giovedì 7 dicembre 2017

"Innocenza" di Renzo Pezzani

Questo volume pubblicato, dalla Società Editrice Internazionale nel 1950, insieme alla raccolta di poesie dialettali Oc luster, uscita nello stesso anno, rappresenta l'apice della lirica di Renzo Pezzani (Parma 1898 - Castiglione Torinese 1951). È anche una delle ultime pubblicazioni del poeta emliano, spentosi prematuramente in seguito ad un coma diabetico a 53 anni. Ricordo, un po' di anni or sono, quando lo ebbi tra le mani per la prima volta, che fui sorpreso e felice di ritrovarvi alcuni dei versi che mi erano rimasti nel cuore, perché provenienti dai libri di scuola della cara infanzia. In effetti, leggendo le poesie di Innocenza, è facile accorgersi che il libro sia stato progettato da Pezzani, per soddisfare il gusto dei bambini e dei ragazzi, piuttosto che degli adulti. Con tutto ciò, l'estrema e disarmante semplicità che si respira in questi versi, hanno fatto in modo di affascinare un pubblico senza età. Gli argomenti spesso ricorrono: si parla di angeli, poveri, bambini, animali, paesi, santi... tutti accomunati da, come recita il titolo, una inconfutabile "innocenza"; molto spazio è anche assegnato alla natura, sia essa della campagna o della montagna (probabilmente i luoghi dell'Emilia, cari al Pezzani). In quasi tutte le poesie, inoltre, si nota la presenza di una fede cristiana sincera, che permette all'autore di trovare il lato buono in ogni situazione spiacevole; a tal riguardo, è facile rintracciare dei versi che abbiano come protagonisti i diseredati del mondo, gli ultimi, che, sempre con l'aiuto della religione, trovano il loro momento di riscatto dopo la morte, nel regno di Dio dove Pezzani, assetato di giustizia, pone queste sfortunate anime con una compassione palpabile, con un coinvolgimento che è difficile ritrovare in altri poeti del Novecento. Ad illustrare alcune delle poesie di Pezzani, provvide con maestria il pittore Piero Furlotti. Concludo riportando la breve prosa senza titolo che apre, a mo' di presentazione, questa memorabile raccolta di versi.



Un viandante passò da un paese. La gente era al lavoro: gli uomini nei campi, le donne al lavatoio, i bambini a scuola.
Non c'era che un agnellino per la strada: brucava erba tra i sassi e suonava un campanello.

— Benedetto questo paese - disse il viandante - che invece di un cane mette di guardia un agnello. La pace è meglio custodita dall'innocenza che dalla forza. 



venerdì 1 dicembre 2017

Il letto nella poesia italiana decadente e simbolista

A proposito di questo argomento, mi sembrano molto esplicite ed emblematiche le parole usate da Nino Oxilia in due versi della poesia: L'elogio del letto: «O letto dove tutto si conclude, / dove tutto s'inizia»; e in effetti il letto è un oggetto particolare, dove molto spesso si nasce, si ama, si soffre, si riposa... si muore. Molte di queste situazioni sono descritte in Genialis lectus di Giovanni Cena; lo stesso discorso vale per I letti di Auro D'Alba, dove è riportata un'elencazione di luoghi in cui i letti svolgono una funzione diversa e sui quali una umanità quanto mai dissimile vive esperienze di vario tipo. Alcuni poeti parlano dell'atto sessuale che, di norma, viene consumato sul letto; altri invece si soffermano a descrivere particolari abbastanza inquietanti, come il fastidioso rumorio continuo dei tarli, che corrodono il legno dei vecchi letti. Qualcuno poi, steso su un'amaca, ovvero su un letto all'aperto, si concentra sulla descrizione del paesaggio incantevole che si trova davanti a lui, infatti il letto può essere anche un posto molto comodo in cui potersi godere uno spettacolo visivo, sia esso naturale o artificiale (si pensi alla moderna televisione).   




Poesie sull'argomento

Giovanni Cena: "Genialis lectus" in "Homo" (1907).
Arturo Colautti: "Il tarlo" in "Canti virili" (1896).
Auro D'Alba: "I letti" in "Baionette" (1915).
Gabriele D'Annunzio: "Vas mysterii" in "Poema paradisiaco" (1893).
Federico De Maria: "Il tuo letto" in "Le canzoni rosse" (1905).
Mario Giobbe: "Io non tremerò giammai" in "Gli amori" (1891).
Corrado Govoni: "Alcova" in "Le Fiale" (1903).
Remo Mannoni, "Il talamo" in «La Stella e l'Aurora italiana», maggio 1905.
Enzo Marcellusi: "Odi et amo" e "Canzonetta sospirosa" in "I canti violetti" (1912).
Nino Oxilia: "L'elogio del letto" in "Gli orti" (1918).
Guido Ruberti: "Il giaciglio" in "Le fiaccole" (1905).
Alessandro Varaldo: "Ne la culla de l'amaca" in "Marine liguri" (1898).




