domenica 17 aprile 2016

I giardini, i parchi e gli orti nella poesia italiana decadente e simbolista

Il parco, il giardino e l'orto sono tra i luoghi più citati e amati dai poeti simbolisti, decadenti, crepuscolari e liberty. Si possono rintracciare infatti una enorme quantità di versi dedicatigli. Questi luoghi hanno spesso delle caratteristiche comuni: sono in abbandono, deserti; nel loro interno si possono incontrare statue e fontane (anch'esse in stato di degrado e di incuria); in genere la stagione è quella autunnale, il che comporta una copiosa caduta di foglie dagli alberi e un tempo tra il grigio ed il piovoso, sì da rendere tali luoghi ancor più tristi e squallidi. Molti critici, a tal proposito, hanno paragonato i giardini-parchi-orti ad una sorta di rifugio dell'anima; in quei posti così appartati, quasi segreti, è infatti possibile per i nostri poeti creare immagini nate dai sogni, dalle nostalgie di un passato che ormai non c'è più, da intimi desideri impossibili a realizzarsi. Insomma sono questi i territori dove c'è l'opportunità di isolarsi aristocraticamente e vivere in un mondo al di fuori del mondo. La desolazione che presentano, oltre ad esternare uno stato di profonda demoralizzazione, dimostra la consapevolezza di essere in uno stato di esclusione, di emarginazione se non di totale separazione; e ciò va riferito anche alle loro aspirazioni: semplici, modeste, quasi insignificanti, eppure impossibili, non realizzabili. Naturalmente, questo discorso vale soprattutto per i poeti che gravitano intorno al crepuscolarismo; se si vuole invece allargare la prospettiva, si notano differenti elementi, a volte legati al mistero e alla favola, altre volte all'eros ed alla psiche. Più raramente (e mi riferisco alle poesie di Palazzeschi) in questi delimitati spazi si osserva la presenza di situazioni, forme ed entità assai inquietanti: frutti avvelenati, muffe, fanghiglie, figure ombrose e misteriose che si aggirano all'interno ecc. Per spiegare tal contesto bisogna risalire ad uno dei romanzi decadenti per eccellenza: A ritroso di Joris-Karl Huysmans, dove si ricorderanno le mostruose piante amate dal protagonista del romanzo, il quale le fa arrivare dai luoghi più reconditi perché possano rendere il suo giardino unico ed orrido nello stesso tempo.    



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Il parco" e "Orto botanico" in "La Città di Vita" (1896).
Diego Angeli: "In un giardino di sera" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Antonio Beltramelli: "Il giardino del dolore" in "I Canti di Faunus" (1908).
Dino Campana: "Giardino autunnale" in "Canti Orfici" (1914).
Francesco Cazzamini Mussi: "Nel giardino dell'osteria «La Vita»" in "Le allee solitarie" (1920).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Flamma ardescens" in "Poesie" (1912).
Carlo Chiaves: "Nel giardino del cuore" in "Tutte le poesie edite e inedite" (1971).
Sergio Corazzini: "Giardini" in "Dolcezze" (1904).
Gabriele D'Annunzio: "Hortus conclusus" e "Hortus larvarum" in "Poema paradisiaco" (1893).
Alfredo Galletti: "Il giardino obliato" in "Odi ed elegie" (1903).
Luisa Giaconi: "L'Orto" in «L'Idea Liberale», aprile 1895.
Luisa Giaconi: "Il giardino chiuso" in «Il Marzocco», luglio 1897.
Luisa Giaconi: "Orto antico" in «Il Marzocco», settembre 1897.
Cosimo Giorgieri Contri: "Il vecchio giardino" in "Il convegno dei cipressi" (1895).
Cosimo Giorgieri Contri: "Giardino delle rosine" in "La donna del velo" (1905).
Emilio Girardini: "Giardino abbandonato" e "Il parco" in "Chordae cordis" (1920).
Corrado Govoni: "Giardini chiusi" in "Le fiale" (1903).
Corrado Govoni: "Il giardino dell'anima" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni: "Giardino antico" in "Poesie elettriche" (1911).
Luigi Gualdo: "Nel parco" in Le nostalgie" (1883).
Amalia Guglielminetti: "Vecchio parco" e "Il giardino segreto" in "Le Seduzioni" (1909).
Marco Lessona: "In giardino" e "Nel parco" in "Ritmi" (1902).
Marco Lessona: "Il giardino" in "Versi liberi" (1920).
Giuseppe Lipparini: "Il giardino" in "Lo specchio delle rose" (1898).
Nicola Marchese: "Orto claustrale" e "Villa Pamphily" in "Le Liriche" (1911).
Tito Marrone: "Desolazione" in "Cesellature" (1899).
Tito Marrone: "Corinna" in "Liriche" (1904).
Fausto Maria Martini: "Il giardino di Psyche" in "Panem nostrum" (1907).
Pietro Mastri: "Il giardino dei felici" in "La meridiana" (1920).
Marino Moretti: "Hortus incultus" e "Angolo d'hortulus" in "Poesie scritte col lapis" (1910).
Marino Moretti: "Il giardino della stazione" in "Poesie 1905-1914" (1919).
Ada Negri: "Il giardino dell'Adolescente" in "Dal profondo" (1910).
Aldo Palazzeschi: "Parco umido" in "Lanterna" (1907).
Giovanni Pascoli: "Nel giardino" in "Myricae" (1900).
Francesco ed Emilio Scaglione: "Orto chiuso" in "Limen" (1910).
Emanuele Sella: "Il giardino delle stelle" in "Il giardino delle stelle" (1907).
Giovanni Tecchio: "Il giardino" in "Canti" (1931).
Domenico Tumiati: "Il rosaio" in "Liriche" (1937).
Carlo Vallini: "Sola nel parco, a vespero.." in "La rinunzia" (1907).
Mario Venditti, "L'amplesso" in "Il terzetto" (1911).
Giuseppe Villaroel: "Giardino pubblico" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).
Remigio Zena: "Nell'orticello della mia coscienza" in "Le pellegrine" (1894).



