Sono, in questo post e nel successivo (che pubblicherò molto presto), presenti alcune poesie che hanno come argomento principale o marginale la festa del Natale. Sono versi di circa cento anni fa che rivelano quanto l'evento natalizio fosse diverso rispetto a quello di oggi. Si evidenziano, a seconda dei casi, aspetti religiosi, sociali, nostalgici e ironici. Gli autori delle poesie sono spesso degli sconosciuti (almeno parlando dei tempi odierni) o quasi, ma i versi sono, a mio avviso, molto belli e sinceri, come mai lo sarebbero se fossero scritti oggi. È questo un modo un po' speciale per ricordare il Natale di una volta, ovvero una festa d'importanza unica, un evento annuale aspettato per mesi e mesi dalla popolazione italiana. Emerge a volte una ingenuità che oggi potrebbe far sorridere; ma, se si torna al concetto di sincerità precedentemente sottolineato, ci si accorge che questa assenza di malizia era una ricchezza la quale, nei nostri aridi e cinici tempi, diviene un valore ormai ignorato e rarissimo. A livello sociale è bene aggiungere che in quei lontani tempi, insieme a moltissime ingiustizie (che d'altra parte esistono ancora oggi) era presente una speranza, anch'essa sincera, di poter migliorare le cose in un futuro prossimo; la speranza di un miglioramento era rappresentata, per i credenti e per i non credenti, dalla figura di Gesù, il quale, uomo e Dio nello stesso tempo, fu il primo a mettere in pratica quei comportamenti filantropici, che dimostrano senza mezzi termini un amore disinteressato nei confronti dell'intera umanità e in particolare per quella più sofferente. La nostalgia, come è naturale che sia, traspare in alcuni casi piuttosto evidente e nasce dai natali dell'infanzia in tempi in cui esistevano ancora le famiglie unite e numerose. Forse molti bambini di oggi non potranno avere nostalgia del Natale, per motivi che vanno dall'assenza di una vera famiglia alla trasformazione della festa religiosa a mero e bieco evento commerciale. Non è assente, in talaltri versi, una buona dose d'ironia e di sarcasmo, capaci di far emergere il fatto che la festa del Natale, già un secolo fa, stava assumendo le caratteristiche della classica festa cara ai bottegai, già incanalata come era nei meandri dell'aridità e della profanità. Malgrado ciò si può affermare che quello in cui furono scritti questi versi è un periodo certamente privo del benessere, ma altrettanto certamente pieno di valori e speranze che oggi non si ritrovano più; e per tal motivo va ricordato tramite quello strumento unico e insostitubile che è la poesia.
NATALE
di Bruna (Laura Clementina Maiocchi)
Solennemente vibrano
i sacri bronzi, e l'aere gelato
ripercote quel suon. Quale a divina,
misterïosa voce
che dall'alto s'espande,
ogni fronte s'inchina.
Fiammelle rosse brillano
i ceri sull'altare, e radïose
tremolando, rischiarano
cento palme di rose.
Una piccola forma
di pargolo, sorride
fra gli incensi, fra i veli;
adorando si prostrano i fedeli.
Intanto nei palagi illuminati,
bionde e brune testine si confondono,
e cogli occhietti ingenui, estasïati,
ammirano i balocchi, luccicanti
alla fiamma del ceppo.
Pazze risa argentine,
e acuti trilli, echeggiano assordanti
fra le ricche cortine.
Ma quanti bimbi, ahimè, senza sorrisi,
senza cibo, tremanti
nei miseri tuguri, ove non brilla
nel freddo focolare una scintilla.
Dama gentil, che miri lietamente
il tuo bimbo felice,
ti sovvenga del povero che langue;
la gemmata tua man stendi pietosa,
e più santa sarà questa nivale
pia notte di Natale.
(Da "Petali e lagrime", 1894)
NOTTE DI NATALE
di Giovanni Marradi (1852-1922)
Or io penso altri dì, mentre martella
la campana di Ceppo e chiama a festa.
Oh il presepe domestico, che in questa
notte io fiorìa di musco e di mortella!
Né valevan per me templi o palagi
quel mio presepe antico, ove in pia gloria
svolgesi agli occhi miei l'umile dramma
di Betlemme. L'astro dei Re Magi
vi fulgea d'oro; e n'udivam la storia,
creduli bimbi, intorno a una gran fiamma.
