mercoledì 4 ottobre 2023

"Addio!"

 Molto probabilmente le rondini, anche quest'anno, hanno già lasciato il luogo dove vivo e dove erano giunte - se non sbaglio - un po' in ritardo rispetto a quelli che erano considerati, una volta, i tempi tradizionali, ovvero tra la fine di marzo e l'inizio di aprile. Io sinceramente non me ne sono accorto, ma se guardo il cielo in queste prime giornate d'ottobre, mi sembra di non vederne alcuna. Ma oggi chi fa più caso all'arrivo o alla partenza delle rondini? Credo ben pochi. Una volta non era così: le numerose poesie dedicate alle rondini (e non soltanto ad esse), stava a significare che c'era un'attenzione maggiore nei confronti di eventi stagionali ritenuti importanti. Più di cento anni fa, gli occhi degli esseri umani non erano concentrati sul piccolo schermo facente parte dello smartphone: l'oggetto più usato da tutte le generazioni, che ai tempi nostri rappresenta qualcosa d'imprescindibile, in assenza del quale la vita non è vita. Allora, gli occhi degli uomini, delle donne e dei bambini guardavano altrove e, spesso, succedeva che notassero la presenza delle rondini nel cielo primaverile o estivo. Il poeta Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) , nella poesia intitolata Addio!, dedica dei versi a questi uccelli che ci fanno visita dai tempi dei tempi a primavera, e che ci lasciano nel periodo autunnale, poiché vanno sempre alla ricerca di luoghi caldi, dove poter vivere in condizioni accettabili. Pascoli, in questi versi, è come se volesse parlare alle rondini, per salutarle. Forse perché aveva studiato da anni e anni il loro comportamento, fatto sta che il poeta romagnolo riusciva a capire il loro linguaggio, intuiva, dai loro movimenti, la loro imminente partenza verso le isole della Grecia e le regioni del Nordafrica. Ma dal verso 37 alla fine del componimento, Pascoli confessa la sua intima sofferenza per una mancata paternità che gl'impedisce - come fanno le rondini - di protrarre la sua esistenza attraverso quella dei figli. È come se, i cosiddetti "quattro rondinotti" desiderati dal poeta, gli permettessero di non morire; essi, secondo il suo pensiero, avrebbero rappresentato una virtuale prosecuzione della vita dei genitori, così come avviene per le rondini, che nascono, vivono e muoiono, ma generazione dopo generazione non mutano le loro abitudini. Addio! fu pubblicata per la prima volta nel volume "Canti di Castelvecchio", Zanichelli, Bologna 1903. Io l'ho trascritta da una riedizione della raccolta citata, curata Giuseppe Nava e pubblicata dalla Rizzoli di Milano nel 1993 (4° edizione).



ADDIO!


Dunque, rondini rondini, addio! 


Dunque andate, dunque ci lasciate 

per paesi tanto a noi lontani. 

È finita qui la rossa estate. 

Appassisce l'orto: i miei gerani 

  più non hanno che i becchi di gru. 


Dunque, rondini rondini, addio! 


Il rosaio qui non fa più rose. 

Lungo il Nilo voi le rivedrete. 

Volerete sopra le mimose 

della Khala, dentro le ulivete 

  del solingo Achilleo di Corfù. 


Oh! se, rondini rondini, anch'io... 


Voi cantate forse morti eroi, 

su quest'albe, dalle vostre altane, 

quando ascolto voi parlar tra voi 

nella vostra lingua di gitane, 

  una lingua che più non si sa. 


Oh! se, rondini rondini, anch'io... 


O son forse gli ultimi consigli 

ai piccini per il lungo volo. 

Rampicati stanno al muro i figli 

che al lor nido con un grido solo 

  si rivolgono a dire: Si va? 


Dunque, rondini rondini, addio! 


Non saranno quelle che le case 

han murato questo marzo scorso, 

che a rifarne forse le cimase 

strisceranno sopra il Rio dell'Orso, 

  che rugliava, e non mormora più. 


Dunque, rondini rondini, addio! 


Ma saranno pur gli stessi voli; 

ma saranno pur gli stessi gridi; 

quella gioia, per gli stessi soli; 

quell'amore, negli stessi nidi; 

  risarà tutto quello che fu. 


Oh! se, rondini rondini, anch'io... 


io li avessi quattro rondinotti 

dentro questo nido mio di sassi! 

ch'io vegliassi nelle dolci notti, 

che in un mesto giorno abbandonassi 

  alla libera serenità! 


Oh! se, rondini rondini, anch'io... 


rivolando su le vite loro, 

ritrovando l'alba del mio giorno, 

rimurassi sempre il mio lavoro, 

ricantassi sempre il mio ritorno, 

  mio ritorno dal mondo di là! 


(da: Giovanni Pascoli, "Canti di Castelvecchio", Rizzoli, Milano 1993, pp. 341-342)

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