sabato 15 giugno 2013

"Ali in cielo" di Francesco Biondolillo

"Ali in cielo" è il titolo della seconda opera poetica di Francesco Biondolillo (Montemaggiore Belsito 1887 - Roma 1974), uscì nel 1907 per le edizioni della "Vita Letteraria" in Roma e in parte si colloca nell'area crepuscolare e simbolista che caratterizzava in quel particolare periodo molta poesia nostrana. Biondolillo aveva esordito come poeta con la raccolta Aneliti nel 1905 e dopo il libro del 1907 non uscirono più suoi libri di poesia; continuò comunque ad interessarsi assiduamente di letteratura affermandosi come critico letterario. Ali in cielo è un libro di 64 pagine, le 19 poesie che lo compongono sono divise nelle seguenti sezioni: I. Primi poemi sinfonici; II. Intermezzo di Rime; III. Secondi poemi sinfonici. A sua volta la sezione II, Intermezzo di Rime, è suddivisa in tre sottosezioni: I. Visioni eroiche; II. Canti del silenzio; III. da «Pantheon». Leggendo le poesie del volume si nota la presenza di versi liberi, cosa molto rara nell'anno in cui uscì la raccolta, e fortemente innovativa se si pensa che tra i precursori di questo nuovo tipo di versificazione ci sono Gian Pietro Lucini, Corrado Govoni, Federico De Maria, Aldo Palazzeschi e Sergio Corazzini; tutti questi illustri poeti iniziarono a praticare il verso libero nei primissimi anni del Novecento e quindi in uno spazio di tempo non lontano dall'opera di Biondolillo; non sono assenti comunque, in Ali in cielo, versi tradizionali che dimostrano un saldo legame, da parte del poeta e critico siciliano, con i classici. Volendo riassumere il meglio di quest'opera poetica di Biondolillo, sono tre le poesie che a mio parere si elevano rispetto alle altre, sia per una semplicità schietta, sia perchè bene rappresentano quel clima vagamente crepuscolare di cui ho parlato poco fa, queste sono: La partenza (p. 16), Agonie (p. 18) e In silenzio... (p. 33); quest'ultima è stata inserita nel terzo volume dell'antologia Poeti simbolisti e liberty in Italia a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, del 1972. La partenza è un componimento in versi liberi che argomenta un desiderio del poeta, quello, appunto, di partire verso mète lontane e indefinite; già all'inizio della poesia si nota quel fare poetico tipico dei decadenti e dei crepuscolari, pieno di accenti malinconici e di atmosfere autunnali: «Partire solo solo nell'ora del tramonto, / in un tramonto tepido e calmo d'autunno, / mentre s'allarga la luce morente per l'azzurro diffuso del Cielo / e si piegano come ali stanche, / tristemente, le vele delle barche sul Mare, / e lenta lenta mi giunge la voce / d'una campana / lontana / lontana». In tutta la poesia c'è una celebrazione della solitudine e della fuga, dell'allontanamento dalle persone amate e dalla propria dimora; negli ultimi versi ritorna il famoso tema corazziniano del "povero fanciullo abbandonato": « [...] solo, gravato dal pondo del silenzio notturno, / mi curverò in un cantuccio, / mi raggomitolerò in me stesso, / interrogherò l'anima mia, / singhiozzerò di paura come un fanciullo».
Predomina il tema della malattia nel componimento intitolato Agonie che è diviso in tre sezioni di cui la prima è una esortazione fatta dal malato morente affinchè il maggior numero di persone possibile si avvicini a lui e lo vegli nel momento della morte; in questi versi pare evidente una sorta di masochismo o esibizionismo della sofferenza e della propria morte: «Venite, venite, sorelle; / scaldate col fiato il mio volto, / toccate l'esangue mia mano, / baciate la bocca già smorta / e gli occhi velati di morte!». Nella seconda parte il malato si rivolge alla madre con parole disperate e rassegnate al peggio: «Or la vita mi fugge: / io la vedo fuggire, / io mi sento sfinire, / o madre mia lontana, / io mi sento morire...». L'ultima sezione si apre con la descrizione dei ceri che contornano il letto del moribondo e che costui guarda infastidito, per questo chiede che vengano aperte le imposte della finestra affinchè possa veder le stelle e sentire il suono delle ultime campane: «Aprite la sola finestra; / ch'io veda le stelle brillare / nel cielo, stavolta soltanto! / Ch'io senta sonar le campane / vicine, stavolta soltanto!». Sembra evidente in questi ultimi versi il riferimento al mondo ultraterreno verso cui l'agonizzante, in sentore di morte, si sente fortemente attratto.
Un clima decisamente triste e malinconico ancora una volta la fa da padrone nelle terzine di In silenzio..., poesia che attinge largamente dal repertorio dei decadenti e dei simbolisti: « [...] è l'urna del pianto segreta, / aerea, invisibile, l'ombra, / che accoglie la voce inquieta / / de l'anima nostra già stanca; / la voce dei gigli sfioriti, / che muore, che piegasi e sbianca...» Concludendo mi sembra giusto affermare che, insieme ai poeti più conosciuti e meritevoli che all'inizio del XX secolo apportarono radicali rinnovamenti nella poesia italiana, Francesco Biondolillo operò e contribuì nel suo piccolo a tale rinnovamento.




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