domenica 23 giugno 2019

Le prostitute in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo


Viene definito, un po' ironicamente e un po' sarcasticamente, "il mestiere più vecchio del mondo"; ma è veramente un mestiere quello della prostituta? Certamente sono considerate delle lavoratrici tutte coloro che offrono il loro corpo in cambio di un compenso in denaro e che sono state legalizzate e regolarizzate da alcuni stati europei e non; comunque, personalmente rimango perplesso nel pensare che si possa considerare un lavoro come un altro il prostituirsi. Al di là di queste considerazioni, nella maggior parte delle poesie presenti in questo post, le prostitute sono descritte e considerate con umanità e comprensione. A volte si nota anche una buona dose di pietà verso queste donne; una pietà cristiana che non si discosta da quella, come recita il Vangelo, di Gesù nei confronti di un'adultera che stava per essere lapidata. C'è anche chi le guarda con curiosità, chi le provoca e le ferisce per poi piangere insieme a loro, e infine chi, nostalgico, rimpiange i tempi in cui esistevano quegli edifici definiti postriboli, in cui vivevano gruppi di prostitute e in cui gli uomini potevano sfogare senza problemi di sorta le loro esigenze sessuali.




ANGELA
di Umberto Bellintani (1914-1999)

Piace il tuo parlare, Angela,
venditrice dell'amore:
c'è il buono di un'anima cristiana,
dolce di cose, del buono della vita.
E c'è tanto della mamma nei tuoi occhi
di benevolo nero;
e chi ti prende, di poi si vergogna.

(da "Nella grande pianura", Mondadori, Mialno 1998, p. 50)




LA DONNA DEL TRIVIO
di Mario Bètuda (?-?)

Conosco una donna da trivio. Giovane.
Forse non ha trent'anni;
ma che ha vissuto una lunga vita d'affanni.

Si dona a chi paga, inerte: materia che vale quello che prende.
È bella ed ha molti ammiratori,
che richiedono i suoi pagati favori.
Io la conobbi una nera sera di pioggia.
Ero triste sconsolato affannato.
Lo conobbe.
Mi mise una mano, lenta e calda fra i capelli,
e, che hai? mi disse. Sei mesto? Hai pianto? D'amore?
Ho pianto anch'io, tanto!

Da quella sera l'amai. L'amai di un amore
dolce soave pudico fraterno; che mi vive nel cuore
come una stella nel cielo oscuro: puro.
Non l'ho mai posseduta, né mai l'avrò,
ed ella m'è grata della rinuncia che fo.
Mi comprende.
Talvolta la bacio di un lungo bacio fraterno in mezzo la fronte.
Freme.
Dopo, mi guarda a lungo, e dentro l'occhio
— fonte di un'anima sincera — trema e si ferma una lagrima.

E mi sorride mesta: le sorrido.
È una festa il mio sorriso al suo cuore.

È una donnaccia da trivio, dicono.

Io vi grido in faccia, oneste che condannate,
che l'anima di quella donnaccia
vale l'anime vostre tutte, raccolte in una.
Voi aveste fortuna: ella non ebbe fortuna.

(da "I Poeti Futuristi", Edizioni Futuriste di «Poesia», Milano 1912, pp. 100-101)




A UNA TROIA DAGLI OCCHI FERRIGNI
di Dino Campana (1885-1932)

Coi tuoi piccoli occhi bestiali
Mi guardi e taci e aspetti e poi ti stringi
E mi riguardi e taci. La tua carne
Goffa e pesante dorme intorpidita
Nei sogni primordiali. Prostituta...
Chi ti chiamò alla vita? D’onde vieni?
Dagli acri porti tirreni,
Dalle fiere cantanti di Toscana
O nelle sabbie ardenti voltolata
Fu la tua madre sotto gli scirocchi?
L’immensità t’impresse lo stupore
Nella faccia ferina di sfinge
L’alito brulicante della vita
Tragicamente come a lionessa
Ti disquassa la tua criniera nera
E tu guardi il sacrilego angelo biondo
Che non t’ama e non ami e che soffre
Di te e che stanco ti bacia.

(da "Opere", Tea, Milano 1989, p. 153)




BALLATA INCOMPLETA
di Ennio Flaiano (1910-1972)

Luana, dov'è Marilù?
Dove sono Fatima e Lia?
Dov'è la bella Bijou,
che fu l'amante mia?
Dove sono Bologna e Taitù,
la Spagnola, Ferrara e Rovigo?
E, Strana, dove sei tu?
Vorrei scriverti un rigo.

                          Principe, questo è l'intrigo:
                          il piacere e ginnosofia.
                          Dov'è dunque l'amante mia? 
                          Vorrei scrivere un rigo.

(da "Poesia satirica nell'Italia d'oggi", Guanda, Parma 1964, p. 120)




COLOMBINA PROSTITUTA
di Corrado Govoni (1884-1965)

Non ama più il romanticismo epistolare
e i baci inzuccherati come dei confetti;
all’erba molle preferisce i duri letti
insonni e affaticati dentro il lupanare.

