domenica 19 aprile 2020

I luoghi della Lombardia in 10 poesie di 10 poeti lombardi del XX secolo


Questo post vuole essere un omaggio alla Lombardia, ovvero alla regione italiana che, da qualche mese a questa parte, ha maggiormente sofferto e più caramente pagato la presenza del famigerato coronavirus, con un bilancio di vittime semplicemente spaventoso che, ahimè, va tutt'ora aumentando. Si tratta di dieci composizioni in versi scritte da dieci poeti nati nel territorio lombardo; tutte appartengono ad uno spazio temporale che si può identificare all'interno del secolo XX. Leggendo, si noterà la presenza di autori e di poesie importanti, ma al di là della notorietà, ciò che ho cercato nei versi dei poeti che figurano in questo post, sono dei chiari riferimenti al territorio lombardo: vasto e assai diversificato. Potevo inserire un numero molto più cospicuo di poeti e poesie, poiché la Lombardia è sempre stata ed è ricca di poeti e di ottima poesia, ma, come al solito, ho preferito restringere la scelta a soli dieci testi. In ultimo, ho inserito lo splendido e nello stesso tempo struggente frammento de I promessi Sposi - ovvero del romanzo più bello e più famoso della storia della letteratura italiana - in cui viene descritta la figura della donna lombarda che porta in braccio la figlioletta morta di peste per consegnarla ai monatti. Alessandro Manzoni, proprio in questo capolavoro, parlò di un altro periodo tremendo per la Lombardia e in particolare per la città di Milano, lontano nel tempo e nello stesso tempo vicino, poiché la tragedia dei giorni nostri molto somiglia - pur nelle differenti modalità - a quella avvenuta tra il 1629 ed il 1631.




SERA DI GORGO
di Umberto Bellintani (Gorgo di San Benedetto Po 1914 - San Benedetto Po 1999)

Ancora opache innanzi a questa
sera ed umane.
Ora sono delle anime viola
le figure d’intorno al carretto
di chi grida il bel rosso dell’anguria.
E l’asino è un’ombra che sogna
e mastica biada.

Là il cielo è un verde di giada;
una rondine vi si tuffa,
esce, si perde:
è quasi ora di accendere lucerne.

(da "Nella grande pianura", Mondadori, Milano 1998, p. 14)




IL MERA
di Giovanni Bertacchi (Chiavenna 1869 - ivi 1942)

I monti stanno, e le foreste assorte
stanno: esso migra con le sue canzoni,
migra cantando a ritmi di stagioni,
dai decembri a' gennai, senz'altra sorte.

Sui ritmi immani de' perpetui suoni
si cullarono i secoli; le morte
cose in quel canto vivono risorte,
muoion le vive ne' perpetui suoni...

Fiume dei balzi retici, da' tuoi
poemi io colsi un'immortal parola...
Là canta un popol deluso di eroi,

canta nella tua voce alta, infinita,
dal passato al futuro! In una sola
voce tu riconfondi e morte e vita.

(da "Liriche umane", Libreria Editrice Nazionale, Milano 1903, p. 48)




NOTTURNO BRIANZUOLO
di Paolo Buzzi (Milano 1874 - ivi 1956)

                                                            17 settembre
Punteggiata d'oro,
la conca,
come il primo cielo felice ch'io vidi:
quando i silenzi azzurri
saliscendevano, quasi su righi di musica,
gl'infinitesimali sussurri
dei grilli...
Spilli: spilli: spilli
d'oro: come alla sagra
della Madonna di Bévera: dove, al colle,
roventa tutte le teste raggiate
- alle donne -
il colpo di cannone
dell'antisvevo sacro Campanone...
I monti, cari come le persone
buone,
sognano con profili d'umani,
la fronte dalla parte dell'aurora...
E son gli stessi, ancora,
ch'io voleva toccar con le mie piccole mani
d'allora...

(da "Il canto quotidiano", La Prora, Milano 1933, p. 273)


Milano, Basilica di Sant'Ambrogio



AUTUNNO A MILANO
di Luciano Erba (Milano 1922 - ivi 2010)

Anche in città fanno fuochi di stoppie
oltre barriera dove arrivano i merci.
In un cortile
hai sentore di terra e di radici
ti attristi col naso a mezz'aria
sul tuo inutile fiuto d'indiano.

