove ebbrezze,
invase da lo spirito del Dio.
Quando scintilla il vino
su per le coronate
mense, i colmi boccali
chiamano a l'orgia i cori vendemmiali
di Cadmo; sotto i pini
le dissennate figlie, cui nel fianco
arde la voluttà, fatta di morsi
di vipere e assetate
tigri, quando a Penteo
diedero strazio con l'ugne voraci.
E canti Bromio ardito:
La vita ha breve fine,
e chi l'eletta mente
volge a sublimi cure,
non consegue il presente.
Altro non v'ha per noi che il dolce oblio
dei mali, e lo concede amor soltanto!...
A le donne, che Bacco ama, ed è vanto
piacere ai giovinetti,
da le ricciute chiome
e vellutate guance,
fragranti di disio,
dolce è sfrenar le bianche
membra nei baci inconsci de l'oblio.
Il Dio con tempia carche
di draghi in serti ed angui,
d'edera i crin conserti,
per la distesa ascolta
il suon dei timballi,
e grida: A le sorgenti
del foco entro a le maschie
viscere, o ditrambo,
disfrena le tue molli
spire al vischio dei baci.
Il racemoso Iddio chiede ai celesti
non più che sonno e oblio?...

(da "Sibari")

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