C'eravam tutti allora: anche tu, mamma,
ignara allor di dover pianger tanto;
e tu, che fosti messa in camposanto
nel più bel fior degli anni tuoi, sorella.
(Da "Ballate moderne", 1894)
NATALE RUSTICO
di Giuseppe Deabate (1857-1928)
Quando la nebbia a vortici
S' innalza come fumo su dal piano,
E lenta, egual, monotona
Sale d'intorno e per desi lontano;
Quando la neve a turbini
Di candidi tappeti orna la valle,
Si schiudono alle povere
Genti del borgo le fumanti stalle,
Dove all'intento circolo
Dei suoi compagni il dotto contadino
Legge le strane istorie
Del «Re di Francia» e di «Guerrin Meschino».
Ma quando intorno echeggiano
Le campane che annunciano il Natale,
Un senso allor di giubilo
E di dolcezza tutti i cuori assale;
Ed alle eroiche pagine
Del «Re di Francia» e di «Guerrin Meschino»
Succede allor la semplice,
La ingenua istoria di «Gesù Bambino».
Ed ecco tutti affollansi
Intorno al crocchio, i bimbi e le fanciulle;
Ecco le madri innalzano
Le stanche teste dalle dolci culle,
Mentre le mucche attonite
Sollevano esse pur l'occhio ed il muso,
E la vecchietta tremula
Lascia cader dallo stupore il fuso....
Oh quanti ricchi e fulgidi
Natali in fondo alle dorate sale
Non valgono nè pure un'ora, un attimo
Di questo rozzo e semplice Natale!
Oh, per mutar di secoli,
Quanta gloria di gesta e d'ori e gemme
Ancor non vince il fascino
Che su la terra immortalò Betlemme!
(Da "Il canzoniere del villaggio", 1897)
PRESEPIO FIORENTINO
di Angiolo Orvieto (1869-1967)
I
Esci meco, sorella, nella tersa
alba invernale; mentre trema ancora
l'astro, tenero nuncio dell'aurora,
e ancor nell'ombra è la città sommersa.
Da' virginei sogni appena emersa
— un'aura lieve i capelli ti sfiora —
vieni in questa silenziosa ora,
che nel cuor nostro ogni fragranza versa.
L'anima fresca ora sente la vaga
tenerezza dell'alba, e una leggera
ansia, quasi nascesse primavera.
E anderemo lontano, in una plaga
ove sarà più dolce a noi sognare.
Ecco il presepio: varca il limitare.
II
La stella, che nell'alba fiorentina
sorridea, pure in questa plaga estrema,
in questa dolce oriental mattina,
fra lievi nubi, o mia sorella, trema.
È una remota alba in Palestina;
qualche cosa nell'ombre par che gema;
ma nella lontananza porporina
traluce omai del giorno il diadema.
O sorella, qui mormorano lente
acque, e laggiù lontane carovane
vanno per i deserti, sonnolente;
e anderanno sempre più lontane,
in traccia di palmizi e di fontane,
sovra l'aride sabbie, al sole ardente.
III
Ma dove, dove andate voi, pastori,
che, avvolte l'anche di villose pelli,
senza le capre irsute e i miti agnelli,
salite l'erta a questi primi albori?
Noi vedemmo - rispondono - o fratelli,
per il cielo trascorrere bagliori
di fiamme a notte, e udimmo: «Uscite fuori
quando sia l'alba e cantino gli augelli.
Uscite fuori e andate a quella umile
capanna, dove sulla paglia giace
Quegli che al mondo recherà la pace».
Così l'Angelo disse; e noi, lasciato
senza sospetti il gregge nell'ovile,
andiamo a salutar Colui che è nato.
IV
Va coi pastori, o mia dolce sorella;
io non son degno di venir con loro:
io resto fuori a contemplar la stella,
a udir gli augelli e il ruscello canoro.
Baleneranno agli Angeli le anella
luride e lunghe della chioma d'oro
al tuo passaggio, e nella lor favella
saluteranno te gli Angeli in coro.
Entra nella capanna e invoca, o santa,
per me la fiamma che ai pastori brilla,
che nell'anima tua pura sfavilla.