Testi

UN GIARDINO ABBANDONATO
di Enrico Nencioni

Grigio-giallastro, di lunghe striscie,
Di larghe macchie d'umido, sordido,
Tutt'orlato di folte gramigne,
Di selvatici fiori, di musco;

Alto, remoto d'ogni frequente
Strada, ermo, tacito, inaccessibile
Qual di rigido chiostro ove chiude
Il Carmelo sue sacre colombe,

È il vecchio muro. Largo cancello
A cui sormonta l'arme Medicea,
Colle palle di pietra consunte
E verdastre dal musco di secoli.

Di punte armato, sui ferrei cardini
Aspro-girante, rosso di ruggine,
Apre il varco a un antico giardino,
A un antico vial fiancheggiato

Da verde-cupi alti cipressi,
Che, come lunghi diti di scheletri,
Sopra il cielo d'autunno disegnano
Le lor file monotone e triste.

Vecchi sedili di pietra appaiono
Fra pianta e pianta. Laggiù nel fondo
È una vasca con acqua stagnante
Dove foglie ingiallite galleggiano

Fitte, ed i morti rami s' affollano
Presso le sponde. Tremante Naiade
Su dal mezzo si leva marmorea,
Obliato l'antico zampillo

Che un dì slanciavasi alto, e l'antico
Murmure, e i vispi pesci dorati
Che guizzavan fra l'acque purissime,
Sorridendo i fanciulli alla sponda.

Oh! come in folla tornano, accorrono,
E il petto m'agitan care memorie!
Qui mia madre, allor giovine donna,
Conducevami spesso fanciullo.

Su quel muscoso banco la vedo
Lunghe ore assisa col suo ricamo,
Mentr'io lieto gridando, correndo,
A lei porto le colte viole.

Sovra il pensoso magro tuo viso
Rideva, o madre, il sol di maggio;
Ti cantavan sul capo gli uccelli,
Ridea l'erba stellata di fiori.

Ed ora, o madre, di qualche argentea
Riga ho il crin sparso: tu sottoterra
Sei distesa recente cadavere,
Nè un tuo bacio più asciuga il mio pianto.

Poi, quando i primi rosei fantasimi
Al guardo attonito risero, e l' anima
sentì il verso de' grandi poeti,
Senti il palpito primo d'amore;

Là sotto, pullulati tra 'l putridume
Fradicio, rosei funghi venefici;
Strane forme di gelidi insetti
Lente strisciano in quei labirinti.

Dove la giovine erba spargevasi
Di margherite dal seno d'oro,
Popolosa famiglia d'ortiche
Gravi esala miasmi d'attorno.

Poi quando abbuia Novembre torbido,
Il pluvioso vento si leva
Ed aggira le morte tue foglie
Come l'alme del cerchio ov'è Dido.

Rossastre, gialle, grigie, violacee,
Luride, pallide di pallor etico,
Ei le accumula in funebri mucchii
Cui cementan la pioggia e la neve.

Ma quando ai primi tepidi soli
Di marzo il verde ramarro scaldasi,
E sull'orme di neve recente
La pervinca fiorisce e la mammola;

Nelle prim'ore pomeridiane,
Ai tuoi viali queti s'avviano
Malinconici visitatori
Che sol cercan la pace e il silenzio.

Convalescenti pallidi seggono
Un'ora al sole, taciti, immobili:
Lunghe file di bimbe precedono
Una Suora dal niveo cappello.

E a rivederti, vecchio giardino,
Anch'io ritorno; torno diverso
Come te da quel ch'ero, e dai casi
Assai più che dagli anni, prostrato.

