giovedì 20 giugno 2013

L'estate in dieci poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Ascoltando una vecchia canzone mi sono tornati in mente i giorni meravigliosi di una mitica estate: i giochi con gli amici dell'infanzia; le passeggiate in bicicletta per le strade di Ostia Antica o in campagna; il cortile della casa dei miei nonni; i pranzi divorati in fretta per tornare il più presto possibile a giocare; i frutti appena maturati e colti sugli alberi dell'orto, che mio nonno mi consegnava, alla sera, affinché li portassi a casa; le sere a guardare la televisione pensando al giorno stupendo che mi attendeva all'indomani; i momenti prima di addormentarmi, quando pensavo ad un sonno veloce, dopo il quale, al primo mattino, avrei ritrovato il mio incomparabile mondo; il breve viaggio, in compagnia di mio padre, verso Senigallia; i primi temporali d'agosto che mi spinsero verso una fine dell'estate più fresca e più entusiasmante; i primi giorni di settembre, con una vaga malinconia dovuta all'imminente ritorno sui banchi di scuola, ma, pure, con gli ultimi sprazzi di autentica felicità, mai, fino ad allora, percepita in modo così netto. E perfino mi sembrano lieti, oggi, eventi che non lo furono, come le visite sporadiche a mia nonna in ospedale, che sarebbe stata operata proprio in quell'estate, superando la malattia dopo una lunga e tribolata convalescenza; o la morte, improvvisa, del papa, avvenuta nei primi giorni del mese di agosto. 



MEZZA ESTATE

di Diego Angeli (1869-1937)

Riposo delle umide valli
solcate di fiumi lucenti!
A lunghi intervalli passavano i venti
sui boschi più lievi di un lieve sospir!

Anemoni bianchi ed azzurri
stellavan le rive dei fossi,
oscuri sussurri scorrevan sui bossi...
oh dolce nell'ombra soave dormir!

Chi dunque nei mesi vicini
d'Autunno vedrà queste cose?
Chi dentro i giardini remoti, le rose
già tutte appassite per noi coglierà?

Chi mai sveglierà la silente
dimora? Quali occhi vedranno
nel bosco frondente la morte dell'anno?
Tu no! Questo è un sogno lontano di già!

(Da "L'Oratorio D'Amore. 1893-1903", Alighieri, Roma-Milano 1904)





COMPOSIZIONE
di Giovanni Titta Rosa (1891-1972)

Non erano feste le mie estati lontane.
Corpo di fanciullo
stretto nel dovere senza colore.
Solo i meriggi m'erano frangiati abbandoni freschi sotto gli alberi
ma chiamava il bollore schiumoso della terra.
Sulle toppe roventi
s'attaccavano le mie mani sterpose,
mani che non ebbero carezze di mamma.
Oh il salso del mio sudore
scolarmi sui labbri come una passione soffocata -
povero piccolo rassegnato senza sorriso.
La sera
un volo sperduto mi ricordava il mio esilio.
Camminato avrei verso il tramonto
come l'assetato pellegrino dei racconti:
ma erano lagrime piene sulla gola -
(dolore che non sapeva le sue parole).

Ora vivo nel ricordo di quella mia faccia
estatica nel tremor dell'aria.

(Da "Plaustro istoriato", Zanichelli, Bologna 1919)





ESTIVA
di Vincenzo Cardarelli (1887-1959)

Distesa estate,
stagione dei densi climi
dei grandi mattini
dell’albe senza rumore -
ci si risveglia come in un acquario -
dei giorni identici, astrali,
stagione la meno dolente
d’oscuramenti e di crisi,
felicità degli spazi,
nessuna promessa terrena
può dare pace al mio cuore
quanto la certezza di sole
che dal tuo cielo trabocca,
stagione estrema, che cadi
prostrata in riposi enormi,
dai oro ai più vasti sogni,
stagione che porti la luce
a distendere il tempo
di là dai confini del giorno,
e sembri mettere a volte
nell’ordine che procede
qualche cadenza dell’indugio eterno.

(Da "Giorni in piena", Quaderni di Novissima, Roma 1934) 





CORO D'ESTATE
di Scipione (Gino Bonichi, 1904-1933)

Io sono la voce dell'albero che cade, 
la mia corteccia sarà accarezzata 
quando si vedrà che dentro sono bianco. 
Le mie radici sono d'avorio e sono 
nascoste - la terra fine le ricopre.
Il mio corpo è rotondo,
l'aria sola mi toccava.
Gli uccelli hanno nidificato nei miei rami,
i loro occhi vedevano tutte le mie braccia,
le foglie li nascondevano.
Sotto di me l'uomo si è riposato.
Io sono la voce del fanciullo, 
le mie osse sono tenere e possono cadere 
e non si romperanno. 
Le mie gambe corrono, i miei piedi 
non lasciano impronta.
Il timbro della mia voce somiglia
alla campana del mattino,
al bronzo leggero.