Io qui ti aspetto e trepidando spio
se, come il ciel di porpora s'ammanta,
così spunti la luce nel cuor mio.
(Da "La sposa mistica. Il velo di Maya", 1898)
CANTILENA DI NATALE
di Emilio De Marchi (1851-1901)
Stanotte a mezzanotte, quando spunta
La dicembrina luna,
Andiam, devoti amici, sulla punta
De' piedi a meditar presso una cuna.
Nel tenero sorriso
De' bimbi che riposano
È in terra un luccicar di paradiso.
A mezzanotte fra tintinni e canti
Per una liscia scalinata d'oro,
Scende nei sogni loro
Iddio con tutti i santi.
(Da "Vecchie cadenze e nuove", 1899)
FEBBRE
di Vittoria Aganoor (1855-1910)
Ecco, la porta si spalanca ed entra
mio padre coi bei doni. A stento ei tutti
li regge (oh quanti!) e ride... Io dal mio letto
tendo le braccia, e la gioia è nel sole
che allaga la mia camera: è nel suono
delle campane dindondanti a festa,
nell'allegro vocìo che di fuor s'ode...
— È nato! è nato! — esclamano le genti
e per le vie s'abbracciano.
La febbre
questi sogni mi dà? sia benedetta!
Vero; è Natale, ma mio padre immoto
dorme laggiù presso la villa immersa
tra gli abeti. È Natale... oh ma i fratelli
non s'abbraccian per via!...
Donami ancora
un altro sogno, amica febbre! io veda
svanir come ombra, al divampar d'un grande
foco d'amore, l'indigenza, e il mondo
finalmente placato in una fede
sicura e forte come l'universo,
in ogni terra, e per ognuno il sasso
delle tombe non sia più che la porta
dell'infinito.
A quella soglia io forse
m'approssimo?... chi sa? Forse il mio sogno
s'avvera, e lieto il padre mio dischiude
il valico per me, recando il vivo
dono di luce?...
Dagli oscuri abissi
della vita, assorgiamo, anima! albeggia
l'erta, che attinge il vertice del vero.
(Da "Leggenda eterna", 1900)
SESTINA DI NATALE
di Guelfo Civinini (1873-1954)
Natale. Ai vetri con le fredde dita
batton le piogge il saluto del verno.
I vecchi alberi vedovi di fronde,
scheletri neri, dondolano al vento.
Tace il grigio casal sotto al ciel fosco
come se morte ivi abbia spenta ogni opra.
Le rudi mura, che il tempo con l'opra
provò tenace di sue scarne dita,
da' vani oscuri tra 'l velame fosco
sogguatano lontan per entro il verno,
quando le nevi in signoria del vento
discenderanno su le morte fronde.
Malvagiamente ad istrappar le fronde
le piogge e i venti avvicendaron l'opra.
Treman silenziosi i rami al vento
come ad un carezzar di fredde dita.
O silenzio, grande anima del verno!
Or ben ravviso il tuo senso più fosco.
Certo discese sopra i campi un fosco
nume strappando in suo cammin le fronde
ultime d'autunno. E forse il verno
l'ultima vita intenta all'ultima opra
(tenean la marra rigide le dita)
vide piegar tragicamente al vento.
Or battaglian le nuvole col vento,
dando minacce in un viluppo fosco.
Che val se rosee piccolette dita
d'un divino fanciullo fan le fronde
dell'umana letizia, sì come opra
di primavera, rinverdir nel verno?
Qui su le morte cose piange il verno:
la solitaria casa è albergo al vento:
e par che in seno ai nudi solchi l'opra
del germinar si estingua. Giù dal fosco
cielo, su i rami neri senza fronde
batton le piogge con le fredde dita.
Dita divine, a l'opra! A crescer fronde
forzate con miracol nuovo il verno.
E sia pietoso il vento, e il ciel men fosco.
un giorno di Natale - nella campagna di Roma.
(Da "L'urna", 1900)
VIGILIA DI NATALE
di Diego Garoglio (1866-1933)
Mentre che stilla tacita la piova,
s'indugia per la via tutta splendente
di fiamme e di riflessi acquei la gente
felice, che già in cor gode la nova
intima festa; ma dove ch'io mova
il piede stanco tra persone intente
a parlare a mirare, il cor si sente
solo e il suo disperato duol rinnova.