Siam due ruine, vecchio giardino,
Siam due ruine sacre alla morte.
Ma se brilla su te gualche raggio,
E fra i cardi in te spunta un sol fiore;

Se a me fra i gemiti dal cuore esala
Un delicato sospir d'affetto ;
Se un umano pensiero io rivesto
Di un accento che i cuori commova;

O malinconico vecchio giardino,
O vecchio muro, vecchi viali,
Non morremo incompianti o esecrati.
Non avrem sempre indarno vissuto!

(Da "Poesie")




HORTUS CONCLUSUS
di Gabriele D'Annunzio

Giardini chiusi, appena intraveduti,
o contemplati a lungo pe' cancelli
che mai nessuna mano al viandante
smarrito aprì come in un sogno! Muti
giardini, cimiteri senza avelli,
ove erra forse qualche spirto amante
dietro l'ombre de' suoi beni perduti!

Splendon ne la memoria i paradisi
inaccessi a cui l'anima inquieta
aspirò con un'ansia che fu viva
oltre l'ora, oltre l'ora fuggitiva,
oltre la luce de la sera estiva
dove i fiori effondean qualche segreta
virtù da' lor feminei sorrisi,

e i bei penduli pomi tra la fronda
puri come la carne verginale
parean serbare ne la polpa bionda
sapori non terrestri a non mortale
bocca, e più bianche nel silenzio intente
le statue guardavan la profonda
pace e sognavano indicibilmente.

Qual mistero dal gesto d’una grande
statua solitaria in un giardino
silenzioso al vespero si spande!
Su i culmini dei rigidi cipressi,
a cui le rose cingono ghirlande,
inargentasi il cielo vespertino;
i fonti occulti parlano sommessi;

biancheggiano ne l’ombra i curvi cori
di marmo, ora deserti, ove s’aduna
il concilio degli ultimi poeti;
tenue su la messe alta dei fiori
passa la falce de la nova luna;
ne l’ombra i fonti parlano segreti;
rare sgorgan le stelle, ad una ad una;

un cigno con remeggio lento fende
il lago pura imagine del cielo
(desìo d’amori umani ancor l’accende?
memoria è in lui del nuzial suo lito?)
e fluttua nel lene solco il velo
de l’antica Tindaride, risplende
su l’acque il lume de l’antico mito.

Di sovrumani amori visioni
sorgono su da’ vasti orti recinti
che mai una divina a lo straniero
aprirà coronata di giacinti
per lui condurre in alti labirinti
di fiori verso il triplice mistero
cantando inaudite sue canzoni.

Ma quegli, folle del profumo effuso
dal cor degli invisibili rosai,
chino a la soglia come quando adora,
pieni d’un sogno non sognato mai
gli occhi mortali, giù per l’ombre esplora
nel profondo crepuscolo in confuso
il dominio silente ch’egli ignora.

Così la prima volta io vi guardai
con questi occhi mortali. Voi, signora,
siete per me come un giardino chiuso.

(Da "Poema paradisiaco")




PARCO UMIDO
di Aldo Palazzeschi

Il parco è serrato serrato serrato,
serrato da un muro ch'è lungo
le miglia le miglia le miglia,
da un muro coperto di muffe,
coperto di verdi licheni,
grondante di dense fanghiglie.
Né un varco soltanto nel parco traspare
né un foro vi luce,
soltanto si posson le muffe cadenti
vedere, soltanto
le dense fanghiglie grondanti.
Altissimi i cedri ne passano il muro,
i pini dal fusto robusto ne sporgon l'ombrello
s'innalzan cipressi, rossastre magnolie,
e salici, e salici tanti
piangenti di pianti lontani,
che mischian sul muro cadenti
le lagrime ai verdi licheni,
a grige fanghiglie grondanti.
Di fuori ecco il parco serrato,
serrato da un muro
eh'è lungo le miglia e le miglia.
Fra l'ombre, fra l'ombre potenti
nel folto degli alberi grandi
soltanto tre donne s'aggirano lento,
bellissime donne: Regine Parenti.
S'aggirano lento in silenzio
ne l'ombre del parco serrato,
pesante trascinano il manto di lutto, le Donne,
coperte da un velo
che appena il pallore del volto ne scopre.

