domenica 8 settembre 2019

Biobibliografia


A te che vuoi notizie
biobibliografiche di me
dico che ho nome
e cognome data e luogo di nascita
in un'anagrafe ingiallita
in un antico archivio d'analfabeti
piegati in quattro invece
mi porto in tasca
il luogo e la data della morte.
Scrissi talvolta qualcosa
su carta urgente
a indirizzi disabitati.
Se hai fiuto mi trovi
negli angoli d'un buio quartiere
o agli incroci dei verdi semafori
la mano tesa a chiedere aiuto.




Biobibliografia è il titolo di una poesia di Bartolo Cattafi (Barcellona Pozzo di Gotto 1922 - Milano 1979). L'ho estratta dal volume Il tempo del Ceppo¹, Giunti, Firenze 1997; più precisamente si trova alla pagina 557 di suddetto volume, all'interno della seconda parte intitolata Racconti e poesie rari o inediti. Grazie alle notizie - sempre presenti in questo libro - riguardanti il testo del poeta siciliano, mi è possibile ricordare che Bibliografia fu pubblicata nella rivista Paragone dell'aprile 1972 e non più inserita nei volumi successivi di Cattafi.
Il poeta si rivolge ad una persona non ben precisata, che gli ha richiesto dei dati biografici e bibliografici personali. Da questa richiesta Cattafi trae spunto per dichiarare la completa inutilità della sua vita e della sua scrittura, così come fecero, in tempi più remoti, i poeti crepuscolari. Si dichiara, paradossalmente, un analfabeta, e confessa di aver scritto cose inconcludenti, che nessuno ha mai letto. Infine confessa di identificarsi con  gli emarginati, i barboni e i vagabondi, di risiedere nei cantucci più infimi dei quartieri di qualsiasi città, e di sopravvivere grazie all'elemosina dei passanti. Praticamente, palesa la totale inutilità del poeta, posto agli estremi margini della società odierna, come un essere che è fuori del suo tempo, e si dedica a cose che non meritano la minima considerazione, e per cui al massimo, è possibile provare un senso di pietà.

NOTE
1) Si tratta di una raccolta di racconti e poesie di autori italiani, selezionati e insigniti del Premio Letterario il Ceppo, dal 1956 al 1996.

domenica 1 settembre 2019

Il misticismo nella poesia italiana decadente e simbolista


Il misticismo - ovvero la propensione dell'essere umano per l'assoluto, che si concretizza seguendo vie alogiche e misteriose, che si rivelano soltanto a chi possiede una fede - nel simbolismo e nel decadentismo italiano è spesso un tema portante di versi che si rivelano anche molto belli. Ovviamente, data la tradizione e la cultura nostrana, è la religione cristiana che trova più spazio nelle poesie mistiche; eppure non sono assenti anche altri credi, come, in taluni casi, una interpretazione del cristianesimo del tutto personale, o collegata a determinate dottrine filosofiche.