Testi

ALCOVA
di Corrado Govoni

Giù dal tondo soffitto screziato,
una lucerna bronzea vibrava
un debole chiarore che esaltava
la nerezza del letto di broccato

e del denso volume scompigliato
de la tua chioma, o Laide, che lisciava
la bellissima auleda che aspettava
delirando il tuo bacio di peccato.

Dentro meravigliosi bracieri
incrostati di gemme e di turchine,
bruciavano l'ammomo e il terebinto;

e sparse sopra i serici origlieri,
molli tra le tue coscie alabastrine,
morivano le rose di Corinto.

(da "Le fiale")




CANZONETTA SOSPIROSA
di Enzo Marcellusi

È l'ora. Ed ella dorme
ancora. Forse, sogna;
e nel sogno sorride, e parla, come
allora; e segue le orme
d'un bacio, ch'è una rosea menzogna.
Parla, che dice? Un nome...
Ah! dorme.

Fortunato giaciglio,
che, tra seta e merletti,
bevi il biondo languore e il profumo
del corpo; un cupo giglio
tra cespi di garofani, e mughetti,
come un fiocco di fumo
vermiglio.

Ohimé, albe lontane!
entro un letto profondo.
Sotto la bianca tunica, il suo cuore
chiuso nelle mie mani.
Era, la voce, d'usignol giocondo,
con arpeggi di strane
campane.

Pia, questa canzonetta
in minore sospira
pei risvegli che, or, più non mi concedi.
Io non l'ho per diletta;
è come le altre: nuda! La mia lira
l'ho gettata ai tuoi piedi,
o eletta,

per quel tuo bacio nuovo:
rosso e dolcigno, come un torlo d'uovo.

(da "I canti violetti")


Henri Gervex, "Rolla"



venerdì 24 novembre 2017

Antologie: "Poeti d'oggi (1900-1920)"

Nel 1920, soltanto dopo due decenni dall'inizio del XX secolo, due rinomati critici letterari: Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, vollero far uscire un'antologia che raccogliesse il meglio della produzione letteraria italiana appartenete al ventennio appena trascorso, tenendo presente però, soltanto la parte che contenesse maggiori riferimenti alla poesia o che, comunque, si dimostrasse più pregna di lirismo. Intitolarono perciò tale opera: Poeti d'oggi (1900-1920). In breve tempo il libro divenne famoso, e, seppure i due curatori furono anche sommersi di critiche per l'impostazione, le esclusioni e gli spazi che contraddistinguono la selezione, si può affermare che Poeti d'oggi fu considerata l'antologia più idonea e meglio predisposta a rappresentare le più talentuose personalità poetiche e, più in generale, letterarie, dell'Italia d'inizio Novecento. Come già accennato, le pagine del libro contengono sia poesie che prose; d'altronde, mai come in questo determinato periodo, la letteratura italiana si andò trasformando, acquisendo un nuovo modo di scrittura che non distinguesse più, in modo radicale, la differenza tra poesia e prosa. In questi anni si affermarono infatti il verso libero e la prosa d'arte (o prosa poetica) che avvicinarono e confusero decisamente i due principali modi d'espressione letteraria. Ecco, allora, che accanto ai poeti veri e propri come i crepuscolari, emergono anche alcuni "frammentisti" che prediligevano esprimersi tramite brevi prose liriche (Giovanni Boine, per esempio); oppure i molti che, nelle loro opere, mescolavano i due stili (Vincenzo Cardarelli, Piero Jahier, Ardengo Soffici) o che praticavano, in opere distinte, sia la poesia in versi che quella in prosa (Giovanni Papini, Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, Federigo Tozzi). Non furono esclusi alcuni autentici prosatori. A proposito delle polemiche riguardanti la struttura e le scelte dell'antologia, c'è da ricordare che Papini e Pancrazi, cinque anni dopo, fecero uscire un'altra antologia che portava lo stesso titolo (prolungandosi però, per la produzione letteraria riportata, fino al 1925). In quest'ultima i due apportarono alcune modifiche concernenti l'aggiunta (o l'esclusione), la revisione degli spazi e degli estratti di tutti o quasi gli autori selezionati; di tale antologia parlerò in un altro post. La prima edizione di questa celebre antologia è stata, in tempi piuttosto recenti, ristampata dall'editore Crocetti.
Riporto infine i nomi degli scrittori presenti in Poeti d'oggi (1900-1920).