(Da "Lanterna")




Santiago Rusinol, "Giardino abbandonato"

sabato 16 aprile 2016

Da una lettera di Enrico Thovez

[...] Ho letto in questi giorni qualche brano della conferenza del Fogazzaro a Parigi sul «poeta dell'avvenire». Quando ho letto che il poeta futuro dovrà avere un alto concetto della femminilità; ristabilire nella letteratura gli elevati tipi ideali di altri tempi, se vorrà che la sua arte sia grande, ho provato come un bisogno di gridare di sdegno e di dolore. Io non so se esista un poeta più di me convinto di quella necessità; io non credo che nessuno mai sia come me nato con un violento, struggente bisogno di elevatezza amorosa, con una fede più salda, più ingenua nell'idealità femminile. Ma dove è il cuore che avrebbe potuto conservare intatto quel tesoro, attraverso una vita come la mia? Se anche io potessi rinunciare all'amore, se potessi rassegnarmi a vivere soltanto dei fantasmi della mente, non potrei più rievocare quell'ideale scaduto, sgretolatosi giorno per giorno in quindici anni di disinganni. Io non sono pessimista per partito preso, come (xxx), il quale per consolarsi delle amarezze sofferte coinvolge in un uguale disprezzo tutta la femminilità; io dico soltanto che la sorte mi ha impedito di conoscere quei rari casi di femminilità degna, che pure debbono esistere. Quando penso che non c'è in tutta la mia città un viso che mi faccia sognare, un cuore che mi desti uno slancio d'entusiasmo! Quando penso che tutto ciò che vedo, che odo intorno all'amore è basso, ignobile o quanto meno mediocre, che non posso nemmeno consumarmi in segreto come da fanciullo, perché nulla di degno v'è più anche fra l'irraggiungibile! Quando penso che io vivo fra le ripulse di una sartina ed i sorrisi ironici di un'istitutrice, e che queste derisioni di amore mi sono pure invidiate da mio fratello, da (xxx) e forse da te, e insidiate poi da moltissimi! Idealizzare questa realtà meschina? È ciò che faccio. Ma se io posso avvolgere della poesia del mio desiderio la banalità della materialità amorosa, non posso però creare delle anime che non esistono e infonderle in quei corpi che non potrebbero contenerle. Brutta cosa non essere un letterato puro! Avere una sensibilità e possedere una tecnica pittorica e plastica! non è più possibile sorvolare sulla corrispondenza intima fra la sostanza e la forma, fra l'anima e il corpo. [...]

(Da una lettera di Enrico Thovez datata: 25 marzo 1898)

lunedì 4 aprile 2016

Poeti dimenticati: Marino Marin

Nacque a Corcrevà di Bottrighe nel 1860 e morì ad Adria nel 1951. Dopo gli studi entrò come dirigente nel comune di Adria, dal quale incarico fu messo a riposo nel 1914 per una grave malattia agli occhi che alcuni anni dopo lo fece diventare cieco. Poeta classicista, pascoliano e, in alcune raccolte decadente, i suoi versi furono così definiti da Ugo Zannoni: « [...] questa poesia è un'immersione profonda nell'incanto della natura e nel sentimento dell'amore e del dolore. Agreste nel senso più forte della parola, pare che voglia cogliere il respiro della terra e il candore mite delle cose della terra. Anima la sua solitudine di note dolci e accorate e percepisce il senso nascosto di ogni manifestazione di vitalità, specie se si effonde dal fremito creativo della terra».



Opere poetiche

"Humus", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1892.
"Sonetti secolari",  Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1896.
"Voci lontane", Barboni, Castrocaro 1898.
"Luci e ombre", Zanichelli, Bologna 1904.
"Narciso", Società Editrice «Avanguardia», Lugano 1907.
"Le Opere e i Giorni", Frisia, Milano 1920.
"Espiazione", Zanichelli, Bologna 1923.
"Rassegnazione", Zanichelli, Bologna 1927.
"Sprazzi di luce", Scarpa e Gambaro, Adria 1930.
"La voce della Gran Madre Antica", «Quaderni di Poesia», Milano 1933.
"Alle soglie dell'infinito", Tempo nostro, Adria 1935.
"Poesie scelte", Il Polesine, Rovigo 1938.
"Vecchie campane", Gastaldi, Milano-Roma 1949.





Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 398-399).
"Poeti delle Venezie", a cura di Federico Binaghi e Guido Marta, Zanetti, Venezia 1926 (pp. 142-147).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. IV, pp. 170-183).
"L'Adunata della poesia", 2° edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. 374-376).
"Cenacolo: Antologia di poeti d'oggi", a cura di Francesco Addonizio e Francesco Giovinazzo, Luce Intellettual, Palermo 1931 (pp. 206-211).
"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 241-247).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (volume secondo, p. 161).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 347-351).



Testi


VITA MINIMA

Volteggiano e ronzano in aria
i gai moscerini: tra il verde,
che ombreggia la via solitaria,
il murmure sale e si perde.

Che fremito d'ali, che festa
d'aerei connubî e di balli
allor che il pio sole ridesta
sereno i maggesi e le valli!

Il vol de le innumeri vite,
cui nutre un fil d'erba, dispiega
le fulve ali tenere in frega
su l'umide siepi fiorite.

Sgusciata staman, la vivace
tribù degli insetti già figlia:
decrepita a sera avrà pace
nel picciolo avel di famiglia:

nel picciolo avel di lor gente
scavato, opra inver gigantesca,
su un verde cespo di mente
o in seno a una mammola fresca.