Poesie sull'argomento

Carlo Basilici: "Il Canto del Mentecatto" in "Dai poemi" (1904).
Paolo Buzzi: "I funghi dell'anima" in "Aeroplani" (1909).
Giovanni Camerana: "Cantano e vanno", "Lenta e serena dalla ottagonale" e "Strofe all'Idolo" in "Poesie" (1968).
Giovanni Cavicchioli: "Io penso un idolo di bronzo" in "Palazzi incantati" (1916).
Francesco Cazzamini Mussi: "Momento religioso" in "Il cuore e l'urna" (1923).
Guelfo Civinini: "Miriam di Nazareth" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Auro D'Alba: "Il Piccolo Re" in "I Poeti Futuristi" (1912).
Raoul Dal Molin Ferenzona: "Orazione" da "Zodiacale. Opera religiosa" (1919).
Guglielmo Felice Damiani: "Vigilate" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "Il voto" in "Elegie romane" (1892).
Luigi Donati: "Nel Chiostro" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Giuliano Donati Pétteni: "L'Annunciazione" in "Intimità" (1926).
Aldo Fumagalli: "La canzone mistica" in "Arcate" (1913).
Luisa Giaconi: "Le due preghiere" e "Preghiera" in "Tebaide" (1912).
Giulio Gianelli: "L'Angelus del mattino" e "Alla croce" in "Tutti li angioli piangeranno" (1903).
Cosimo Giorgieri Contri: "La preghiera" in «Nuova Antologia», aprile 1906.
Alessandro Giribaldi: "L'Olocausto" in "Domenica Letteraria", Giugno 1897.
Corrado Govoni: "Anime preganti" e "Benedizione serale" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Guido Gozzano: «Ex voto» in "La Donna", dicembre 1913.
Arturo Graf: "I dèmoni e la croce" in "Medusa" (1890).
Amalia Guglielminetti: "Mistiche" in "Le Seduzioni" (1909).
Giuseppe Lipparini: "L'idolo" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Fausto Maria Martini: "La croce" in "Poesie provinciali" (1910).
Pietro Mastri: "Il carro dell'idolo" e "Davanti al tabernacolo" in "La Meridiana" (1920).
Giovanni Pascoli: "La notte dei morti" in "Myricae" (1900).
Romolo Quaglino: "Li stiliti - Preludio" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "La Santa" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).
Giulio Salvadori: "Ricordo" in "Ricordi dell'umile Italia" (1918).
Emanuele Sella: "Flora mirabilis" e "La sua venuta" in "Il giardino delle stelle" (1907).
Emanuele Sella: "Abundantia roris" in "L'Ospite della Sera" (1922).
Emanuele Sella: "Splendono aurore e sono Solitudini" in "Il Flauto d'argento" (1932).
Giovanni Tecchio: "La preghiera" in "Mysterium" (1894).
Federigo Tozzi: "Crocefissione" in "La zampogna verde" (1911).
Domenico Tumiati: "La fiamma de le palme" e "L'incensiere" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Alessandro Varaldo: "L'Elevazione" in "Domenica Letteraria", Giugno 1897.
Remigio Zena: "In obitu Christinae virginis" in "Le Pellegrine" (1894).



Testi

CANCER. ORAZIONE
di Raoul Dal Molin Ferenzona

  Dall'oscura porta di cui sono, per servirti, il severo guardiano, le anime del Cielo scendono, o Altissimo, negli Embrioni umani e vi s'incarnano a prova della Tua bontà.
  Da la Terra a l'orbita tranquilla ove io risiedo, e da l'orbita al Tuo trono, si intersecano onde profumate di canfora e di mirto.
  Io Ti parlo, o grande Dio, perché Tu sia benigno verso quelli che la Disgrazia e la follia ànno tenacemente afferrato. Ma Tu puoi compiacerti in quelli che tengono la palma de la fecondità e de la simpatia. Amoroso di rendere più occulta ch'io possa la mia psiche magnetica e sensitiva, sono ben fiero dei poteri da Te avuti di attrarre le genti al Tuo culto.
  Nella mia doppia Casa diurna e notturna, alacremente si opera ne l'attualità il parallelo tra il positivo e il negativo.
  Io ti prego nel senso riflessivo de la mia virtù cardinale, e per la maternità Nâma-Rûpa.
  Per le contrade de la Numidia a stuolo vanno le pantere ululando in Tua lode: guardano disegnarsi nel cielo due cerchi congiunti, l'uno d'aria e l'altro di fuoco, entro cui apparisce il Drago-Serpente dalla testa di sparviero.
  Le pantere che portano su la spalla l'arco crescente e decrescente de la Luna ululano, e il coro delle rane è ritmico, e tra i palmeti le jene cambiano di sesso, mute e tremanti.
  Gli alberi sono in piena linfa, vibrano nella Terra le radici, i metalli si concentrano maggiormente nella loro solidità e le pietre intensificano il loro colore - per lodarti, o Spazio divino di Dodici Spazi!