Tutto è finito? tutto? Non fu un tetro
sogno? sei morta? eternamente muta
è la tua bocca? muti i tuoi profondi
occhi? calar sotterra io t'ò veduta?
Io ti vedo e ti chiamo... e non rispondi,
e t'accompagni a me come uno spetro.
(Da "Elena", 1901)
PREGHIERA DI NATALE
di Enrico Panzacchi (1840-1904)
Noi t'invochiamo! L'ombra del Peccato
tien gli uomini e la terra in sua ragione
novellamente; e i fiori ha disseccato
de la tua Redenzione.
Discendi, Cristo, dai siderei chiostri,
discendi anche una volta, o tu che puoi!
Torna a patir per li peccati nostri,
torna a morir per noi!
(Da "Cor sincerum", 1902)
NATALE
di Alfredo Galletti (1872-1962)
Tra 'l fugace biancor de l'invernale
nebbia ne i cieli affacciasi il mattino;
splende di luce un serto porporino
de la sua fronte su 'l pallor nivale.
Quale corteo di sogni, o pio Natale,
per l'azzurro ti segue in tuo cammino!
da questa umile terra a te, divino,
sale un immenso fremito spirtale.
De l'odio e del dolor tace il selvaggio
coro, e l'uom fiso guarda a l'oriente,
se la pace promessa a noi discenda.
Reca, o Natale, il tuo divin messaggio,
e su la triste umanità dolente
la tua speranza, come un sol, risplenda.
(Da "Odi ed elegie", 1903)
NATALE
di Corrado Govoni (1884-1965)
E l'infanzia e il paese abbandonato,
di tra le dense nebbie dolcemente
scampanante, e il presepe tappezzato
di borracina e ghiaia rilucente;
le pastorali che soavemente
l'armonium diffondeva estasiato:
tutti, tutti mi tornano alla mente,
i ricordi del tempo trapassato,
mentre al suon delle mistiche campane
esultanti ne l'alba liliale,
m'inondano dolcezze sovrumane,
e al lieve vento, sopra il davanzale,
ne le fini e giallastre porcellane,
si sfogliano le rose di Natale.
(Da "Le fiale", 1903)
VIGILIA DI NATALE
di Corrado Govoni
Un organo veste il silenzio malinconico
d'una gioia composta.
La farfalla irrequieta d'una imposta
sbatte sul muro vicino ai malvoni.
Un gallo rosso beve
ne l'abbeveratoio di legno.
Ne l'orto il melo à l'aria d'un disegno.
Il vento macina la neve.
Le campane imbastiscono il corredo
per il freddo Natale
L'anguilla tradizionale
sfrigola ne lo spiedo.
Il micio dorme sul leggiadro
tappeto del colore de le mandorle acerbe;
la luce d'un tizzo si riverbera
ne la cornice dorata d'un quadro.
(Da "Armonia in grigio et in silenzio", 1903)
NATALE DI BIMBI
di Olindo Guerrini (1845-1916)
Innocenti fanciulli,
che non suggeste ancora
il velen della vita;
gioconda età, fiorita
nel riso dell'aurora,
nel gaudio dei trastulli;
anime ignote al male,
coscïenze serene,
bocche senza segreti,
tornano i giorni lieti
ed il dicembre viene
col ceppo di Natale;
speme di forti padri,
gioia dei dì fugaci,
gloria ed amor del mondo,
porgete il capo biondo
alle carezze, ai baci
delle festanti madri.
Ahi, come triste è l'ora
per l'anime inquïete,
pei cuori avvelenati!
O bimbi, o voi beati,
perchè non intendete,
perchè ignorate ancora!
(Da "Le Rime di Lorenzo Stecchetti", 1903)
LE CIARAMELLE
di Giovanni Pascoli (1855-1912)
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
(Da "Canti di Castelvecchio", 1903)
NINNA-NANNA DI NATALE
di Ada Negri (1870-1944)
- Ninna-nanna.... - gelato è il focolare,
fanciul: non ti svegliare.
Per coprirti dal freddo, o mio bambino,
cucio in un vecchio scialle un vestitino.
Ma il lucignolo trema e l'occhio è stanco,
bimbo dal viso bianco.
Chi sa se per domani avrò finito
questo che aspetti povero vestito!...