(da "Poesie 1951-2001", Mondadori, Milano 2002, p. 34)




PRIMAVERA LOMBARDA
di Renzo Modesti (Como 1920 - Milano 1993)

                                                                  A Arturo Tosi
Terra settentrionale, grigio sporco
d'una infanzia infangata, gli zoccoli
dei cavalli ti hanno marcata, ora
potrai instellarti o inarenare.

(da "E quando canterò", Edizioni dell'Esame, Milano 1950, p. 49)


Bergamo, Cappella Colleoni



PIAZZA DI SAN FRANCESCO IN LODI
di Ada Negri (Lodi 1870 - Milano 1945)

Se de la patria il giovanile e fresco
disio sale al mio cor come un incenso,
tutta bianca nel sole io ti ripenso,
    piazza di San Francesco.

Cresce fra le tue pietre, o solitaria,
tranquilla l'erba come in cimitero.
— Sole e silenzio. — Un passo — un tremar nero
    d'ali, fendenti l'aria.

Ed eran quel silenzio e quella pace
che in te bevevo a sorsi larghi e puri;
e il bacio amavo su' tuoi vecchi muri
    de l'edera tenace.

L'antico tempio, presso l'ospedale,
svolgea sue linee semplici e divine.
Per due bifori in alto, snelle e fine,
    rideva il ciel d'opale,

L'antico tempio avea canti e colori
d'una soavità che ancor mi trema
dentro. — speranze, o poesia suprema
    de gli anni miei migliori!...

Gravi note de l'organo, salenti
a gli archi de le volte longobarde,
su l'alte mura tremolar di tarde
    stelle e fluir di venti!...

Come uu suggello mistico al pensiero
da voi mi venne — e forse ho sempre amate
per voi le grigie case abbandonate
    ove dorme il mistero,

i muschi densi a piè de l'erme, i queti
cortili pieni di sole e di verde,
i portici de i chiostri ove si perde
    l'anima de i poeti;

i tristi luoghi ruinanti in pace
ove sol parla il soffio de le cose,
de i sogni morti e de le morte rose,
    e tutto il resto tace.

(da "Maternità", Treves, Milano 1922, pp. 243-246)




STRADA DEL GARDA
di Antonia Pozzi (Milano 1912 - ivi 1938)

Qui, dove i massi franano
nel lago vivo che al vento
fa rumore di mare
e in alto a scrosci gli ulivi
chiari rispondono,
giungeva la strada di Roma,
portava il più dolce
di quei poeti
con le sue tenere tristezze
a questo sole.

Di qui su l'arsura del Baldo
s'avviarono i soldati,
vestirono di fuoco i monti,
di sangue e d'anime.

Ora la nuova strada di Roma
guarda a quelle anime,
rompe la roccia:
listata di bianco e di nero
pianta oleandri e cipressi
a guardia delle pietre vinte,
che crescano – per quando
noi saremo morti –
ed ogni riva ne saluti le cime.

E su ogni riva si dica:
– quella è la strada che porta
pace e forza da Roma
verso i monti –

25 settembre 1933

(da "Parole", Mondadori, Milano 1998, p. 243)




CAMPANA DI LOMBARDIA
di Clemente Rebora (Milano 1885 - Stresa 1957)

Campana di Lombardia,
Voce tua, voce mia,
Voce voce che va via
E non dài malinconia.
Io non so che cosa sia,
Se tacendo o risonando
Vien fiducia verso l’alto
Di guarir l’intimo pianto,
Se nel petto è melodia
Che domanda e che risponde,
Se in pannocchie di armonia
Risplendendo si trasfonde
Cuore a cuore, voce a voce –
Voce, voce che vai via
e non dài malinconia.