Fernando Agnoletti, Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini, Ugo Bernasconi, Giovanni Boine, Paolo Buzzi, Dino Campana, Vincenzo Cardarelli, Emilio Cecchi, Bruno Cicognani, Guelfo Civinini, Sergio Corazzini, Guido Da Verona, Grazia Deledda, Luciano Folgore, Corrado Govoni, Guido Gozzano, Amalia Guglielminetti, Piero Jahier, Carlo Linati, Giuseppe Lipparini, Gian Pietro Lucini, Filippo Tommaso Marinetti, Fausto Maria Martini, Marino Moretti, Ercole Luigi Morselli, Nicola Moscardelli, Ada Negri, Arturo Onofri, Aldo Palazzeschi, Alfredo Panzini, Ferdinando Paolieri, Giovanni Papini, Enrico Pea, Mario Puccini, Clemente Rebora, Rosso di San Secondo, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro, Renato Serra, Scipio Slataper, Ardengo Soffici, Enrico Thovez, Federigo Tozzi, Giuseppe Ungaretti, Annie Vivanti.


domenica 12 novembre 2017

Poeti dimenticati: Francesco Gaeta

Nacque a Napoli nel 1879 e ivi morì nel 1927. Finito il liceo, frequentò per un periodo l'università senza mai laurearsi. Collaborò a svariati giornali e riviste, tra cui La Riviera Ligure, La Tribuna e Il Giornale d'Italia. Col poeta Alfredo Catapano, fondò e diresse la rivista I Mattaccini. Ben inserito nell'ambiente letterario napoletano, conobbe illustri scrittori come Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Benedetto Croce; con quest'ultimo strinse profonda amicizia. Scrisse, oltre alle poesie, prose e saggi critici. La sua lirica, per molti versi legata all'Ottocento, è, in maggioranza, di argomento amoroso. In questo preciso settore, il Gaeta diede senz'altro il meglio di sé. I suoi versi piacquero molto anche al Croce, che ne curò una edizione postuma in cui sono presenti gran parte delle poesie pubblicate dallo scrittore partenopeo. Gaeta morì suicida a quarantontotto anni, probabilmente a causa del dolore provato per la recente scomparsa della madre.




Opere poetiche

"Il libro della giovinezza", Chiurazzi, Napoli 1895.
"Reviviscenze", Pierro, Napoli 1900.
"Canti di libertà", Pierro, Napoli 1902.
"Sonetti voluttuosi ed altre poesie", Roux e Viarengo, Roma-Torino 1906.
"XII poesie", Laterza, Bari 1916.
"Poesie d'amore", Laterza, Bari 1920.
"Poesie", Laterza, Bari 1928.





Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (p. 367).
"Poeti d'oggi: 1900-1925", a cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, Vallecchi, Firenze 1925 (pp. 261-271).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 3, pp. 73-84).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 260-263).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 160-163).
"Poeti del Novecento italiani e stranieri", a cura di Elena Croce, Einaudi, Torino 1960 (p. 787).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 285-289).
"Poeti italiani del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Pasquale Tuscano, La Scuola, Brescia 1974 (pp. 100-104).
"Otto secoli di poesia italiana", a cura di Giacinto Spagnoletti, Newton Compton, Roma 1993 (pp. 616-617).




Testi

SEDUTA RICAMAVA...

Seduta ricamava. Erano i bei
dì che i giacinti imbalsamano i banchi
de le fioraie, carnicini e bianchi:
avea su 'l collo opaco essa tre nei.

Talor, fra me correndo i motti e lei,
figgea, qual chi di greve opra s' affranchi,
l'uncino ne 'l gomitolo, gli stanchi
suoi occhi... in fondo a che? poi dentro a i miei.

Bacio, che allora osai la prima volta
come un oltraggio, e sùbito la ressi
infranta su le mie braccia, disciolta!

Ricordo, o a me lenzuol pregno d'acuto
profumo! Oh in te se or ora m'imbattessi
d'un tratto, amore, amore mio perduto!

(da "Sonetti voluttuosi ed altre poesie")




LA TUA VOCE

Quando mi parli, a me poggiata il volto,
di ciò che al nostro amor più giova o nuoce,
non m'importa il futuro e non t'ascolto,
preso e cullato sol ne la tua voce,
ne la musica sol de la tua voce.

Tutta io ti goda: l'avvenir che preme
ne i poveri d'amor, poveri istanti,
in cui sempre ci par d'essere insieme
l'ultima volta, clandestini amanti
scoverti presto e risaputi amanti?

Ma se, meno conteso e men furtivo,
più non dovesse amor, siccome adesso,
mendicare di te, bramoso e privo,
a le cose ed a gli esseri un riflesso,
più non saprei mirarmi in lui riflesso:

così quei che lo specchio ostacol trova
che da la propria effigie lo divide;
eppur, s'egli l'ostacolo rimuova,
anche l'immagin sua d'un tratto uccide
ne l'immagine sua sé stesso uccide.

Onde, o mi narri tu di gonne e mode,
o d'un tuo stratagemma a la precoce
uscita, assorto l'animo non t'ode,
fin che ti vesti preso ne la voce
tua, naufragante sol ne la tua voce.

(da "Poesie d'amore")