"Ali in cielo" è il titolo della seconda opera
poetica di Francesco Biondolillo (Montemaggiore Belsito 1887 - Roma 1974), uscì
nel 1907 per le edizioni della "Vita Letteraria" in Roma e in parte si colloca
nell'area crepuscolare e simbolista che caratterizzava in quel particolare
periodo molta poesia nostrana. Biondolillo aveva esordito come poeta con la
raccolta Aneliti nel 1905 e dopo il libro del 1907 non uscirono più suoi
libri di poesia; continuò comunque ad interessarsi assiduamente di letteratura
affermandosi come critico letterario. Ali in cielo è un libro di 64 pagine, le
19 poesie che lo compongono sono divise nelle seguenti sezioni: I. Primi
poemi sinfonici; II. Intermezzo di Rime; III. Secondi poemi
sinfonici. A sua volta la sezione II, Intermezzo di Rime, è suddivisa
in tre sottosezioni: I. Visioni eroiche; II. Canti del silenzio;
III. da «Pantheon». Leggendo le poesie del volume si nota la
presenza di versi liberi, cosa molto rara nell'anno in cui uscì la raccolta, e
fortemente innovativa se si pensa che tra i precursori di questo nuovo tipo di
versificazione ci sono Gian Pietro Lucini, Corrado Govoni, Federico De Maria,
Aldo Palazzeschi e Sergio Corazzini; tutti questi illustri poeti iniziarono a
praticare il verso libero nei primissimi anni del Novecento e quindi in uno spazio di tempo non
lontano dall'opera di Biondolillo; non sono assenti comunque, in Ali in cielo,
versi tradizionali che dimostrano un saldo legame, da parte del poeta e critico
siciliano, con i classici. Volendo riassumere il meglio di quest'opera poetica
di Biondolillo, sono tre le poesie che a mio parere si elevano rispetto alle
altre, sia per una semplicità schietta, sia perchè bene rappresentano quel clima
vagamente crepuscolare di cui ho parlato poco fa, queste sono: La
partenza (p. 16), Agonie (p. 18) e In silenzio... (p. 33);
quest'ultima è stata inserita nel terzo volume dell'antologia Poeti
simbolisti e liberty in Italia a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller,
del 1972. La partenza è un componimento in versi liberi che argomenta un
desiderio del poeta, quello, appunto, di partire verso mète lontane e
indefinite; già all'inizio della poesia si nota quel fare poetico tipico dei
decadenti e dei crepuscolari, pieno di accenti malinconici e di atmosfere
autunnali: «Partire solo solo nell'ora del tramonto, / in un tramonto tepido
e calmo d'autunno, / mentre s'allarga la luce morente per l'azzurro diffuso del
Cielo / e si piegano come ali stanche, / tristemente, le vele delle barche sul
Mare, / e lenta lenta mi giunge la voce / d'una campana / lontana /
lontana». In tutta la poesia c'è una celebrazione della solitudine e della
fuga, dell'allontanamento dalle persone amate e dalla propria dimora; negli
ultimi versi ritorna il famoso tema corazziniano del "povero fanciullo
abbandonato": « [...] solo, gravato dal pondo del silenzio notturno, / mi
curverò in un cantuccio, / mi raggomitolerò in me stesso, / interrogherò l'anima
mia, / singhiozzerò di paura come un fanciullo».
Predomina il tema della malattia nel componimento
intitolato Agonie che è diviso in tre sezioni di cui la prima è una
esortazione fatta dal malato morente affinchè il maggior numero di persone
possibile si avvicini a lui e lo vegli nel momento della morte; in questi versi
pare evidente una sorta di masochismo o esibizionismo della sofferenza e della
propria morte: «Venite, venite, sorelle; / scaldate col fiato il mio volto, /
toccate l'esangue mia mano, / baciate la bocca già smorta / e gli occhi velati
di morte!». Nella seconda parte il malato si rivolge alla madre con parole
disperate e rassegnate al peggio: «Or la vita mi fugge: / io la vedo fuggire,
/ io mi sento sfinire, / o madre mia lontana, / io mi sento morire...».
L'ultima sezione si apre con la descrizione dei ceri che contornano il letto del
moribondo e che costui guarda infastidito, per questo chiede che vengano aperte
le imposte della finestra affinchè possa veder le stelle e sentire il suono
delle ultime campane: «Aprite la sola finestra; / ch'io veda le stelle
brillare / nel cielo, stavolta soltanto! / Ch'io senta sonar le campane /
vicine, stavolta soltanto!». Sembra evidente in questi ultimi versi il
riferimento al mondo ultraterreno verso cui l'agonizzante, in sentore di morte,
si sente fortemente attratto.
Un clima
decisamente triste e malinconico ancora una volta la fa da padrone nelle terzine
di In silenzio..., poesia che attinge largamente dal repertorio dei
decadenti e dei simbolisti: « [...] è l'urna del pianto segreta, / aerea,
invisibile, l'ombra, / che accoglie la voce inquieta / / de l'anima nostra già
stanca; / la voce dei gigli sfioriti, / che muore, che piegasi e sbianca...»
Concludendo mi sembra giusto affermare che, insieme ai poeti più conosciuti e
meritevoli che all'inizio del XX secolo apportarono radicali rinnovamenti nella
poesia italiana, Francesco Biondolillo operò e contribuì nel suo piccolo a tale
rinnovamento.
Nessun commento:
Posta un commento