(Da "Le civette gridano", Scheiwiller, Milano 1938)





ESTATE
di Cesare Pavese (1908-1950)

C'è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
                               Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un'erba che so,
con un tonfo. Cosí trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d'aria
e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.
                                                 Ascolti.
La parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.

(Da "Lavorare stanca", Einaudi, Torino 1943)





PRINCIPIO D'ESTATE
di Umberto Saba (1883-1957)

Dolore, dove sei? Qui non ti vedo; 
ogni apparenza t'è contraria. Il sole 
indora la città, brilla nel mare. 
D'ogni sorta veicoli alla riva 
portano in giro qualcosa o qualcuno. 
Tutto si muove lietamente, come 
tutto fosse di esistere felice.

(Da "Ultime cose", Quaderni di Lugano, Lugano 1944)





ENTRO LA DENSA LENTE DELL'ESTATE
di Sergio Solmi (1899-1981)

Entro la densa lente dell’estate, 
nel mattino disteso che già squarciano 
lunghi, assonnati e sviscerati i gridi 
degli ambulanti, - oh, i bei colori! Giallo 
di peperoni, oscure melanzane, 
insalate svarianti dal più tenero 
verde all’azzurro, rosee carote, 
e vesti accese delle donne, e muri 
scabri e preziosi, gonfi ippocastani, 
acque d’argento e di mercurio, e in alto 
il cielo caldo e puro e torreggiante 
di tondi cirri, o bel compatto mondo. 
Lieto ne testimonia, sul pianeta 
Terra, nella città Milano, mentre 
vaga, di sé dimentico e di tutto, 
lungo le calme vie che si ridestano, 
- oggi, addì ventisette Luglio mille 
novecento cinquanta - un milanese. 

(Da "Levania e altre poesie", Mantovani, Milano 1956)





ESTIVA
di Angelo Barile (1888-1967)

In quest'ora di nude
forme, di lingue di fiamma, noi siamo
le tristi salme che bruciano in riva
a un mare fermo come una palude.
Dal nostro rogo
guardiamo a te ventilata fanciulla!

Nel mezzogiorno vitreo di luglio
sulla spiaggia che brulica t'apparti
innamorata.
Ti stendi nella vampa
come nel letto giovanile, ancora
fresco di sogni;
e il capo che hai liberato, la guancia
che sa di mare,
posi nel taglio d'ombra d'una chiglia.

Sui margini di fuoco
ad ora ad ora
chiudi improvviso
apri netto il respiro delle ciglia.
Ed ogni volta, a quel battito senti
un àsolo che viene
da refrigeri d'anima, ti tocca
in viso
la brezza intermittente dei pensieri
che ti stormiscon nei verdi recinti:

giuocano all'angolo della tua bocca.

(Da "Quasi sereno", Neri Pozza, Venezia 1957)





IL PRIMO GIORNO D'ESTATE
di Antonio Barolini (1910-1971)

Il camioncino dei gelati
(la campanella allegra)
passa tra gli alberati
viali residenziali.

I bambini,
che giocano nel prato a perdifiato,
smettono e gli vanno incontro:
i nichelini in mano.

I cani, risvegliati,
abbaiano per chiasso
e gli uccelli cinguettano tra i rami.
Si dondolano, frullano
in alto e in basso.

Una cicala urla
nell'ora meridiana:
è la prima di un'estate
di tenere piogge,
che pareva una burla.

È scoppiata e si sente 
l'avvenuto momento 
da come il cielo vibra 
sull'erba radente. 
Ogni cosa, nella luce, 
ha la trasparenza dell'aria. 
C'è un paese al mondo, 
dove non sia questa festa?.

(Da "Elegie di Croton", Feltrinelli, Milano 1959)





ERA ESTATE DI FARFALLE
di Nico Orengo (1944-2009)

Era estate di farfalle
perché troppi fiori
erano rimasti da
una primavera tarda.
La nube di farfalle
aveva confuso
l'immobilità delle tortore
che avevano abbandonato
i lunghi fili dell'Enel
per rifugiarsi alle case
dei cacciatori, spente
nei rovi di polverose
more, eco di sparo.

(Da "Cartoline di mare vecchie e nuove", Einaudi, Torino 1999)

Nessun commento:

Posta un commento