domenica 9 giugno 2019

In ritardo


E l’acqua cade su la morta estate,
e l’acqua scroscia su le morte foglie;
e tutto è chiuso, e intorno le ventate
gettano l’acqua alle inverdite soglie;

e intorno i tuoni brontolano in aria;
se non qualcuno che rotola giù.

Apersi un poco la finestra: udii
rugliare in piena due torrenti e un fiume;
e mi parve d’udir due scoppiettìi
e di vedere un nereggiar di piume.

O rondinella spersa e solitaria,
per questo tempo come sei qui tu?

Oh! non è questo un temporale estivo
col giorno buio e con la rosea sera,
sera che par la sera dell’arrivo,
tenera e fresca come a primavera,

quando, trovati i vecchi nidi al tetto,
li salutava allegra la tribù.

Se n’è partita la tribù, da tanto!
tanto, che forse pensano al ritorno,
tanto, che forse già provano il canto
che canteranno all’alba di quel giorno:

sognano l’alba di San Benedetto
nel lontano Baghirmi e nel Bornù.

E chiudo i vetri. Il freddo mi percuote,
l’acqua mi sferza, mi respinge il vento.
Non più gli scoppiettìi, ma le remote
voci dei fiumi, ma sgrondare io sento

sempre più l’acqua, rotolare il tuono,
il vento alzare ogni minuto più.

E fuori vedo due ombre, due voli,
due volastrucci nella sera mesta,
rimasti qui nel grigio autunno soli,
ch’aliano soli in mezzo alla tempesta:

rimasti addietro il giorno del frastuono,
delle grida d’amore e gioventù.

Son padre e madre. C’è sotto le gronde
un nido, in fila con quei nidi muti,
il lor nido che geme e che nasconde
sei rondinini non ancor pennuti.

Al primo nido già toccò sventura.
Fecero questo accanto a quel che fu.

Oh! tardi! Il nido ch’è due nidi al cuore,
ha fame in mezzo a tante cose morte;
e l’anno è morto, ed anche il giorno muore,
e il tuono muglia, e il vento urla più forte,

e l’acqua fruscia, ed è già notte oscura,
e quello ch’era non sarà mai più.

 
Frontespizio di una ristampa dei "Canti di Castelvecchio" di Giovanni Pascoli

Questa che ho riportato è una delle poesie più disperate e malinconiche presenti nella raccolta di Giovanni Pascoli intitolata Canti di Castelvecchio. Apparve fin dalla prima edizione dell'opera citata, uscita nel 1903; è, più precisamente, l'ultima lirica della sezione principale che porta il titolo della raccolta, e si pone come componimento finale di una successione che ha, come struttura progettuale, quella del trascorrere delle stagioni, partendo dall'inverno e terminando con l'autunno. Praticamente ignorata dalle antologie più importanti, ricordo che la lessi per la prima volta quando comperai una ristampa di questa opera poetica che considero, insieme a Myricae, la migliore del poeta emiliano. Come già accennato, i versi di In ritardo evidenziano uno stato d'animo decisamente malinconico del poeta, dovuto alla fine dell'estate e del bel tempo, come dimostra l'ambientazione autunnale, con la caduta di una pioggia intensa, che, insieme al sinistro rumore dei tuoni, si pone a simbolo di disfacimento e rovina. Altri simboli si possono identificare nei nidi - uno vuoto ed uno occupato dai rondinini - citati al verso 39, attorno ai quali si aggirano i genitori della nidiata: due volastrucci (sono i balestrucci, ovvero un tipo di rondini dai colori bianco-azzurri), preoccupati per la sorte dei rondinini affamati; ebbene quei nidi molto ricordano la vicenda familiare del Pascoli: il nido abbandonato, ovvero la prima cova stagionale dei balestrucci, rappresenta la perdita dei genitori e dei fratelli del poeta; il secondo invece, simboleggia la precarietà e il pericolo in cui si trovava a vivere il Pascoli dopo tanti lutti familiari mai superati né rimpiazzati da altri affetti. L'ultimo verso, sentenzioso e palesemente pessimista, dichiara senza mezzi termini l'impossibilità di un ritorno del tempo trascorso - che poi coincide col tempo felice del poeta - mettendo quindi a sigillo della composizione una totale assenza di speranza ed un senso di vuoto assolutamente incolmabile.


Ruggero Pascoli (1815-1867) coi tre figli maggiori: da sinistra Giacomo (1852-1876), Luigi (1854-1871) e Giovanni (1855-1912)

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