(Da "Voci lontane")

lunedì 28 marzo 2016

Poeti dimenticati: Luigi Crociato

Luigi Krischan dei conti di Wurmberg (in arte Luigi Crociato) nacque, visse e morì a Trieste tra il 1870 ed il 1935. Dopo gli studi calssici si dedicò all'insegnamento con zelo ed entusiasmo. Fu poeta, prosatore e drammaturgo. Per ciò che concerne la sua opera poetica, Crociato si dimostrò lirico aperto alle nuove tendenze (fece uso abbondante del verso libero) e toccò temi riguardanti la tradizione, la filosofia e la religione. Il suo libro migliore, dominato da una visionarità a volte lugubre, è "Canta il selvaggio", che fu lodato, tra gli altri, da Silvio Benco.



Opere poetiche

"L'ulivo", Tipografia Tomasich, Trieste 1900.
"L'ampolla", Editrice Cittadini, Trieste 1908.
"Canta il selvaggio", Voghera, Roma 1912.
"La tragedia divina", Zanichelli, Bologna 1926.
"Le ultime liriche", Società artistico letteraria, Trieste 1969.





Presenze in antologie

"Poeti italiani d’oltre i confini", a cura di Giuseppe Picciòla, Sansoni Firenze 1914 (pp. 242-244).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 525-530).



Testi



SONNO DI VILLA

Dan canti a la messe;
dan musiche al tino;
dan tela a chi tesse.

Dan ombra al camino;
dan fede ai lontani;
dan serti al destino.

Dan rose a le mani;
dan l'ore promesse;
dan tutto..., domani.

Le nove! e nove volte
batte il gallo col rostro di bronzo
su la campana, e numera
le speranze che tornan furtive,
stelle filanti,
e si spengono in seno a la villa
che ha sonno...

Schiude in cielo la chiara finestra
del plenilunio
San Floriano, con secchia e molt'acqua
cerulea, ch'ei versa sui tetti,
intenti a una mandolinata
di grilli.

Stan, là intorno due frassini,
guardie campestri.
Per la strada bagnata di luna
passano due anime:
il cieco e l'armonica. Al bivio
c'è una casa:
c'è un gatto con occhi di lume
che spia.

Van le due anime a destra; a sinistra,
su la palancola
del torrente, va un altro fantasma,
che si ferma,
perché a battere torna quel gallo.

Dieci volte! Di nove è il ricordo,
la decima fila!
Fila, e si spegne ne l'acqua
che ha fretta,
e dall'amplesso dei salci
si svincola... fugge...
«Beata la villa che dorme...»
Continua la strada
quel fantasma: lo spirito mio...

(Da "Canta il selvaggio")

Mattina

M'illumino
d'immenso



COMMENTO


In questa poesia, Giuseppe Ungaretti (1888-1970) raggiunse l'apice della sinteticità e dell'essenzialità di tutta la sua opera in versi. Rispetto alla lirica vera e propria risulta assai più lunga l'annotazione che la precede ne "L'Allegria" (1942), libro dal quale proviene, che è questa: "Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917". La poesia (se di poesia si può parlare) comparve per la prima volta nel 1918, col titolo Cielo e mare, su un volume intitolato "Antologia della Diana", e, col medesimo la si ritrova in "Allegria di naufragi", secondo libro poetico ungarettiano del 1919.



Giuseppe Pellizza da Volpedo, "Mattino di maggio"

venerdì 25 marzo 2016

Antologie: Antologia della lirica italiana - Ottocento e Novecento (a cura di Carlo Culcasi)

Questa antologia di Carlo Culcasi molto somiglia ad un'altra, uscita più o meno nello stesso periodo, curata da Enrico M. Fusco, di cui mi sono occupato tempo addietro. Praticamente è un viaggio della poesia italiana di circa due secoli: XIX e XX, che privilegia i nomi fino a quel momento ritenuti più degni di comparire. Ma, se è vero che per quanto riguarda l'Ottocento, ormai i giochi potevano considerarsi fatti, e quindi il curatore si poteva adeguare ad una comune valutazione critica già attuata in altre prestigiose antologie, per il Novecento, non ancora giunto alla sua metà, tale ragionamento era impossibile. Da qui la scelta di nomi diversissimi fra loro, che in parte si rifanno ad altre selezioni, più o meno recenti, effettuate in base ad una valutazione che concepiva la nuova poesia come continuazione della tradizione passata, e che per questo privilegiava coloro che avevano amato seguire la lezione dei "vati" (Carducci, Pascoli e D'Annunzio); in minor misura, invece, viene dato spazio a poeti emergenti che in qualche modo intendevano rompere con la tradizione per intraprendere nuove strade. Come è noto, negli anni successivi, critici che rispondono ai famosi nomi di Anceschi, Contini, Spagnoletti, Sanguineti e Mengaldo fecero piazza pulita di quei poeti legati troppo al passato, lasciando campo libero agli innovatori. Questa antologia rimane quale esempio per capire come si andava evolvendo il lavoro dei critici letterari, mentre il Novecento avanzava: è, sostanzialmente, una selezione di metà strada, con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti.





