mercoledì 4 ottobre 2023

Due conventi francescani in due poesie

 Nella ricorrenza annuale che festeggia San Francesco d'Assisi, ho voluto rispolverare due vecchie poesie dove protagonista non è il santo patrono d'Italia, bensì alcuni dei tantissimi luoghi che il poverello d'Assisi ci ha lasciato in eredità: i conventi dei frati francescani. Nella prima poesia: San Francesco del Deserto di Angiolo Orvieto (Firenze 1869. ivi 1967), si parla, per l'appunto, di un convento francescano situato in un luogo bellissimo: una piccola isola della laguna veneziana che ha il nome equivalente al titolo della lirica; San Francesco del Deserto si trova tra altre due isole: Burano e Sant'Erasmo; come ben spiegano i versi del poeta, in quel luogo così isolato si respira un'atmosfera di profonda pace, accentuata dal silenzio (si odono, a volte, soltanto i leggeri rumori provenienti dall'isola di Burano); questa quiete unita alla bellezza del posto, fanno sì che la solitudine, aggettivata dal poeta, diviene "beata", poiché chi rimane da solo non soffre, anzi si gode quelle sensazioni uniche, mistiche e rasserenanti, in grado d'isolarlo da tutto il resto del mondo, e di dargli la netta sensazione di essere in un paradiso terrestre. San Francesco del Deserto fu pubblicata per la prima volta nella raccolta poetica di Angiolo Orvieto intitolata La sposa mistica. Il velo di Maya (Treves, Milano 1898). Io l'ho trascritta da un altro volume, pubblicato dopo dodici anni dalla morte dello scrittore toscano: Poesie scelte, Olschki, Firenze 1979. 


SAN FRANCESCO DEL DESERTO


San Francesco del deserto,

romitaggio lagunare,

d’un settemplice filare

di cipressi ricoperto;


questo vento vien dal mare

e disfiora il tuo convento,

e d’un lieve movimento

ti fa l’acqua scintillare.


S’ode un vivo cinguettare

per le tue paludi intorno,

e nel pieno mezzogiorno

una navicella appare.


Essa muove piano piano 

sovra l’alighe palustri;

fra quei tremuli ligustri

lenta va verso Burano.


Da Burano non lontano

giunge suono di campane,

che le belle popolane

chiama al desco rusticano.


Sosta l’opra della mano

che tessea merletti vaghi;

hanno tregua fili ed aghi

nel tepore meridiano.


Sulla lastre, che fragore

di sonanti zoccoletti,

o Burano dei merletti,

o Burano dell’amore!


Ma non giunge quel rumore

qui, nell’ombra claustrale,

nel silenzio sempre uguale,

sempre uguale a tutte l’ore.


Qui la pace delle aurore

dura tutta la giornata:

solitudine beata

per chi vive e per chi muore.


«O beatitudo sola,

o beata solitudo!»

Sull’antico muro ignudo

sta la mistica parola.


La parola che consola

il mio spirito dolente,

e lo culla dolcemente

come suono di viola.


Siimi tu lucente scudo,

siimi tu divina scuola,

«O beatitudo sola,

o beata solitudo!»


(da "Poesie scelte", Olschki, Firenze 1979, pp. 78-79)





Anche la seconda poesia: Convento francescano di Silvio Cucinotta (Pace del Mela 1873 - Santa Lucia del Mela 1928), parla di un luogo appartato, in cui risulta facile farsi attrarre dalle atmosfere mitiche e, nello stesso tempo, da un senso di pace non riscontrabile altrove. Questo convento di cui parla il poeta siciliano, si trova a pochi passi dal mare, ed è circondato da un panorama bellissimo. Qui, come nell'isoletta descritta dalla poesia di Orvieto, sembra di vivere fuori dal mondo; si è soli, è vero, ma ciò non comporta affatto sofferenza; la solitudine diviene "gioconda", e i rumori piacevoli che si ascoltano, come le voci dei frati in preghiera, o il "din don" delle campane del convento, fanno sì che l'anima risorga da uno stato di angoscia, che si riappacifichi col mondo intero, proiettandosi verso il futuro con nuova speranza.  



CONVENTO FRANCESCANO


Il convento guarda il mare

co' suoi cento occhi d'asceta:

vien da 'l mare un palpitare

qual frusciar molle di seta.


Dorme l'orto ne la bruna

povertà del suo verdore

lusingato da 'l candore

palpitante de la luna.


Frate vento con un lene

sospirar di cella in cella

tenta l'anima e cancella

le misteriose pene.


Dolce pace di convento

dove l'anima traduce

ne l'angoscia di un accento

una speme che riluce!


Ecco l'anima risorta

da la collera de l'onda,

ha picchiato a la tua porta,

solitudine gioconda.


Ne la notte, mentre il mare

mugghia e il fremito del vento

con un sordo brontolare

scuote il tetto del convento,


grave spandesi da 'l coro

la preghiera francescana,

cui risponde la campana

co 'l suo fremito sonoro;


cui risponde questo cuore

che sa i fremiti del male,

sa le nenie del dolore,

il fragor del temporale.


Dolce pace di convento

dove l'anima traduce

ne l'angoscia d'un accento

una speme che riluce!


Ora picchio a la tua porta,

solitudine di pace:

cerca l'anima risorta

pace pace pace pace...


(da "Brume", Trinchera, Messina 1913, pp. 22-24)


Silvio Cucinotta



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