(da "Zodiacale", Ausonia, Roma 1919)




LI STILITI - PRELUDIO
di Romolo Quaglino

Armonia di antichi marmi
  alita, bianca, ne la notte, -
  fremito di piume,
  gorgheggio di voci infantili:
  armonia luminosa,
  ne l'etere azzurro,
  rutilante o pallida per le stelle.

Come timida anima,
  fra i fantasmi della lussuria,
  il tempio sale e prega
  nel serto bieco dei Mostri.
In alto brilla, come un faro,
  la Madonna,
  sola ne l'orizzonte, a la luna.

(da "Dialoghi d'Esteta", Treves, Milano 1899)



Pierre Puvis de Chavannes, "Christian Inspiration"
(da questa pagina web)

domenica 25 agosto 2019

Una generazione straordinaria di poeti toscani


A proposito di poesia italiana, parlando della terza generazione di poeti novecenteschi, è esistito un gruppo di scrittori toscani che, a partire dalla metà degli anni '30 e per tutti i restanti decenni del secolo, hanno pubblicato molti volumi di versi di buono o ottimo valore. Alcuni di essi furono meritatamente elogiati e divennero celebri; altri lo furono per un periodo soltanto, finendo, dopo qualche lustro, nel dimenticatoio. Questo mio post intende ricordarli tutti, se pur brevemente, sperando, in seguito, di dedicare a ognuno ulteriori e più approfonditi post. Ecco, per cominciare, l'elenco dei poeti: Piero Bigongiari (Navacchio 1914 - Firenze 1997), Aldo Borlenghi (Firenze 1913 - Milano 1976), Luca Ghiselli (Viareggio 1910 - Capo Caccia 1939), Mario Luzi (Firenze 1914 - ivi 2005), Alessandro Parronchi (Firenze 1914 - ivi 2007), Guglielmo Petroni (Lucca 1911 - Roma 1993), Mario Tobino (Viareggio 1910 - Agrigento 1991). Come si noterà dai luoghi e dagli anni di nascita che, per ciascuno ho riportato tra parentesi, tutti nacquero tra il 1910 e il 1914, all'interno della regione Toscana. Come già anticipato, vi furono quelli che conobbero la gloria, venendo inseriti nella famosa antologia di Luciano Anceschi: Lirici nuovi, per poi rientrare di diritto tra i cosiddetti "poeti ermetici". Gli altri, non ebbero la medesima sorte, anche se furono a loro volta, seppure in tempi diversi, considerati ed elogiati. Qualcuno perse accidentalmente la vita in giovane età; qualche altro, cogli anni, trascurò la poesia per dedicarsi con maggior intensità alla prosa; qualche altro ancora si allontanò alquanto da quell'ermetismo che lo aveva fatto conoscere. Ciò che mi pare sicuro è il fatto che tutti possedessero delle qualità poetiche non indifferenti; per tale motivo ho voluto ricordarli, ciascuno con una poesia, come se fossero un vero e proprio gruppo.


FIABA
di Piero Bigongiari

Una fiaba di cenere, se resta
la primavera, liberi sul clivo
che Venere riassale lacrimosa,
il tuo viso dimenticato al nero

riaccendersi d'un lampo si riposa.
I muri veri, la strada in una nube
d'echi, il fiume repe ai vani
disastri d'una lacrima furtiva,

nelle crepe gli scarabei, a domani
il messaggio della tua lenta deriva.
Restano i passi ch'io conto, e i fichi
gocciano olio di fuoco dentro i cortili,

le tue mani purissime deterse
nei rivi, e che scrivi sulle vecchie mura
dove un croco s'infiamma? Questa
è la natura? E come il dramma? Dove la tempesta?

