sabato 15 agosto 2015

Poeti dimenticati: Guido Pereyra

Leonardo Lilia (in arte Guido Pereyra) nacque a Firenze il 6 settembre del 1881 e morì nel 1968. Di lui esistono poche notizie, si sa comunque che svolse la professione d'insegnate di lettere presso il Ginnasio "Dante" di Firenze. Iniziò a pubblicare volumi di versi col suo nome reale, quindi, nel 1920, decise di usare uno pseudonimo per la sua opera poetica più importante: Il Libro del Collare. In seguito ripudiò le sue poesie. Le migliori poesie di Pereyra posseggono elementi filosofici (in particolare si rifanno alle discipline filosofiche indiane) ed autobiografici: contengono, in pratica, dei discorsi introspettivi, ragionamenti logici e deduzioni provenienti dall'esperienza personale e dalla vita in società. Si occuparono dei suoi versi, tra gli altri, Emilio Cecchi, Pietro Mignosi, Glauco Viazzi e Alessandro Parronchi.




Opere poetiche

"A vent'anni", Barbera, Firenze 1901.
"Nuove poesie: testamento", Barbera, Firenze 1902
"Il Libro del Collare", Vallecchi, Firenze 1920.





Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. VI, pp. 94-103).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 1, pp. 144-147).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo primo, pp. 277-281).




Testi

CANTO VI°

Attenti! quando vedete così sbiancare il mio viso,
è il segno: la marionetta allora spunta; è l'avviso.

Eccola! è lei: già la sento, che da' precordii m'affiora
sul volto scolorito. Non son lo stesso che or ora.

Non son più quello, non sono. Io vo verso l'ultima danza!
via questi libri, via tutto, via quel che c'è in questa stanza!

Fermi: non è niente. Perché v'arretrate alla parete?
Fermi, fermi, vi dico. Ecco: è bell'e fatto. Vedete?

Fatto. Son ritornato quel ch'ero, è passato il momento
brutto; per oggi potete stare tranquilli, lo sento.

Ma voi siete pallidi! Perché mi guardate così,
se vi dico che ormai non è altro, che tutto finì?

Animo! tornate qui con me: ritorniamo tranquilli
al nostro lavoro! volete proprio mostrarvi pusilli

da aver paura se in faccia a voi qualcuno sgambetta,
da aver paura di un essere innocuo, una marionetta?...

«Ma dunque quando tu parli con noi, tu non sei sincero?»
mi disse una volta uno. Io tacqui. Purtroppo è vero.

Purtroppo il mio vero essere non è già quello ch'io mostro,
è un altro, o uomini gravi, che sfugge allo sguardo vostro;

è un altro che nessuno sospetta, che invece è nascosto
dentro di me, che invece soltanto ha cambiato di posto.

«Non più, non più: nessuno ormai mi vedrà» questo il patto
che con me stesso - un giorno dirò forse come - ho contratto.

Mi sembra che la mia voce abbia mutato di tono,
e suoni falso ormai; che qualcuno in lugubre dono

m'abbia dato una maschera da gittarmi sopra la faccia,
che copre il mio vero essere, e, se riaffiora, in giù lo ricaccia,

e lo tiene compresso, allor che improvviso sgambetta
lui... chi sapeva che in me ci fosse una marionetta?

C'era, ma non si sapeva. O se c'era! e sta quieta
di solito, sì che a molti la cosa resta segreta;

ma, se vede gli altri uomini starsene al loro posto
con grande prosopopea, scoppia in un riso nascosto,

ma non meno sonoro, e sente il bisogno di andarsene
tra loro a portar scandalo, e a turbare le loro farse.

Ce ne vuole a tenerla allora; e talor nell'assalto
riesce, e trova benanco la via d'uscire su in alto...

Sì, soffocando la smania di un attimo definitivo
ch'ho in me, mi sforzo a viver la vita che tutti vivono,

a vivere al par di voi, a immergermi nelle diverse
cure in cui tutte l'altre creature sono sommerse;

ma io non sono sincero; vedete, non sono sincero,
perché il mio vero essere non è quel ch'io sono, è quel ch'ero;

perché, per esser sincero, io dovrei, ogni momento,
uscirvi fuori in questo assoluto pronunciamento:

«Non v'accorgete, o uomini, che il far gli affari del mondo
è una commedia di fronte all'ansito nostro profondo,

e che nessuna fede nell'immanenza assoluta
potrà soffocar questo conato, e rendere muta

la protesta immortale del calabra che si ribella
a essere incatenato, e i propri ceppi sfracella?»

Sì, soffocando la smania di un atto definitivo,
tento prender sul serio l'Individuo, in cui tutti vivono;

ma talor la figura che, nolente me, avevo assunto
si rovescia d'un tratto, mentr'io mi scoloro in quel punto;

la figura dell'uomo empirico, il suo gesto, il suo atto
scompaiono in faccia agli altri che guardano: ecco, ad un tratto

gli astanti, incerti e stupiti, scoprono a fiore del suolo
l'antica marionetta levata sur un piede solo.

Io provo quel che provai di già, in un'ora solenne...
È l'essere senza nome, quello che un momento mi tenne

sospeso nel terribile dilemma, che ricompare,
e dice a me, uomo empirico: «O tu, non dimenticare,

tu che vinci, che un giorno insieme con te io ci fui!»
Io rivivo il dilemma tra l'uomo empirico e lui...

Niente: l'uomo empirico, che il suo titanismo reprime,
copre con la sua maschera codesta ironia sublime. 

(Da "Il Libro del Collare")

Nessun commento:

Posta un commento