ELENCO DEI POETI PRESENTI NELL'ANTOLOGIA

Vincenzo Monti, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Giovanni Berchet, Niccolò Tommaseo, Aleardo Aleardi, Giovanni Prati, Giacomo Zanella, Ippolito Nievo, Giosue Carducci, Domenico Gnoli, Emilio Praga, Enrico Panzacchi, Antonio Fogazzaro, Arrigo Boito, Mario Rapisardi, Giovanni Camerana, Arturo Graf, Giovanni Marradi, M. A. Bonacci Brunamonti, Olindo Guerrini, Giuseppe Picciola, Riccardo Pitteri, Vittoria Aganoor Pompilj, Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Guido Mazzoni, Giovanni Alfredo Cesareo, Pompeo Bettini, Giulio Salvadori, Alfredo Baccelli, Gabriele D'Annunzio, Adolfo De Bosis, Angiolo Silvio Novaro, Sebastiano Satta, Luigi Pirandello, Pietro Mastri, Giovanni Bertacchi, Enrico Thovez, Antonino Anile, Giovanni Cena, Ada Negri, Ettore Romagnoli, Francesco Chiesa, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Guelfo Civinini, Riccardo Balsamo Crivelli, Emilio Agostini, Paolo Buzzi, Angelo Gatti, Luigi Orsini, Vincenzo Gerace, Francesco Pastonchi, Giuseppe Lipparini, Massimo Bontempelli, Giulio Gianelli, Francesco Gaeta, Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Guido Gozzano, Ofelia Mazzoni, Umberto Saba, Corrado Govoni, Dino Campana, Arturo Onofri, Aldo Palazzeschi, Marino Moretti, Sergio Corazzini, Vincenzo Cardarelli, Diego Valeri, Giosuè Borsi, Luciano Folgore, Giuseppe Ungaretti, Vittorio Locchi, Giuseppe Villaroel, Ugo Betti, Lionello Fiumi, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo



VOCI NUOVE E NUOVISSIME


Guido Pusinich, Sibilla Aleramo, Francesco Vivona, Giorgio Umani, Massimo Spiritini, Giuseppe Longo, Edoardo Mottini, Federico De Maria, Carlo Delcroix, Sebastiano Mineo, Mariano Rugo, Giovanni Titta Rosa, Cesare Meano, Giuseppe Zoppi, Nicola Moscardelli, Adriano Grande, Elpidio Jenco, Giuseppe Ravegnani, Luigi Fallacara, Fernando Losavio, Renzo Pezzani, Carlo Betocchi, Carlo Martini, Alfonso Gatto, Aldo Capasso, Amalia Guglielminetti, Maria Barbara Tosatti, Antonia Pozzi, Paola Moretta, Marianna Giudici, Angela Talli Bordoni.

domenica 20 marzo 2016

Il futuro nella poesia italiana decadente e simbolista

Vi sono disparate e fantasiose interpretazioni del futuro: c'è chi (Chiaves e Marrone) s'immagina il post mortem e vede la propria anima che spia i beffardi e cinici comportamenti dei vivi, oppure immagina mondi paradisiaci dove vivere una seconda, più tranquilla esistenza. Graf vede la Terra ormai spopolata da qualsivoglia forma vitale; Ruberti si vede già vecchio e rassegnato, cercare di cogliere il buono della vita anche nella tarda età. La poesia della Giaconi è, in sostanza, un'esortazione a vedere ottimisticamente il futuro, mentre la Aganoor esprime un desiderio, o meglio una preghiera, perché cessi il gelo (interiore?) e giunga finalmente la bella stagione. Decisamente pessimiste sono le poesie di Camerana e di Cena; misteriosa e inquietante quella di Donati Pétteni, il quale descrive i terribili presentimenti di un bambino che riesce a percepire il futuro.   



Poesie sull'argomento

Vittoria Aganoor: "Fantasia" in "Leggenda eterna" (1900).
Giovanni Camerana: "E tu salivi la campagna bionda" in "Poesie" (1968).
Giovanni Cena: "Dopo il festino" in "Homo" (1907).
Carlo Chiaves: "Pessimismo" in "Sogno e ironia" (1910).
Gabriele D'Annunzio: "Innanzi l'alba" in "Alcyone" (1904).
Federico De Maria: "C'è qualche cosa..." in "La Ritornata" (1932).
Giuliano Donati Pétteni: "Presentimenti" in "Intimità" (1926).
Luisa Giaconi: "Il domani" in "Tebaide" (1909).
Arturo Graf: "È morta la vita" in "Medusa" (1890).
Giuseppe Lipparini: "L'inconsapevole" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "Ancora" in "Liriche" (1904).
Nino Oxilia: "Aspettando una donna" in "Gli orti" (1918).
Guido Ruberti: "L'ultimo sogno" in "Le fiaccole" (1905).



