La bellezza della stagione autunnale ha diverse sfaccettature: la si può ammirare in molti paesaggi ricchi di vegetazione, in cui saltano agli occhi alberi le cui foglie spesso hanno i caratteristici colori rosso e giallo; oppure nei viali un po' fuori i centri abitati, circondati dagli immancabili alberi, i cui rami hanno già perso molte foglie che, ora, abbondano sul terreno, rendendo la visuale del percorso che dobbiamo o vogliamo attraversare più attraente. Ma le attrattive dell'autunno risiedono anche nei prodotti alimentari tipici di questa stagione, come le castagne, i frutti (uva soprattutto) e i cibi cotti a base di legumi, che già si consumano ben caldi. È soprattutto su queste peculiarità stagionali, che si concentrano i versi di Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure, 12 gennaio 1888 – Savona, 31 ottobre 1967), da me trascritti consultando un libro in cui è presente l'intera opera poetica e prosastica dello scrittore ligure. Volendo chiarire il significato di alcuni vocaboli usati dal poeta, aggiungo che il verbo "scapitozzare" ha la valenza di "potare; "sfrombolare" sta per "cadere con violenza"; "stambugio" equivale a "stamberga"; la "pignatta" è una pentola in terracotta e il "gotto" è un recipiente in vetro, in genere fornito di manico, per lo più utilizzato per bere della birra. A proposito del primo verso, ricordo che la potatura dei gelsi va effettuata prima che giunga la primavera; ma poiché non va fatta nei mesi più freddi, in genere il lavoro viene portato a termine tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre.
SCAPITOZZANO GELSI...
Scapitozzano gelsi; batton cerchi
a botti. Si rovescia sui selciati
la legna per l'inverno e suona d'ascia
ogni corte.
La castagna che sfrombola nei boschi
liberala dal riccio, castagnaio!
insaccala; ché già in città fan ressa
alla padella delle caldarroste,
con le mani intascate e i nasi rossi,
i ragazzi all'uscita della scuola.
E pure noi la sera, chiacchierando
tra il vino con gli amici, sgusceremo
bruciate; ché non è più saggia cosa.
Guarda la terra la sua genitura,
affaticata madre che, tra il pianto
tremolandole un riso, il nato guarda
che la fece gridare...
L'anima fascia una raccolta pace;
e la tiene a spiar, di là dai vetri,
lo stambugio, le nere
mani del ciabattino, come fosse
in quel cerchio di luce la pensata
felicità.
Che il borbottar della pignatta esali
un odor di legumi, altro non chiede,
e al suo deschetto lo ritrovi l'alba.
E la sera nel gotto denso vede
avverate le povere speranze
che pure a lui fanciullo
avranno fatto palpitare il cuore.
Autunno, primavera della terra:
serba l'albero il fuoco dei passati
soli,
come l'anima il caldo dei ricordi.
Autunno, tarda nostra primavera:
tempo che sull'amara
bocca dell'uomo
spunta il fiore tremante del sorriso.
1922
(da: Camillo Sbarbaro, "L'opera in versi e in prosa", Garzanti, Milano 1995, pp. 100-101)
Molto bella! Complimenti per questo impegno che infondi nel restituirci preziose testimonianze letterarie!
RispondiEliminaGrazie mille!
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