Ninna-nanna. - È la notte di Natale.
Libera nos dal male.
Cade la neve senza vento, fitta:
sgocciola un trave qui, ne la soffitta.
Io ti narrai la storia di Gesù,
bimbo. - Guardavi tu
lontano coi pensosi occhi che sanno
già tristi cose, e tante ne sapranno;
e mi chiedesti: È ver che nacque in una
stalla, ed ebbe per cuna
un po' di paglia, e andò povero e solo
per noi. nel mondo?... - È vero, o mio figliuolo.
E redimerci volle, ed un feroce
odio il confisse in croce;
e invan, da venti secoli di guerra,
l'ombra de la sua croce empie la terra;
che sempre il viver nostro si trascina
fra bettola e officina,
fra l'ignoranza e la miseria nera,
fra il vizio, l'ospedale e la galera.
....Pace ed amor non avrem dunque mai?...
O bimbo!... tu non sai. -
La notte è santa. - Mulinando cade
la neve bianca su le bianche strade;
e domani, con l'alba, le campane
diran: riposo e pane
gli uomini di buona volontà!... -
Ma menzogna terribile sarà.
Sarà menzogna sino a quando, o figlio,
in ogni aspro giaciglio
simile a questo, in ogni nuda stanza
simile a questa, ove non è speranza,
a l'alba di Natale ogni bambino
che soffra il tuo destino
e mangi pan con lacrime commisto,
si sveglierà con l'anima di Cristo:
e tutte le soffitte avranno un fiero
fanciul che andrà il pensiero
temprando a gli urti de la vita grama,
sino a foggiarne un'invincibil lama:
e un giorno insorgeranno a milioni
con fulmini e con tuoni
questi profeti: e al loro impeto alato
il vecchio mondo crollerà, stroncato:
ed il Vangelo allor sarà sovrana
legge a la vita umana:
e - Pace, - allora, dire si potrà
agli uomini di buona volontà!...
Ne le viscere nostre oppresse e macre
di popolane, sacre
a la fatica ed al servaggio muto,
il miracol di Dio sarà compiuto.
Ed ora, o figlio, del tuo letto al piede,
con inesausta fede
questa leggenda di Natale io dico:
- Cristo del sangue mio, ti benedico. -
(Da "Maternità", 1904)
LE CAMPANE DEL NATALE
di Ulisse Ortensi (1863-1935)
Sempre una notte gelida d'inverno
io t'ho aspettata accanto al focolare,
mentre fuori tra un turbine d'inferno,
come un diavolo, Borea udiasi urlare.
Splendea sui vetri della vecchia pieve
dei sacri ceri il luminoso raggio;
il borgo sotto la cadente neve
somigliava a un fantastico villaggio.
Che notte di stupor, di fantasia,
campana dei miei sogni più innocenti!
Che calmo aspetto avea la casa mia
con gli avi venerandi e sorridenti!
Io t'aspettavo fino a notte piena
come un incanto, una rivelazione,
mentre lieta svolgevasi la cena
tradizionale nella mia magione.
T'udivo alfin cantar come una sposa
gaia e ridente nel suo dì nuziale.
Che bella voce in quella portentosa
notte avevi, o Campana del Natale!
E poi m'addormentavo al tuo bel canto
sul seno de la mamma come un re,
mentre la neve col suo bianco manto
la Maiella coprìa dal capo ai piè.
(Da "Poveri sogni", 1904)
MUSICHE DI NATALE
di Giovanni Bertacchi (1869-1942)
Scampanii di borgate entro nascoste
nei cinerei vapori alla pianura,
palpitanti laggiù, come se foste
solo una cosa con la nebbia oscura,
io sento in voi la confluente ondata
che dal celato mar dell'infinito
batte alla muta terra, a la vallata
che reca il morituro uomo con sé.
L'orecchio intento, riconfuso in voi,
penetra nel lontano aere profondo,
e tramuta ascoltando i moti suoi
in un presagio d'invisibil mondo.
È sogno? È fede? Io non lo so: mi basta
quest'avvolgente palpito smarrito,
che infutura il mio senso e fa più vasta
la cerchia della vita intorno a me.
Con dolce affanno, dall'immenso vano,
io sento avvicinarsi il suono occulto.
