Nacque a Firenze nel 1894 e ivi morì nel 1970. Esordì in letteratura molto giovane, pubblicando delle poesie nella rivista Lacerba; alcune tra queste, comparvero poi nelle prime raccolte di versi che Viviani pubblicò tra il 1914 ed il 1916, in cui il poeta fiorentino si dimostrò un fervente seguace delle migliori avanguardie poetiche attive nei primissimi anni del XX secolo, in particolare del crepuscolarismo e del futurismo. Saltuariamente, Viviani continuò a scrivere poesie anche dopo la gioventù, inserendole in nuovi volumi che spesso comprendevano anche i suoi primi versi. Ma Viviani oggi è ricordato soprattutto per alcuni suoi libri di prosa, in cui rievocò i tempi in cui, frequentando il famoso caffè del capoluogo toscano: Le Giubbe Rosse, conobbe alcuni tra i più noti letterati italiani che a quei tempi pubblicavano i loro scritti in riviste come La Voce e, per l’appunto, Lacerba.
Opere poetiche
“Il mio cuore”, Tip.
Galileiana, Firenze 1914.
“Le ville silenziose”,
Gonnelli, Firenze 1915.
“Rose d'argento”, Tip.
Galileiana, Firenze 1916.
“Il mio cuore” (2° ed.),
Istituto Editoriale Italiano, Milano 1919.
“Sole mio”, Carra, Roma
1923.
“Han dato fuoco al Sole”,
Alpes, Milano 1928.
“Fiordelmondo”, Studio
Editoriale Moderno, Catania 1928.
Presenze in antologie
"I poeti del Futurismo
1909-1944" a cura di Glauco Viazzi, Longanesi & C., Milano 1978 (pp.
276-281).
"Dal simbolismo al
déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp.
539-544).
Testi
LA SALA GIALLA
Di giallo è parata la sala
che dorme
nel grande castello.
Le sedie, i divani, le
tende, i tappeti
son gialli,
le mura gli specchi ed i
quadri
colore ottocento.
Arcigne le tele dei vecchi
antenati in cornice
guardano incerte la porta
se mai vi apparisse
il servo vestito alla moda.
Respirano ansiosi i vecchi
antenati
quell'aria che dentro vi
spira,
quell'aria che odora
ancora
di dame vestite di raso
di cavalieri con le calze
bianche e la parrucca,
con l'occhialetto
e i fiocchi color rosa.
Il vecchio orologio che
ormai
non segna più l'ora
è casa ad un ragno.
E il ragno tesse e si
affaccia stupito
alla mostra, da quel
silenzio,
guardando melanconico
tutto quel giallo.
E tesse - Tesse senza posa
la tela
che pende leggera nell'aria
color oro pallido,
che scende qual nebbia a
velare la mostra di smalto.
Nell'angolo riposa (la
tastiera aperta)
il pianoforte,
e la musica sgualcita è sul
leggìo
che attende.
Quali manine avranno
strappato
a quelle corde l'ultimo
pianto? -
Chissà - Mistero.
La vecchia dama guarda
sempre arcigna
la porta della sala
e l'impiantito sembra
solcato
da frementi piedini
che vanno dietro,
spasimosi,
a l'ultimo singhiozzo
del minuetto di Boccherini.
(da "Le ville silenziose", Gonnelli, Firenze 1915, pp. 19-20)
DALLA FINESTRA DEL MIO
CASTELLO
I.
Oh come stranamente
singhiozza
questa notte nella via
l'organo di Barberia.
Suona con voce fiacca
quella strana, solita
canzone polacca
che popola la via bianca
di una folla dolorosa
e stanca,
e pare quasi che le note
lente
suonino l'agonia
di quella gente.
II.
Dalla cappella vicina
delle suore di Maria
Riparata
come un'ondata
sale alle stelle la voce
bambina
della spinetta scordata.
III.
(Voce di falsetto
accompagnata dalla chitarra).
"Vieni alla finestra
dolce amore
cuore del mio cuore
non mi far penar
più..."
IV.
L'organo singhiozza ancòra
la canzone polacca
interminabile
che tanto, tanto
addolora...
V.
Nell'aiola di rose
dell'altare
un piccolo cristo
con gli occhi cerchiati di
bistro
piange
lacrime amare.
(da "Rose
d'argento", Tip. Galileiana, Firenze 1916, pp. 19-20)
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