domenica 11 settembre 2016

L'incanto nella poesia italiana decadente e simbolista

Sotto la dicitura "incanto" si vogliono qui riunire i versi che esprimono in modo evidente situazioni molto particolari, al di fuori della realtà; possono nascere da sogni veri e propri o da sogni ad occhi aperti, da profondi desideri, da fantasticherie di vario genere o, perfino, da visioni. Si notano con più frequenza alcuni elementi: giardini, notti lunari e paesaggi marini; si nota anche una non rara presenza femminile, spesso legata alla sfera della magia. A volte tali situazioni ricordano molto da vicino certe favole (si legga la prima strofa della poesia di Govoni e l'intera composizione di Scaglione). Non mancano citazioni di artisti famosi nell'ambito della pittura e della musica. In molti casi è difficile rapportare queste rappresentazioni estasiate a dei significati concreti: sono, probabilmente, invenzioni altamente fantasiose atte ad alimentare il benessere ed il piacere mentale del poeta, che può vivere così in un mondo al di fuori del mondo e creare una propria, impossibile e invisibile realtà.



Poesie sull'argomento

Ugo Betti: "La nave dei sogni" in "Il Re pensieroso" (1922).
Giovanni Cavicchioli: "Palazzi incantati" in "Palazzi incantati" (1916).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Alba lunare" in "Poesie" (1912).
Raoul Dal Molin Ferenzona: "Entreremo tra poco a mani giunte" in "Ave Maria!" (1929).
Gabriele D'Annunzio: "Oriana" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Luigi Donati: "L'Incanto" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Diego Garoglio: "L'incanto" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Luisa Giaconi: "Voto" in "Tebaide" (1912).
Corrado Govoni: "C'era una volta una chiesina in riva al mare" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Giuseppe Lipparini: "Scilocco" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Gian Pietro Lucini: "I Poeti" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Tito Marrone: "Il fresco" in "Le Gemme e gli Spettri" (1901).
Tito Marrone: "Esilio" in "Liriche" (1904).
Arturo Onofri: "Incanto notturno" in "Poesie edite e inedite (1900-1914)" (1982).
Nino Oxilia: "Ecco il canneto..." in "Canti brevi" (1909).
Enrico Panzacchi: "Paesaggio" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "La baia tranquilla" in "Myricae" (1900).
Romolo Quaglino: "I due moti - Preludio" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Antonio Rubino: "Riva d'oblio" in «Poesia», ottobre 1908.
Francesco Scaglione: "Le favole" in "Le Litanie" (1911).
Emanuele Sella: "Questo è il giardino della dolce ipnosi" in "Il Flauto d'argento" (1932).
Giovanni Tecchio: "Maggio" in "Mysterium" (1894).
Domenico Tumiati: "Freschezza" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini: "Sia pace ai morti nelle bare..." in "La rinunzia" (1907).
Alessandro Varaldo: "Ora prima" in "Marine liguri" (1898).
Mario Zarlatti: "L'incanto" in «Gran Mondo», dicembre 1903.



Testi

ORA PRIMA
di Alessandro Varaldo

A terra una minuscola casina
appare vivamente illuminata.
Mi sembra riudir ne l'incantata
sera, o Gluck, la tua musica divina.

Mi sembra, ma non è. Ne la serata
placida dorme tutta la marina
sotto la bianca coltre adamantina
de la luce lunare. È una cantata

de l'Armida che sento risvegliare
tutto dal sonno? Destasi la luna
e risplendendo mi risveglia il mare.

Ecco: intravedo una figura bruna
molte volte passare e ripassare.
Ah! si balla? Dormite, o mare, o luna.

(Da "Marine liguri")




C'ERA UNA VOLTA UNA CHIESINA IN RIVA AL MARE
di Corrado Govoni

C'era una volta una chiesina in riva al mare
solinga immacolatamente bianca...
Non era quella stessa che il Cabianca
amò ne la sua tela ingenua figurare?

Sul davanti, appoggiati a un basso muricciuolo
s'ergevano due smilzi cipressetti,
nel cui cuore, d'Aprile, un lusignolo
ne le notti annaspava i suoi dolci rocchetti.

Dentro un ortello che fragrava d'umidore
e cingeva da un lato la chiesiina,
fiorivano le rose de la China
sotto l'educazione de le miti suore.

S'arrampicavano pei tegoli del tetto
con lunghissime braccia i gelsomini;
il glicine ne l'occhio del coretto
si scapigliava coi suoi grappoli turchini.

Il chiostro con un qualche fiorellino laico
era uguale ad un quieto refettorio;
c'era il suo pozzo simile a un ciborio,
c'eran le sue colonnine di mosaico.

V'abitavano solo sette bianche Spose
di Dio, ognuna con la sua stanzetta,
il cereo, l'olivo, de le rose
in un bicchiere, ognuna con la sua cornetta.