(da "Stato di cose", Mondadori, Milano 1968)

 
Piero Bigongiari (ritratto)

QUESTI ANNI
di Aldo Borlenghi

Questi anni nel muover del sole
mobile ombra ovunque di un giorno,
perdano in me il loro senso: le lunghe
memorie, il loro passato - quel che lasciai;
ch'han lo stesso urto leggero
che l'uccello dal ramo sulla zolla,
o il moto corto dei sogni.
E tanto in breve seguiterò: per me
nell'occhieggiare, nel trasparir dell'ombre
su questo giorno, da loro
anche, lo accolgo.

(da "Poesie", Mondadori, Milano 1952)




PARTIRE
di Luca Ghiselli

Forse nel desiderio di partire
c'è già tutta la gioia del ritorno.
Andare, andare attorno
per strade di paesi ben lontani
vuol dir trovare, domani,
la voce del paese che sappiamo.
E sempre questa brama?
Questa brama d'andare oltre i confini
del nostro umano amore
a cercare le voci più profonde
di quel che abbiamo in cuore?

(da "Prose e versi", Pananti, Firenze 1985)

 
Luca Ghiselli


CIMITERO DELLE FANCIULLE
di Mario Luzi

Eravate:
le taciturne selve aprono al piano
e al sole il vasto seno:
questo è il campo di fieno ove correste.
E dai profondi borghi alta la torre
suona ancora le feste
onde animava ognuna alle finestre
di gioia umana il volto inesistente.
Ma le mani chimeriche e le ciglia deserte
chi solleva più al suo nome
nelle vie silenziose e l'aria come
quando la luna le celesti chiome
odorava di rose fiorentine?
Ma l'amore? e i balconi della sera?
le braccia abbandonate
dal sole alla profonda luce nera
negli orti ove dirada
impallidendo ignota la contrada
chi preme più, chi bacia? Dallo spazio
lontano un vento vuoto
s'alza e parla coi tetti di voi morte.
Ma io sono: ho natura e fede e il tempo
mio umano intercede
per me dalle sostanze eterne amore
ancora, e grave d'esistenze il giorno
s'aggira qui d'intorno mentre tace
il mare delle vostre ombre al mio piede
con un triste e mirifico soggiorno.
L'ora langue sui colli e il cielo fa
di me il limitare dei suoi mondi,
de' miei sguardi infecondi
l'intenta umanità delle sue stelle:
si spengono le celle
delle pievi montane e il sole e i campi,
lunge l'erba infinita
spazia sui vostri inceneriti lampi,
fanciulle morte; passano su voi
epoche e donne poi come su un'onda
i successivi venti senza sponda
di mare in mare e io tremo innanzi a voi
di questa mia solenne irta esistenza.

(da "Tutte le poesie", Garzanti, Milano 1993)

 
Mario Luzi


TRAPIANTO
di Alessandro Parronchi

Felice zingaro che parte e non saluta
la terra che l'ha ospitato una notte!
Felice rondine nel vento spinta a caso
da un desiderio che sempre devia!
Ero l'albero più bello del giardino,
quello dai frutti teneri e dorati
che nel giugno trafitti dalle api
colavano un umore così limpido!
M'hanno strappato alle radici, tolto
alla terra che per me era più cara
di tavole oscillanti al pescatore
che ripensa la sua vita sospesa
alla danza d'un sughero sull'acqua.

Era bello invecchiare
succhiando con difficoltà le linfe
del mio terreno, accogliere con lui
fino alla morte il barrito dei venti.
E nei venti spogliarsi e rivestirsi
a ogni nuova stagione, fino a tardi,
fino all'ultima stanca foglia... Invece

dovrò assorbire terra sconosciuta
aggrinzito nel rimpianto a poco a poco...
Felice non chi porta i suoi ricordi
senza timore che il tempo li consumi,
ma chi non ne possiede, chi non beve
due volte l'acqua dalla stessa fonte.