(da "Le poesie", Garzanti, Milano 1994, p. 148)




Facciata della Certosa di Pavia



IL METEOROLOGO NON CAPISCE
di Alberico Sala (Vailate 1923 - ivi 1991)

Il meteorologo non capisce
i covoni che volano, i pioppi
spezzati come fiammiferi,
le automobili del week-end
disperse sull'autostrada;
ed io il tuo nuovo errore,
nella città corrotta.
Il vento percuote gli specchi
d'acqua fra l'erba delle rive,
la luna le percorre, s'affaccia
e s'eclissa, e sei tu, amore,
sulla strada sotto il ponte,
nei fari delle auto ti vedo,
e poi sparisci. Tu taci e non sai
che potrebbe essere questa
l'ultima luna insieme.
Ragiono, più vecchio, anche per te:
chiamo i cari morti ad aiutarmi,
ch'io sappia cosa decidere, per noi.
Il conto precisa: mio padre
dieci anni fa, ancora notte,
s'affacciava all'altro mondo
e tutto è chiaro, la pianura
contorta dalla furia,
i tuoni che rompono il motore,
i lampi, la pioggia nell'orto
che grandina albicocche, lacera i fiori;
ed il dolore, lo spavento in piena.

                              Pavia, Vailate 5 luglio 1965

(da "Senza malizie", Rebellato, Padova 1967, p. 91-92)




INVERNO A LUINO
di Vittorio Sereni (Luino 1913 - Milano 1983)

Ti distendi e respiri nei colori.
Nel golfo irrequieto,
nei cumuli di carbone irti al sole
sfavilla e s’abbandona
l’estremità del borgo.
Colgo il tuo cuore
se nell’alto silenzio mi commuove
un bisbiglio di gente per le strade.
Morto in tramonti nebbiosi d’altri cieli
sopravvivo alle tue sere celesti,
ai radi battelli del tardi
di luminarie fioriti.
Quando pieghi al sonno
e dài suoni di zoccoli e canzoni
e m’attardo smarrito ai tuoi bivi
m’accendi nel buio d’una piazza
una luce di calma, una vetrina.

Fuggirò quando il vento
investirà le tue rive;
sa la gente del porto quant’è vana
la difesa dei limpidi giorni.
Di notte il paese è frugato dai fari,
lo borda un’insonnia di fuochi
vaganti nella campagna,
un fioco tumulto di lontane
locomotive verso la frontiera.

(da "Frontiera. Diario d'Algeria", Guanda, Parma 2013, pp. 128-132)



Piatto anteriore del volume: Alessandro Manzoni, "I promessi Sposi", Signorelli, Roma 1980




Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de' volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.

(da "I promessi Sposi" di Alessandro Manzoni, Signorelli, Roma 1980, pp. 880-881)

domenica 12 aprile 2020

Antologie: Poesia del Novecento italiano (a cura di Niva Lorenzini)


Questa antologia, pubblicata da Carocci editore in Roma nel 2002, è tra le più riuscite e complete che si possano trovare in circolazione, riguardanti la poesia italiana del Novecento; anche perché, al contrario di altre, prende in considerazione l'intero XX secolo, inserendo nelle sue pagine anche le ultime generazioni di poeti (ovvero quelli che sono nati dopo la prima metà del Novecento). L'opera è composta da due distinti volumi: il primo ha come sottotitolo Dalle avanguardie storiche alla seconda guerra mondiale, e parte dai crepuscolari per giungere agli ermetici. Il secondo invece, intitolato Dal secondo dopoguerra a oggi, ha come primo poeta antologizzato Vittorio Sereni e, come ultimo, Gabriele Frasca (nato nel 1957). Sono presenti anche i migliori poeti dialettali del secolo preso in considerazione.
La curatrice di questa ottima antologia è Niva Lorenzini (professore ordinario all'Università di Bologna), che ha scritto anche una interessante e assai esplicativa introduzione all'opera antologica, dalla quale riporto qualche frammento che meglio descrive il modus operandi di chi ha effettuato questo lavoro:

[...] chi antologizza non è chiamato a schedare esaustivamente l'esistente - operazione per chiunque improponibile - ma a illustrare un metodo di approccio a testi che più di altri appaiano adatti a tracciare la fisionomia di un'epoca, di una stagione, colta nelle sue relazioni multiple, nella sua complessità. Nei limiti del possibile, vanno privilegiate insomma le ragioni del testo, analizzato, seppure per spaccati, nel suo darsi linguistico, innanzitutto, come risposta a una situazione storica.