Si concede a chi vuole: se si fa pagare
non guarda pel sottile con gli amanti eletti.
E si presenta sotto mille vari aspetti,
donna moderna dalle voluttà più rare.

Il colore dei suoi capelli è materiato
di ruggine di vecchia spada sanguinosa,
e di fulvo liturgico oro saccheggiato.

L’incendio dei suoi occhi sembra che s’estingua
palpitando nell’orgia libidinosa
della rossa marea dalla sua lingua.

(da "Fuochi d'artifizio", Quodlibet, Macerata 2013, p. 118)




ALLO SVOLTO D'UNA VIA
di Pietro Mignosi (1895-1937)

Allo svolto d'una via
una prostituta. Preparo
la mia corazza d'orgoglio:
ho gli occhi crudeli e non guardo.

Aspetto che tenti,
aspetto i suoi occhi.

Ma quella donna è passata
ed ha sorriso ad un bimbo.

(da "Dialetica", Priulla, Palermo 1924, p. 45)




LE CORTIGIANE
di Fausto Maria Martini (1886-1931)

Cortigiane sfacciate, le Parole
ballano oscenamente innanzi al trono:
il re Pensiero inorridisce al suono
delle loro voci: il vecchio re non vuole

d'intorno maledette cortigiane
con flaccide mammelle, e labbra smorte:
le trarrà, come Cristo, dalle porte
del Tempio, fino nelle loro tane!

Fuggendo verso un'altra Primavera
di sogno, il vecchio s'è dimenticato
del suo povero trono desolato,
delle sue grucce e della tabacchiera...

(da "Panem nostrum...", Cromo-Tipografia Commerciale, Roma 1907, p. 47)




ZELIDE
di Marino Moretti (1885-1979)

I.
Malinconia del lastrico affollato
d'ombre rapide in ora solitaria,
mentre le nari cercano nell'aria
odor di bocche e odore di peccato,

fila di lune elettriche sospese
su la via fredda di bagliori, luce
bianca del sogno che ora mi conduce
alla soglia di un mistico paese...

II.
Due lire?... Ah, non guardarmi, non volere
ch'io ti fermi nel vicolo deserto
per domandarti con un guardo esperto
quanto costa un minuto di piacere,

quanto costa il tuo sguardo che si vela
sotto l'urgenza di supini amplessi...
Forse poco: due lire... Ah, s'io ti dessi
un po' d'amore e un po' di parentela?

III.
Malinconia del vicolo che ascolta
nel suo silenzio di mendico attento
la voce varia che gli porta il vento
dalla prossima strada, a volta a volta...

Malinconia della gran luna sola
altosospesa senza ferreo filo...
Passa nell'ombra un pallido profilo,
un brivido, un accento, una parola...

IV.
Ài detto il nome mio! Nome e cognome!
Tu mi conosci! Ti conosco anch'io!
O creatura, ài detto il nome mio,
ed io ricordo - Zelide - il tuo nome!

Siam d'un paese solo: e una segreta
cura affrettò la nostra dipartita:
soffrimmo, amammo, e poi... e poi... (la vita!)
tu prostituta ed io... non so, poeta...

V.
Malinconia d'un brivido che scruta
l'intime fibre e afferra i sensi e dà
un desiderio di felicità
a chi non l'ebbe ed a chi l'à perduta...

Tu mi sorridi e dici il nome mio
con una voce quasi un po' contrita...
Soffrire, amare, e poi... e poi (la vita!)
soffrire ancora... E sia, Zelide. Addio.

(da "Poesie di tutti i giorni", Ricciardi, Napoli pp. 66-68)




PIETÀ
di Renzo Pezzani (1898-1951)

Sotto la luce del lampione attese
«Vieni» - mi disse - «ho fame...» e si protese
come a donarsi.
Un senso di profonda
pietà m'assalse...
avrei voluto correre, fuggire,
non averla incontrata
e lasciarla morire...
         L'alma s'è ribellata:
         l'ho goduta nel buio e l'ho salvata.

(da "Ombre", M. Fresching, Parma 1920, p. 21)




MAGRA DAGLI OCCHI LUSTRI...
di Camillo Sbarbaro (1888-1967)

Magra dagli occhi lustri, dai pomelli
accesi,
la mia anima torbida che cerca
chi le somigli
trova te che sull’uscio aspetti gli uomini.

Tu sei la mia sorella di quest’ora.

Accompagnarti in qualche osteria
di bassoporto
e guardarti mangiare avidamente!
E coricarmi senza desiderio
nel tuo letto!

Cadavere vicino ad un cadavere
bere dalla tua vista l’amarezza
come la spugna secca beve l’acqua!

Toccare le tue mani i tuoi capelli
che pure a te qualcuno avrà raccolto
in un piccolo ciuffo sulla testa!
e sentirmi guardato dai tuoi occhi
ostili, poveretta, e tormentarti
domandandoti il nome di tua madre...

Nessuna gioia vale questo amaro.
Poterti fare piangere, potere
pianger con te!

(da "Pianissimo", Marsilio, Venezia 2001, p. 80)



Edouard Manet, "Nana"
da questa pagina web

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