(da "Le poesie", Polistampa, Firenze 2000)

 
Alessandro Parronchi


L'AMORE
di Guglielmo Petroni

Io non pensavo a seduzioni e forme
che nella notte tornano a svegliare
e la prim'aria che caccia le stelle
vien lenta e inesorabile a vedere
e trova gli occhi della notte bianca.
Uscivan l'incertezze mie lontano
verso ogni spazio i colli e le fontane
alle case solitarie e sgomente.
Mi fu vicina un'anima eccitata
persi la fanciullezza ebbi la sorte
di veder chiaro come un mezzogiorno.
Il primo amore mette nella mente
un pensiero sincero per la morte
che in certi giorni stiamo a riascoltare.

[da "Poesie (1928-1978)", Guanda, Milano 1978]




LE ONDE SONO LE ROSE
di Mario Tobino

Girar per le strade
cullate di notte dal rumore del mare,
entrar nelle case di allegre ragazze
svelte a picchiare sulle mani lunghe;
in darsena l'ascia tenere come una penna
sicura a disegnar bastimenti;
navigare fino alle fredde gole
che versano il vento del Nord,
e presto tornare a Viareggio;
essere uno che quando muore
gli fanno uno spontaneo trasporto
dolce di fiori e popolo.
Questa è la gloria dei viareggini.
Le onde sono le rose,
i bastimenti sono le vigne.

(da "L'asso di picche. Veleno e Amore secondo", Mondadori, Milano 1974)


domenica 18 agosto 2019

Antologie: "I poeti della Scuola romana dell'Ottocento"


Tempo fa pubblicai un post che parlava di un'antologia dedicata ai cosiddetti poeti della "Scuola romana"; il curatore di quel libro, Domenico Gnoli, è stato anche il primo a concepire un'opera che potesse ricordare in modo adeguato questa scuola o tendenza poetica, di cui lui stesso fece parte. I poeti della Scuola romana pubblicarono i loro versi all'incirca tra il 1850 ed il 1870, e si rifecero al Petrarca, all'Arcadia, e in parte al Leopardi più idillico. Nel 1964, ben 51 anni dopo l'antologia dello Gnoli, presso l'editore Cappelli di Bologna ne uscì un'altra simile, a cura di Ferruccio Ulivi, che s'intitola: I poeti della Scuola romana dell'Ottocento; quest'ultima si differenzia alquanto rispetto alla precedente, soprattutto perché riduce fortemente il numero di poeti selezionati, limitandosi quindi ad inserire i nomi più significativi della scuola; nello stesso tempo, si nota l'inserimento di una maggiore quantità di testi; in tal modo, Ulivi riuscì a presentare e approfondire l'opera poetica dei pochi presenti in maniera più esauriente. Ovviamente, un numero considerevole di pagine è occupato dai due fratelli: Giambattista e Giuseppe Maccari, che, si può ben dire, vadano considerati i più spiccati talenti del gruppo, e meritevoli quindi di uno spazio maggiore rispetto agli altri. Non rimangono esclusi altri cinque poeti di discreto valore: Paolo Emilio Castagnola, Luigi Celli, Pietro Cossa, Augusto Caroselli e lo stesso Domenico Gnoli (quest'ultimo fece parte del gruppo soltanto in età giovanile). Assenti tutti gli altri nomi che figuravano nell'antologia del 1913. Sebbene possa apparire troppo severa, la scelta di Ulivi è dettata dalla necessità di restringere all'essenziale, una produzione poetica degna di essere ricordata, di un gruppo che fu troppo spesso considerato poco importante, se non insignificante (tra coloro che lo ritennero tale ci fu anche Benedetto Croce). Se si considera che questa antologia fu pubblicata alla metà degli anni '60 del XX secolo, sarà facile capire che già in quegli anni l'interesse per questa scuola era scemato notevolmente, e soltanto il fatto di mettere in piedi un'opera che aiutasse a far tornare un certo interesse verso questi pochi, meritevoli poeti di un secolo prima, fu un'iniziativa encomiabile.



I POETI DELLA SCUOLA ROMANA DELL'OTTOCENTO

Paolo Emilio Castagnola, Luigi Celli, Pietro Cossa, Giambattista Maccari, Augusto Caroselli, Domenico Gnoli, Giuseppe Maccari