E a proposito di testi, c'è da sottolineare il fatto che questa antologia aggiunge, oltre ad un'ampia presentazione di tutti i poeti presenti, una serie di commenti e di note per ogni testo poetico selezionato.
Come succede quasi sempre, si notano delle esclusioni di nomi più o meno noti (fa un certo effetto la completa assenza dei futuristi "puri"), ma ciò viene giustificato in modo convincente dalla stessa Lorenzini nel prosieguo della sua introduzione:

Inutile, d'altro canto, sottolineare che non ci si può esonerare dalle scelte di campo, e che anzi la parzialità è necessaria se si aspira a un minimo di chiarezza e di rigore, sia etico che scientifico. In questo, come in altri territori del conoscere, la parzialità dichiarata è comunque una garanzia, l'imparzialità un abbaglio o una pericolosa finzione. [...]

L'opera si avvale anche della sapiente collaborazione di Vincenzo Bagnoli, Alberto Bertoni, Vitaniello Bonito e Stefano Colangelo.
Chiudo, come la solito, riportando i nomi dei poeti presenti nell'opera antologica di cui ho appena parlato.


POESIA DEL NOVECENTO ITALIANO



Dalle avanguardie storiche alla seconda guerra mondiale
Corrado Govoni, Aldo Palazzeschi, Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Gian Pietro Lucini, Carlo Michelstaedter, Piero Jahier, Dino Campana, Clemente Rebora, Riccardo Bacchelli, Camillo Sbarbaro, Ardengo Soffici, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Vincenzo Cardarelli, Eugenio Montale, Giacomo Noventa, Delio Tessa, Sergio Solmi, Carlo Betocchi, Salvatore Quasimodo, Sandro Penna, Cesare Pavese, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Mario Luzi.


Dal secondo dopoguerra a oggi
Vittorio Sereni, Franco Fortini, Andrea Zanzotto, Pier Paolo Pasolini, Roberto Roversi, Paolo Volponi, Nelo Risi, Giorgio Orelli, Luciano Erba, Bartolo Cattafi, Emilio Villa, Giuseppe Guglielmi, Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Antonio Porta, Adriano Spatola, Amelia Rosselli, Giovanni Giudici, Giancarlo Majorino, Giovanni Raboni, Giampiero Neri, Toti Scialoja, Raffaello Baldini, Tolmino Baldassari, Fernando Bandini, Iolanda Insana, Cosimo Ortesta, Ermanno Krumm, Patrizia Vicinelli, Dario Bellezza, Maurizio Cucchi, Vivian Lamarque, Biancamaria Frabotta, Cesare Viviani, Eugenio De Signoribus, Ferruccio Benzoni, Paolo Ruffilli, Emilio Rentocchini, Franco Buffoni, Gianni D'Elia, Patrizia Valduga, Valerio Magrelli, Antonella Anedda, Fabio Pusterla, Gabriele Frasca. 


domenica 5 aprile 2020

La poesia di Vincenzo Cardarelli


In questo blog non poteva mancare un post dedicato a Vincenzo Cardarelli (pseudonimo di Nazareno Caldarelli, Tarquinia 1887 - Roma 1959): un poeta per me fondamentale, che ha scritto versi indelebili e che considero migliore di altri poeti italiani del XX secolo - non faccio i nomi - ben più illustri e pluripremiati. Ma Cardarelli non fu soltanto poeta, anzi, va detto che le sue ottime prose superano, per qualità e quantità, i suoi versi; non sono certamente da trascurare, poi, gli articoli giornalistici e i saggi che scrisse in diverse fasi della sua vita. Importantissime le collaborazioni di Cardarelli a diversi giornali e riviste; in particolare, sono memorabili quelle a La Voce e a La Ronda. Per quanto riguarda le poesie, comparvero già nel suo primo libro: Prologhi (uscito nel 1916) che però comprendeva soprattutto prose; lo stesso discorso vale per le opere successive dello scrittore tarquiniese, come Viaggi nel tempo e Il sole a picco. Soltanto nel 1936, ovvero alla soglia dei cinquant'anni, Cardarelli si decise a pubblicare un volume che raccogliesse i suoi meravigliosi versi. Oggi, fortunatamente, in un volume dei Meridiani Mondadori, è possibile leggere l'intera opera letteraria di Cardarelli. Ma, tornando al poeta, devo dire che già leggendo quelle poche poesie presenti nei miei libri di scuola, rimasi estasiato dal suo linguaggio limpido e convincente, dalla sua rarissima capacità di trasmettere sensazioni, emozioni e riflessioni, facendo uso di parole semplicissime racchiuse in pochi versi. Potrei citare composizioni poetiche brevi e intense come Autunno, Gabbiani, Abbandono... Però, piuttosto che insistere con le mie parole inadeguate, preferisco riportare un frammento scritto da Edoardo Sanguineti - grande poeta e critico letterario scomparso qualche anno fa - tratto dalla prefazione all'antologia da lui stesso curata Poesia italiana del Novecento, poiché mi appare tra i più consoni e precisi nell'individuare le peculiarità del Cardarelli poeta; quest'ultimo viene citato all'interno di un discorso più ampio, riguardante una certa freddezza che appartiene alla poesia dei cosiddetti "Lirici nuovi" (definizione usata da un altro illustre critico: Luciano Anceschi, in un'altra storica antologia):