Come può dunque un dondolìo lontano
muovermi in cuor sì trepido tumulto?
Come può l'onda di un'informe nota,
e un incerto oscillar di cantilena
ridestarmi nel cuor l'eco remota
degli affetti che il tempo in me sopì?
Uom che viaggiasti i secoli, tu giungi
provato ormai da tante ere di vita:
ma se la voce palpita da lungi
che già i padri dei padri ebbero udita,
tu, fermo a mezzo della via, deponi
tutto il retaggio onde recasti piena
l'anima antica, e ancora, entro quei suoni,
trovi gl'intatti spiriti d'un dì.
Uom che tutto sapesti, un dì solenne
oggi spunta per te, né canta solo
questa di bronzi salmodia che venne
superando lo spazio in lento volo.
Pei villaggi sperduti ai piani e ai monti,
un pastorale risonar di pive
par che svegli il passato, e che racconti
una leggenda che mai non mutò.
Mentre il viver del gregge e dell'armento
lontan dal gelo che intristì la valle,
non è che un minimo tacito e lento
nel tepor degli ovili e de le stalle,
eco ed ombra di quelli, al grigio albore,
una torma invisibile rivive,
dietro i suoni immutati. Ov'è il Pastore
che raccolse la torma e la guidò?
Dalle assenze d'un anno essa ritorna
per madri e bimbi; ma l'adulto stesso,
vede, ascoltando, mentre fuori aggiorna,
un futuro che un dì gli fu promesso.
Tutte le voci noi sentimmo! Accordi
commisti d'ogni suono e d'ogni canto;
dispiegate fanfare e rombi sordi,
guerra e speranza, amore e libertà;
perseguimmo, rapiti, esili trame
di sapienti melodie febbrili,
nate a tradurre le morenti brame,
i sogni incerti e i sospirati aprili;
ma quando accade riudir la casta
nenia che scorta il gregge umile e santo,
ci parla un'infantile arte che basta,
che basta ad ogni cuore, ad ogni età.
È sogno? È fede? — O pellegrin che sosti,
deponi l'ansia del quesito eterno;
donati ai lunghi scampanii nascosti
e pur presenti al tuo penoso inverno.
Senza questo ondular di melodia
che dà un'anima informe anche alla bruma,
che ti arresta sognante in sulla via,
nato d'un giorno, che saresti tu?
Senza l'inganno che rinfrange i sensi
in cento care inanità lontane,
e riverbera l'ora in cui tu pensi
nei vaghi sfondi delle sue morgane,
tu che saresti ?... Un vasto inno è nei cieli,
e la terra nel vuoto etere sfuma;
per me che sosto sulle vie fedeli
l'avvenir si riflette in ciò che fu!
(Da "Alle sorgenti", 1906)
L'ALBERGO
di Tito Marrone (1882-1967)
Naufrago nella notte di Natale
in una scialba camera d'albergo
dinanzi alla candela
che guizza e fuma...
E, mentre si consuma
l’anima ad ascoltare il tristo vento
che schernisce sul tetto
la magra pioggia,
di là l’ostessa con la voce chioccia
litiga in suo gergo maledetto.
Pace, ostessa! A quest’ora, nelle chiese
del mio paese,
s’inazzurra la messa di Natale,
brulicano i lumini dei presepi.
I Re Magi viaggiano
lungo le siepi,
dietro la stella di fili d’argento,
verso la capannuccia di Gesù:
brontola il vento e la neve vien giù.
Or dove mai sarà
quel piccolo pastore
che alla sua rammendata cornamusa
appendeva il mio cuore?
Dove, la stella di fili d’argento?
Dove son io fanciullo?
Il mio presepio è brullo,
abbandonato, spento.
(Da "Antologia poetica")
CAMPANA DI NATALE
di Bino Binazzi (1878-1930)
O tu, che ascendi dal nebbioso piano,
onda sonora, all'eremo gelato,
sola ridesti i dormienti affetti
e le memorie.
Natale! Oh sacre teorie di forme
morte o lontane, oh voci armoniose,
che in coro soavissimo tornate
dal mio passato!
Solo coi libri e colle pie memorie
me nel tuo grembo tepido raccogli,
o tu, custode degli affetti umani
melanconia.
