La storia poetica
di Marino Moretti (Cesenatico 1885 – ivi 1979) possiede delle caratteristiche
tali da farla somigliare moltissimo a quella dell’amico e coetaneo Aldo
Palazzeschi (1885-1974): entrambi, infatti, iniziarono a scrivere versi che
erano giovanissimi, ed entrambi abbandonarono temporaneamente la poesia intorno
ai trent’anni, per dedicarsi completamente alla prosa. Sia Moretti che
Palazzeschi, tornarono a scrivere dei versi in età senile, ovvero quando
decisero di chiudere con la prosa (che pure aveva dato ai due soddisfazioni enormi
di critica e di pubblico). Ma bisogna distinguere le due fasi poetiche dello
scrittore cesenaticense: la prima, che va dal debutto a soli diciotto anni,
alla raccolta Il giardino dei frutti,
pubblicata nel 1916, è di gran lunga più importante della seconda, e va
inserita all’interno della migliore poesia “crepuscolare”. In particolare, la
raccolta Poesie scritte col lapis,
del 1910, rappresenta una svolta decisiva per Moretti, che con questi versi
diventa il massimo rappresentante di quelle
atmosfere malinconiche, quei luoghi chiusi e squallidi e quei personaggi
dimessi, tipici del crepuscolarismo; se è vero che, per alcuni caratteristici
tratti, da questo punto di vista Moretti era stato anticipato da Corrado Govoni
e Sergio Corazzini, non ci sono dubbi che sia lui a versificare in modo
ineccepibile i pensieri, le situazioni e le vicende personali più
identificabili nella poesia crepuscolare. Ecco a tal proposito, cosa scrisse
Antonio Quatela nel suo volume intitolato Invito a conoscere il Crepuscolarismo:
[…] anche Moretti
fa uso abbondante del campionario tematico crepuscolare, dai luoghi (la
provincia sonnacchiosa, lo spleen della domenica, gli interni squallidi, i
cortili e i giardinetti tristi, una atmosfera domestica ed ancillare depressa),
ai colori (il grigio dominante, i toni smorzati), agli stati d’animo
(l’ossessione minimalista, la mediocrità ostentata, la tristezza, la
malinconia, la dolorosa nostalgia).
La seconda fase
poetica di Moretti, sebbene sia stata pubblicata quando lo scrittore romagnolo
aveva superato già gli ottant’anni, iniziò ben prima, ed ha delle peculiarità
differenti solo in parte rispetto alla prima, come afferma Geno Pampaloni
nell’introduzione al volume che, nel 1966, raccoglieva tutta la produzione
poetica di Moretti, comprendente la sezione finale, intitolata Diario senza le date, che, sebbene
parzialmente, rappresenta proprio questa fase; eccone, a tal proposito, un
frammento:
[…] Si direbbe
che ora il poeta cerchi una nuova, più virile definizione di se stesso: e cozzi
contro un’ultima impotenza, contro una incapacità senza rimedio a staccarsi del
tutto dalle sue morbide ambivalenze. La sua poesia è sempre sull’orlo della
resa, sul filo di una definitiva rinuncia: e sempre sollecitata a esprimersi, a
rigerminare in parole un sentimento irrinunciabile.²
Complessivamente, l’opera
poetica di Moretti è stata ed è ritenuta tra le migliori del Novecento
italiano; sta a dimostrare questa affermazione, il fatto inconfutabile che il
suo nome figuri in tutte o quasi le antologie più rilevanti della poesia italiana
del XX secolo. Per quanto riguarda poi il crepuscolarismo, il poeta romagnolo
ne è senz’altro, insieme a Gozzano, Corazzini e Govoni, uno dei massimi
esponenti. Ecco infine, dopo l’elenco delle opera in versi, quattro poesie di
Moretti: le prime due rappresentano la fase giovanile, mentre le ultime fanno
parte del periodo della vecchiaia.
Opere poetiche
“L'autunno della vergine”,
Ducci, Firenze 1903.
“Il poema di un'armonia”,
Ducci, Firenze 1903.
“La sorgente della pace”,
Ducci, Firenze 1903.
“Fraternità”, Sandron,
Palermo 1905.
“La serenata delle zanzare”,
Streglio, Torino 1908.
“Poesie scritte col lapis”,
Ricciardi, Napoli 1910.
“Poesie di tutti i giorni”, Ricciardi, Napoli 1911.
“Poemetti di Marino”,
Tipografia Editrice Nazionale, Roma 1913.
“Il giardino dei frutti”,
Ricciardi, Napoli 1916.
“Poesie (1905-1914)”,
Treves, Milano 1919.
“Tutte le poesie”,
Mondadori, Milano 1966.
“L’ultima estate
(1965-1968)”, Mondadori, Milano 1969.
“Tre anni e un giorno
(1967-1969)”, Mondadori, Milano 1971.