Testi

E TU SALIVI LA CAMPAGNA BIONDA
di Giovanni Camerana

E tu salivi la campagna bionda
E sulle labbra ti fioriva il canto,
Ma ti attendeva la vallea profonda,
La vallea dei fantasmi e l’ombra e il pianto...

(Da "Versi", 1907)




PESSIMISMO
di Carlo Chiaves

Vorrei provar la dolcezza
di morire, ma per un giorno,
di andarmene con la certezza
di fare pronto ritorno.

Per ascoltare, dal fondo,
pur di una cassa, una volta,
pensare e discorrere il mondo
ignaro di quegli che ascolta.

Come fino a questo momento,
sono stato un ragazzo di cuore,
avrei un accompagnamento
degno di un grande signore.

E come i fiori mi piacciono
e l'ho già detto, son certo
che ne sarebbe il mio feretro
addirittura coperto.

Dal fondo del mio segreto
non senza una qualche apprensione,
starei, attento e inquieto,
a udir la conversazione.

Verrebbero a passi uguali,
con viso di circostanza,
per dir le cose banali,
degli uomini d'importanza:

- È morto! - Già, è morto! - Si tace,
si pensa un qualche minuto.
- È morto! riposi in pace! -
Avrei, non vi pare? creduto

che in questa vita terrena
avrebbe fatto di più -
Vi accerto, ho provato gran pena...
Diamine, gli davo del tu! -

Però non sarebbero certo
tutti i discorsi così,
da uomo vissuto, esperto,
ne ho uditi tanti fin qui!

- Che bella giornata! - Peccato! -
Che strano contrasto! Ier sera
faceva caldo! - Beato!
È morto di Primavera -

Chi è quella donna? - Non vedo!
Ah! quella dal velo nero?
Carina! Possibile? - Credo!
- Che fosse tanto leggero?

- Mah! povero diavolo! - Oh! spesso
è meglio ancora: ed intanto
quando si ha molto promesso,
si lascia molto rimpianto -

- Aveva un certo carattere -
- Ha fatto qualche buon verso -
- Ingegno? No! un po' di spirito,
ma... spirito da tempo perso! -

Dal fondo del mio segreto,
non senza una qualche apprensione,
starei attento e inquieto
a udir la conversazione.

Ma certo sarebbe un po' amaro,
dal fondo de la mia bara,
sentire l'amico più caro
dire a l'amica più cara:

- Non piangere! riposa in pace,
sta meglio! Faremo la festa
stanotte, se non ti dispiace:
è andato, evviva chi resta!

Non te ne sei mai accorta,
che odio la finzione?
ormai passerò da la porta
invece che dal tuo balcone! -

Oh! meglio ancora qualche anno
vivere, tranquillo ed ignaro,
cullandosi nel placido inganno
che ognuno vi parli ben chiaro.

Persuasi che l'amante sicura,
non sogni più fulgidi eroi,
quando vi abbraccia e vi giura
di vivere soltanto per voi.

E, se un bel giorno bisogni
troncare ogni desiderio,
dormire, ma senza sogni,
oh! meglio dormire sul serio.

Con freddo il cuor di ogni palpito,
e di ogni lume il pensiero,
ed obliare e confondere tutto:
i fantasmi e il vero!

(Da "Sogno e ironia", 1910)




John Charles Dollman, "The Unknown"

lunedì 14 marzo 2016

Poeti dimenticati: Silvio Pagani

Nacque a Milano nel 1867. Amico di Gian Pietro Lucini, partecipò al cenacolo poetico formatosi nel capoluogo lombardo durante l'ultimo decennio del XIX secolo, che precorreva in Italia la pratica della poesia simbolista. Scrisse alcune azioni drammatiche, un romanzo e dei racconti.



Opere poetiche

"Lo specchio della dolorosa esistenza" (azione drammatica), Galli di C. Chiesa e F. Guindani, Milano 1895.
"Selve pagane" (azione drammatica), Galli, Milano 1897.
"L'anacoreta" (scherzo drammatico), Stab. Tip. Carlo Aliprandi Edit., Milano 1899.
"Asht'Avakragita, o Il canto di Asht'Avakra" (poemetto indiano), Sonzogno, Milano 1903.
"Aping il savio" (dramma allegorico), Pallestrini, Milano 1907.
"Leonardo da Vinci e Faust" (quadro scenico in versi), Casa ed. del "Pensiero Latino", Milano 1907.



Testi

A RICCARDO WAGNER

Vengono a l'alba, poi che il Re li chiama
da le selve col suon lungo del corno,
vengon gli eroi che per Wagner han fama;
salgono il monte a lo spuntar del giorno.
Così Luigi ogni anno li richiama:
Al Tegel fan gli spiriti ritorno:
ivi s'adunano in solenne ammanto
il sommo Vate a celebrar col canto.