(Da "Eptacordo", 1907)
NENIA DI NATALE
di Salvatore Giuliano
O bimbo, dormi e non ti risvegliare:
Strepita il vento per la notte oscura,
strepita il folle vento aquilonare
come il singhiozzo d'una creatura.
O bimbo, dormi e non ti risvegliare.
La notte è d'ombre spaventose piena,
ed io che veglio accanto a la tua culla
son tutta invasa da un'atroce pena:
col mio pensiere un dubbio si trastulla.
La notte è d'ombre spaventose piena.
Su'l marciapiedi al canto de la Via
oggi ho veduto un essere vivente
piangere a lungo sconsolatamente;
oggi ho veduto un uomo in agonia
su'l marciapiedi al canto de la Via.
Di cenci sbrandellati era Vestito:
spento fra le sue labra era il sorriso;
la tramontana gli gelava il viso
e gli frugava il corpo ischeletrito.
Di cenci sbrandellati era vestito.
Forse a quest'ora giace inanimato
sotto l'imperversar de la bufera
e la neve il suo capo ha incoronato
d'una ghirlanda semplice e leggera.
Forse a quest'ora giace inanimato.
E Va l'anima sua lontan lontano,
pe 'l regno luminoso de la Pace,
a cui si Volge il desiderio umano,
indarno sì, ma fervido e tenace.
E Va l'anima sua lontan lontano...
Forse la madre, Vecchia e malaticcia,
con ansia, trasalendo, i passi spia
che s'odono in cadenza ne la via;
e un orrendo timor la raccapriccia.
Povera madre vecchia e malaticcia!
Povera madre sventurata! Io sola
il duolo intendo che avrà lei domani,
già che saranno crudelmente Vani
i forti lagni de la sua parola.
Il suo dolore lo comprendo io sola.
O bimbo, dormi e non ti risvegliare:
Strepita il Vento per la notte oscura,
strepita il folle vento aquilonare
come il singhiozzo d'una creatura.
O bimbo, dormi e non ti risvegliare.
(Da "Le ore mattutine", 1907)
LA SVEGLIA DEL NATALE
di Virgilio La Scola (1869-1927)
Lontano, a distesa,
Da l'ombra profonda,
Irrompe la romba.
E l'alma, sorpresa,
Si desta fanciulla,
Su' lini, incavatisi
In soffice culla.
A festa, pe' cieli
Solenni, la romba
Sospinge la candida
Culla, e la dondola.
Su l'anima pargola,
Un'onda si spande
Di cerula luce,
Di tenera pace,
In pace sì gelida,
In notte sì grande.
Giuliva, a distesa,
Dilegua la romba:
La culla, sospesa,
Si ferma: ...
ripiomba,
Pel vano oblioso
De' cieli, ne l'ombra.
(Da "La placida fonte", 1907)
VETRINA DI NATALE
di Aurelio Ugolini (1875-1908)
Dietro la tersa lastra di cristallo
pende all'abete che non sa foresta,
un pulcinella e il trotto d'un cavallo
di cartapesta.
Scelgono i bimbi quel presepe enorme,
l'infarinato clown o il bue che mugge:
folta la neve sotto le lente orme
sdrucciola e strugge.
Ma non tu scegli: placido nel grande
gelo, nel gran silenzio ti componi
dell'urna, e son funeree ghirlande
oggi i tuoi doni.
(Da "Viburna", 1908)
NATALE
di Federico De Maria (1885-1954)
Natale.... oh, perdonatemi, signora:
io non amo il Natal perché le sere
quando viene giù tacita la neve
la cornamusa nelle vie lamenta
una vecchia aria pastorale che
fa subito tacere i pianoforti
vibranti nella notte, come spersi
accenti desolati: non perché
è intesa per la festa più solenne
dei cristiani e a mezzanotte la
bronzea voce delle campane spiega
il sonoro allelluia, annunziando
agli uomini che ancora un'altra volta
è nato il Salvatore: o dolce amica,
religiosa amica, io non comprendo
la poesia di queste cose, quando
non l'adornate di bellezza voi!