“Le poverazze (1968-1972)”,
Mondadori, Milano 1973.
“Diario senza le date”,
Mondadori, Milano 1974.
“In verso e in prosa”,
Mondadori, Milano 1979 (1987²).
Testi
NESSUNO T'ASCOLTA
Piangi? Nessuno t'ascolta.
E chi dovrebbe, se mai?
Chi guarda i vecchi rosai
quando han fiorito una
volta?
Chiedi pure lungo il giorno
un bicchier d'acqua, un
tozzo
di pane: va', cerca un
pozzo,
va', cerca l'uscio d'un
forno.
Hai tu molta sete, hai tu
molta
fame? Vuoi acqua, pan
bruno?
Qua non t'ascolta nessuno,
più giù nessuno t'ascolta.
O nulla vuoi? Vuoi soltanto
parlare d'una tua pena
che t'apra a un tratto la
vena
più salutare del pianto?
A chi? Nessuno t'ascolta
se parli d'anni e di guai.
Chi guarda i vecchi rosai
quando han fiorito una
volta?
«Buon giorno, qual è la via
che conduce nella valle?»
Ma l'uomo ha alzato le
spalle
continuando la sua via.
Ecco. Nessuno t'ascolta.
E chi dovrebbe, se mai?
L'ultima rosa da assai
tempo, o straniero, fu
colta.
(da Poesie scritte col lapis, Mondadori, Milano 1970, pp. 25-26)
DAL BARBIERE
Chi mi darà le piccole
mezz'ore
buttate via così
tacitamente
nella bottega lustra e
risplendente
come una giostra del
barbitonsore?
Tutti occupati avanti le
specchiere
i seggioloni comodi e io mi
metto
a seder sul divano e
aspetto: aspetto
che sia libero un posto e
un parrucchiere.
Si parla. Ascolto. Una
cadenza austera
è in certe voci, un tono
misurato.
E guardo. Guardo un volto
insaponato
che mi sorride là dalla
specchiera.
Un tale che ha già un mezzo
volto raso
socchiude gli occhi dolci
tratto tratto.
Un altro si rimira
insoddisfatto
e attediato raggrinzando il
naso.
Un terzo legge il foglio. E
i parrucchieri
girano intorno al proprio
paziente
parlando un po' di tutto
blandamente,
a voce bassa, placidi e
leggeri.
«Un fracasso le dico, un
finimondo...»
«Giunse il marito in quel momento
stesso...»
«Non c'è che dire, è stato
un bel successo...»
«Parla bene, convince, però
in fondo...»
*
Dove son io? Perché son
qui? Mi pare
che i miei sogni, il mio
cuore
cadano coi i capelli del
signore
là dirimpetto che si fa
tosare;
ed è come se il mio stesso
cervello,
i miei pensieri, tutto mi
sia tolto
s'io guardo un gesto o una
parola ascolto,
s'io vedo ancora l'ombra
d'un capello.
Gli specchi alle pareti
mi sogghignano in faccia
allegramente
il travaglio di tutta
questa gente
che ha forse ancor dei
sogni e dei segreti.
Perché son qui? che
attendo?
perché rimango immoto
a guardar nello specchio un
altro ignoto
(sei tu! non ti conosci?), un viso orrendo
che mi guarda impassibile,
attendendo?
(son io col viso bianco e
il cuore vuoto...)
(da Poesie scritte col lapis, Mondadori, Milano 1970, pp. 127-128)
L'ASSENZA
Estroso, un po' arrogante,
talvolta mi son detto:
«Se scrivi con diletto
non sei un dilettante?»
Sì, certo, un dilettante,
altro non sono. Voglio
restare col mio orgoglio,
più che estraneo, distante.
Scrivo per mio diletto,
scrivo come per gioco
e m'importa ben poco
se sono o non son letto.
Eccomi acre, imprudente
come quando ero a scuola
e una sola parola
mi definiva: «Assente».
(da In verso e in prosa, Mondadori, Milano 1987, p. 63)
OGGI NON ESCO
Non c'è più passatempo
per me se il tempo passa.
Tempo della grancassa,
trame, insidie del tempo.
Questo poi che il destino
m'assegnò lo detesto.
E non l'accetto. Resto
solo in casa o in giardino.
Non esco perché sento
uno strano rumore
dentro di me. Un fruscìo
peggio, uno scricchiolìo
come d'ammonimento.
Indi quasi un fragore.
Una chiamata. È il mio
caro tempo che muore.
(da In verso e in prosa, Mondadori, Milano 1987, p. 81)
NOTE
1) Da: Antonio Quatela,
Invito a conoscere il Crepuscolarismo,
Mursia, Milano 1988, p. 129.
2) Dall’Introduzione
di Geno Pampaloni al volume: Marino Moretti, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1966, p. XXIV.
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