[...] Non si dice questo per Cardarelli in particolare, per il quale l'etichetta di neoclassicismo è stata poco meno che micidiale. Oggi, si tratta di riscoprirlo nelle sue idiosincrasie più taglienti, quest'uomo così esposto alle stagioni, così chiaramente paziente di fronte al tempo, così angosciato del suo trasecolare, così intimamente legato da sempre alla propria morte. E non è un lavoro semplice, raggiungerlo oggi, che l'epiteto di «rondista» suona quasi esclusivamente come un dotto insulto, e dovrebbe spiegare tutto, nel caso: ma è un lavoro probabile, e può dare il suo frutto¹.

A proposito dell'aggettivo "rondista" che, come dichiarato da Sanguineti, è certamente riduttivo sia per Cardarelli che per altri grandi scrittori che collaborarono alla rivista La Ronda (uno su tutti: Riccardo Bacchelli), voglio ricordare che quest'ultima fu pubblicata mensilmente tra il 1919 ed il 1922 e alla direzione ci fu, per un breve periodo, lo stesso Cardarelli; refrattari ad ogni tipo di avanguardia e di sperimentalismo letterario, gli scrittori della Ronda ebbero Giacomo Leopardi "prosatore" come modello principale di riferimento e pubblicarono, di conseguenza, quasi esclusivamente prose d'arte nelle preziose e interessanti pagine di questa storica rivista; il medesimo discorso, ovviamente, vale anche per Cardarelli che, tra le altre cose, qui pubblicò i suoi bellissimi Argomenti poetici.
Chiudo riportando i titoli delle principali opere poetiche del nostro, seguiti da tre celebri liriche che entrano di diritto nella storia della poesia italiana del Novecento.

NOTE
1) Da Poesia italiana del Novecento, a cura di Edoardo Sanguineti, Einaudi, Torino 1969.





OPERE POETICHE DI VINCENZO CARDARELLI

"Prologhi", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1916.
"Viaggi nel tempo", Vallecchi, Firenze 1920.
"Il sole a picco", L'Italiano, Bologna 1929.
"Giorni in piena", Novissima, Roma 1934.
"Poesie", Novissima, Roma 1936.
"Poesie" (nuova edizione), Mondadori, Milano 1942 (1948²).
"Poesie nuove", Neri Pozza, Venezia 1946.
"Poesie", Fiumara, Milano 1949.
"Opere complete", Mondadori, Milano 1962.
"Opere", Mondadori, Milano 1981.




TESTI


AUTUNNO

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

(da "Opere", Mondadori, Milano 1993, p. 42)




LARGO SERALE

È l’ora dei crepuscoli estivi,
quando il giorno pellegrino
si ferma e cade estenuato.
Dolcezza e meraviglia di queste ore!
Qualunque volto apparisse in questa luce
sarebbe d’oro.
I riflessi di raso
degli abitati sul lago.
Dolce fermezza di queste chiome
d’alberi sotto i miei occhi.
Alberi della montagna italiana.
Di paese in paese
gli orologi si mandano l’ora
percotendosi a lungo nella valle
come tocchi d’organo gravi.
Poi più tardi, nella quiete notturna,
s’odon solo i rintocchi dolci e lenti.

(da "Opere", Mondadori, Milano 1993, p. 70)




ALLA MORTE

Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell'ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell'orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all'amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare
in un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s'involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L'immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire,
ma da lontano annunciati
e da amica mi prendi
come l'estrema delle mie abitudini.

(da "Opere", Mondadori, Milano 1993, p. 98)