No, mia signora, amo il Natal perché
il suono lento della cornamusa
vi chiama curiosa ad osservare
dietro le vetriate, ed io vi posso
contemplare un istante da la strada
dove il freddo mi gela: m'apparite
nei vostri scialli — freddolosa — e vedo
l'ombra vostra sottile disegnarsi
nella finestra illuminata, come
un'incantata visione. L'amo
perché la pioggia ch'à infangato il lastrico
della via vi costringe a sollevare
un po' le gonne ed a mostrare ai miei
occhi indiscreti e innamorati il vostro
piccolo piede: perché la Vigilia
a mezzanotte, quando le campane
radunano i devoti nella chiesa,
posso venirvi accanto tra la folla,
nella navata immensa, costellata
di ceri ardenti, tra quell'onda viva
biascicante nella luce fioca
orazioni al Redentore e posso
— così vicino a voi — inebbriarmi
aspirando il vostr'alito, i profumi
vostri che non ambrosia e non incenso
sono, ma carne, vita e giovinezza.
L'anima mia allor fluttua, come
galleggiando nell'aria velata
di mistici vapori e più non vedo
il celeste bambino che sorride
da l'altare, non vedo la Madonna
umile e pia, non vedo i sacerdoti
nelle candide stole e la marea
palpitante che mormora e ci avvolge...
E parmi allor che quello scampanio
che dindona — oscillante su noi come
un fluido velario sonoro —
inneggi a voi che siete la Bellezza!
(Da "La leggenda della vita", 1909)
IL NATALE DI UN POETA CLASSICO
di Luigi Siciliani (1881-1936)
Parla il poeta:
Sono solo! terribilmente solo!
Come pesa quest'aria
grigia e questo cielo
bieco e livido!
Che movimento per le strade! è festa.
Dice una mamma ben vestita a un bimbo
vestito bene, innanzi a una vetrina:
"Vuoi tutti quei giocattoli ? Domani."
Domani il bimbo non ricorderà.
Potessi anch'io non ricordare più!
La vita mi ha mentito
come la madre mente a quel fanciullo.
Finire così male, così solo,
dopo avere innalzato
templi di marmo candido, sognato
primavere d'amore, orgie di luce!
È una cosa terribile trovarmi
ora smarrito in mezzo ad una via,
peggio di un mendicante.
Questo chiede,
stende la mano,
ottiene qualche cosa;
ed io che chiedo?
"In carità, comprate
quel mio libro: vedrete
che tenni fede ai nostri padri antichi."
Da ridere! che importa a lor dei padri
o delle madri di mill'anni fa,
di tremila?
Bubbole! panzane!
Guarda quante salcicce e quanti polli,
oche, tacchini ed anatre: è la festa
oggi de' salumai.
Esser poeta? Una gran bella cosa
per chi non ha bisogno, o si contenta
della statua e la lapide
quando sarà crepato!
Vedi, l'alloro l'hanno i fruttivendoli
in copia grande sulle porte e anche
i salumai, per coronar prosciutti.
Fatti porco, ch'è meglio.
Se non a fogli, ti divoreranno,
sicuramente, a fette.
(Da "Poesie per ridere", 1909)
NATALE ANTICO
di Térésah (Corinna Teresa Ubertis, 1877-1964)
Odore di Natale e di bruciate!
Sotto la cappa del camino c'era
quasi una primavera d'agrifogli;
il vischio, il mirto; e c'erano i germogli
della speranza che nome non ha...
Nome non ha, ma spunta, ecco, e s'abbarbica
ai rami della quercia che divampa;
e la fiamma s'allunga e striscia e stampa
orme di luce entro la cappa nera;
fa bel cammino verso la brughiera,
fiorisce spino, luppolo, giaggiolo,
nome non ha, ma canto d'usignolo,
volo di storno, amor di capinera...
è tutta d' oro, va verso l'estate...
Odore di Natale e di bruciate!
S' era a veglia lassù, sotto le rame
che avean per bacche gocciole d'inverno;
zia novellava di cielo e d'inferno
e non udiva l'uggiolìo del cane.
— C'è qualcuno nell'aia... hanno picchiato
ai vetri... no... — Veniva dal passato,
dall'avvenire, il muto viandante?
Ognuno gli chiedeva il suo sembiante.
Noi bimbe si pensava: Oh sarà bello!
avrà la neve a fiocchi sul mantello...
ma sotto l'agrifoglio bacerà
la più bella di noi, che non lo sa.
(Da "Il libro di Titania", 1909)
Nessun commento:
Posta un commento