Amavano l'incenso, i suoni di campane,
i gigli, l'afflizione de la cera,
i rosari; le loro quotidiane
azioni erano una continua preghiera.

Ognuna aveva il suo bianco micio
su la finestra, con l'innaffiatoio
tra malve; sul suo inginocchiatoio
a l'alba, ognuna, recitavano l'officio.

Erano quasi tutte sette ottuagenarie,
e nessuna più ricordava il nome
antico, non sapevan se la carie
avesse guasto i denti ed il tempo le chiome.

E vivevano così come un morto altare,
nelle stanzucce come aperte tombe,
con i gigli e le candide colombe...
C'era una volta una chiesina in riva al mare.

(Da "Armonia in grigio et in silenzio")




Pierre Puvis de Chavannes, "Fanciulle in riva al mare"
(da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/92/On_the_Edge_of_the_Sea.jpg)


6 commenti:

  1. Hai modo di suggerirmi qualche poesia del 1916?mi serve per dar anima a una mostra!

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    1. Nel 1916 uscì il primo e più importante volume poetico di Giuseppe Ungaretti: "Il porto sepolto". Molte poesie di questo libro parlano della Grande Guerra; tra le altre, una delle migliori è senz'altro questa:

      RISVEGLI

      Ogni mio momento
      io l'ho vissuto
      un'altra volta
      in un'epoca fonda
      fuori di me

      Sono lontano colla mia malinconia
      dietro a quell'altre vite perse

      Mi desto in un bagno
      di care cose consuete
      sorpreso
      e raddolcito

      Rincorro le nuvole
      che si sciolgono dolcemente
      cogli occhi attenti
      e mi rammento
      di qualche amico
      morto

      Ma Dio cos'è

      E la creatura
      terrificata
      sbarra gli occhi
      e accoglie
      gocciole di stelle
      e la pianura muta
      e si sente
      riavere

      Mariano, il 29 giugno 1916.


      Sempre nel 1916 viene pubblicata la prima opera in versi e in prosa di Vincenzo Cardarelli intitolata "Prologhi". Ecco una bella poesia senza titolo che ne fa parte.

      E ora in queste mattine
      così stanche
      che ho smesso di chiedere e di sperare
      - il pensiero si stacca dagli occhi,
      il dolore disegna
      archi di riflessione nella carne
      che cede con dolcezza
      come la zolla a contatto del seme -
      e tutto il giardino è per me,
      per il mio male sontuosamente,
      penso agli amici che mai più rivedrò,
      alle cose che sono state,
      alle amanti rifiutate,
      ai miei giorni di sole...


      Infine una poesia di Diego Valeri tratta dalla raccolta "Umana", anch'essa del 1916.

      NELL'OMBRA

      Nell'ombra della stanza ascolto
      la tua voce che trema, che manca...
      scorgo appena il pallor del tuo volto
      e un barlume della veste bianca.

      Vorrei piangere anch'io l'infinita
      tristezza che mi grava sul cuore...
      O tormento lungo della vita,
      o eterna angoscia dell'amore!...

      Fuori, stridon le rondini a schiera
      per l'immensità di viola:
      una squilla, nel morir della sera,
      singhiozza lenta lenta e sola...

      Sono tre, se te ne servono altre avvisami, ciao.

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  2. Spero di poterle inserire nel mio lavoro, però se hai altri titoli da segnalarmi, mi farebbe piacere!

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    1. Qualche altra ce l'ho: nel 1916 esce un volume poetico di Marino Moretti intitolato "Il giardino dei frutti". Qui c'è la poesia più famosa del poeta roamgnolo: "A Cesena".

      A CESENA

      Piove. È mercoledì. Sono a Cesena
      ospite della mia sorella sposa,
      sposa da sei, da sette mesi appena.

      Batte la pioggia il grigio borgo, lava
      la faccia delle case senza posa,
      schiuma a piè delle gronde come bava.

      Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
      triste è per te la pioggia cittadina,
      il nuovo amore che non ti soccorse,

      il sogno che non ti avvizzì, sorella
      che guardi me con occhio che si ostina
      a dirmi bella la tua vita: bella,

      bella! Oh bambina, sorellina, o nuora,
      o sposa, io vedo tuo marito, sento
      a chi dici ora mamma, a una signora;

      So che quell'uomo è il suocero dabbene
      che dopo il lauto pasto è sonnolento,
      il babbo che ti vuole un po' di bene....

      «Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi
      ch'io sia gentile, vuoi ch'io le sorrida,
      ch'io le parli de' miei viaggi; e poi,

      poi quando siamo soli (oh come piove!)
      mi dici, rauca, di non so che sfìda
      corsa ieri tra voi; e dici dove,

      quando, come, perchè; ripeti ancora
      quando, come, perchè; chiedi consiglio
      con un sorriso non più tuo, di nuora.

      Parli d'una cognata quasi avara
      che viene spesso per casa col figlio
      e non sai se temerla o averla cara;

      parli del nonno ch' è quasi al tramonto,
      il nonno ricco del tuo Dino, e dici:
      «Vedrai, vedrai se lo terrò da conto!»;

      parli della città, delle signore
      che già conosci, di giorni felici,
      di libertà, d'amor proprio, d'amore....

      Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
      sono a Cesena e mia sorella è qui,
      tutta d'un uomo ch'io conosco appena.

      tra nuova gente, nuove cure, nuove
      tristezze, e a me così parla, così
      parla, senza dolcezza, mentre piove:

      «La mamma nostra t'avrà detto che....
      E poi si vede, ora si vede e come!...
      Sì, sono incinta.... Troppo presto, ahimè!...

      Sai che non voglio balia? che ho speranza
      d'allattarlo da me?... Cerchiamo un nome....
      Ho fortuna: è una buona gravidanza....»

      Ancora parli, ancora parli; e guardi
      le cose intorno. Piove. S'avvicina
      l'ombra grigiastra. Suona l'ora. È tardi.

      E l'anno scorso eri così bambina!



      Da "Tatuaggi" di Nicola Moscardelli ecco questa breve poesia:

      IL GRILLO

      quando il tuono romba lontano
      le rondinelle fuggono dal tetto,
      ma nella stanza così nera
      si sente il grillo della sera
      che canta nel camino:
      per riscaldarci il cuore
      basta il canto d'un grillo canterino -


      Per ora ho trovato queste due, ma ne cercherò ancora.

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    2. Altre poesie del 1916 estratte dalla rivista "La Brigata":

      IL TUO SALUTO, LA SERA
      di Sibilla Aleramo

      Il tuo saluto, la sera,
      gli occhi nell'ombra -
      dall'ombra, e taci,
      mi guardi, un minuto?
      ferma nel mondo ogni vena
      tacito aduni
      gli addii della sorte,
      la sera, con gli occhi
      nell'ombra, ardi?
      o piangi - ma forte
      ma forte un minuto nel cuore
      ogni vena mi ferma
      il tuo saluto, la sera.

      (luglio 1916)



      CHIARITÀ NOTTURNA
      di Sibilla Aleramo

      Chiarità notturna, volo d'ore bianche, disteso cielo,
      tendo la mia mano che vi stringe, e v'offro, v'offro.
      Ci veda qualcuno. Non me, ma sola la mia mano che vi tiene,
      ore fruscianti, grande sereno, spiaggia d'astri.

      (luglio 1916)



      DANZA ALLO SPECCHIO
      di Massimo Bontempelli

      Ti guardi? ti piaci
      di piacere fremi.

      Un poco tremi
      in mezzo alla nebbia sola
      donde emergesti nel giorno.
      E onduli il corpo leggiero.
      Ed ecco nel moto la nebbia si schiara
      si fa lontana

      ti affàscina lucida e piana,
      è lo specchio creato
      dalla tua solitudine trepida.
      Mentre onduli il corpo leggiero
      già l'altro tuto corpo leggiero
      ti guarda ondulando di là
      in faccia.

      Alzi le braccia
      giungi le mani sul capo
      le tendi le insegui
      con tutto il corpo in un volo
      piegandoti al suolo lo sfiori
      t'abbandoni nel ritmo limpido
      che dai piedi ai capelli ti sventola
      torcendoti come una fiamma mutevole.
      Ridi.

      Ridi e sfidi
      all'amica tua lucida e morbida
      che vola volteggia
      e nel suo ritmo limpido
      ride ti sfida ti ama.

      Ti chiama.
      Ma fuggi e ti giri. Ed un'altra
      si gira e ti ride
      dall'altro specchio che folgora
      cento fiammette di luce
      mentre cento altri corpi tuoi fulgidi
      da cento altri specchi d'intorno
      ti sventolano le create immagini
      di te.

      Perché
      tu le guardi e per te danzano
      per esse sei, anima,
      per esse danzi e ti guardano
      le cento creature velivole
      che nelle lontane solitudini
      labilmente serpeggiano
      dai piccoli piedi alle chiome che si sciolgono
      ai volti che bruciano
      alle bocche che bisbigliano baci
      ai mille occhi che lampi mandano.

      Tutte le fiamme cantano
      coi volti coi corpi cogli occhi
      di tutto quel mondo di forme sole che bruciano e vivono
      per te

      di te
      mentre danzi dinanzi allo specchio
      la tua Danza immortale.

      (ottobre/novembre 1916)



      ELEGIA SUBURBANA
      di Francesco Meriano

      Tra l'umido garage ed il selciato
      ubriaco di sole e di rumori,
      subito un po' avvizzito e scolorato
      v'è un praticello con dei bianchi fiori.

      Lì, tra le rotte scatole di latta,
      tra carta e stracci, bello m'è cercare
      qualche margheritina stupefatta
      o un fiordaliso del color del mare...

      (ottobre/novembre 1916)

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