Nell'ampia valle al chiaro sol nascente
splendono i laghi, e da l'eccelsa fonte
balza sfumando e brilla ogni torrente
giù pei declivi rapidi del monte.
Qui dove s'apre il fresco dì lucente
vien Parsifàl, che il nuovo raggio ha in fronte,
viene Tristan col fido Kurvenaldo, 
e Sigfried, che l'amor fe' ardito e baldo.

Tannhauser vien, che una devota e pia
prece ha sul labbro e tanto ardor nel seno:
ei passa e fa con dolce melodia
di novo incanto il bosco e l'aer pieno:
mistiche voci su l'alpestre via
scendono a lui dal ciel puro e sereno,
e già l'attende su l'aperta vetta
tra serafici cori Elisabetta.

E silenzioso e cupo, in bruna vesta,
vien l'Olandese, il pallido nocchiero.
Folgori e tuoni e nembi e ria tempesta
eternamente sogna il suo pensiero:
sibila il vento sovra la sua testa,
e, ancor che azzurro, è il cielo orrido e nero:
pace non sa, l'amor cerca e sospira,
l'amor che solo placherà quest'ira.

Ma da l'estremo ciel dov'è serena
più l'aria e più del suo splendor s'avviva,
in vaga conca che un bel cigno mena
vien Lohengrin con fronte alta e giuliva.
Ei canta e s'ode da lontano appena
la voce sua ch'amor scalda e ravviva:
taccion le selve a l'inusato incanto;
lento su l'aria ei s'avvicina intanto.

Candido e lieve il cigno innanzi viene,
dietro si trae la navicella, lento,
e dove passa alto silenzio tiene
il bosco, il monte, il prato e cade il vento,
si schiara il ciel, si fan l'aure serene,
piove letizia e celestial contento:
vengono intorno al biondo cavaliero
stupore, ardor, pietà, pace e mistero.

Lorica e scudo ei lbell'elmo d'argento
tutto risplende più che diamante:
ritto egli sta con nobil portamento,
certo ripensa in cor l'incauta amante,
il casto bacio, il rio tradimento
e la fiorita spiaggia del Barbante,
dove al popol raccolto e ai cavalieri
palesi fe' del Graal gli alti misteri.

Per vie diverse, con diversa fronte
all'erta rupe ognun così s'appressa,
e poi che tutti omai li accoglie il monte
ogni rumor, ogni bisbiglio cessa:
levasi un nembo allor da l'orizzonte
e a l'occhio uman la cima fa inaccessa,
ché in vel di nebbie denso e di vapori
gli alti culmini avvolge ed i cantori.

Or sulle vette ondeggia il nembo e sibili
fan cavalcando ed urli, per le cime,
sfrenate le Walkirie, in tra gli orribili
tuoni levando al ciel l'inno sublime.
Treman le roccie; l'aria di terribili
fuochi s'accende e tutto intorno opprime,
tutto sconvolge turbinosa e nera,
sui gioghi solitarii la bufera.

Allor dal cielo un vivo raggio scende
e fra le rotte nubi il monte attinge.
Ogni cimier, ogni corazza splende;
del lume suo divin tutto si tinge.
Comincia un coro allor di sì stupende
note che l'alma in pio fervor costringe:
cantan gli eroi, solenne vola il canto
alto per l'aria e del Poeta il vanto.

(Dalla rivista «Cronaca d'arte», novembre 1891)

Poeti dimenticati: Tullio Ortolani

Nacque nel 1869, fu prosatore, poeta e critico letterario. Collaborò a varie riviste tra cui il "Marzocco". Le sue opere in versi mostrano uno stile decisamente ottocentesco e classicista, più raramente si riscontrano suggestioni decadenti.



Opere poetiche

"Vox in deserto", Tip. Castaldi, Feltre 1895.
"Canti della bontà", Tip. dell'Umbria, Spoleto 1897.
"in solitudine", Tip. Mancini, Macerata 1899.

Frontespizio del volume poetico di Tullio Ortolani: "Vox in deserto", Premiata Tipografia Castaldi, Feltre 1895



Testi

DOLCEZZA

Venga l'universal dolcezza ai cuori,
ché troppo il male strinse ormai la mano,
troppo sofferse l'Anima dolori!

Né più fiorisca primavera in vano,
né l'autunno maturi in vano i frutti,
ma il bene sia vicino e sia lontano.

L'Anima si dimentichi de' lutti
ch'ella, ch'ella medesima construsse.
Scenda l'universal dolcezza in tutti.

Chi al pianto disperato ci condusse?
chi la bocca fraterna alle parole
tristi dell'odio e del livore indusse?

S'aprano le dolenti celle al sole,
anche il delitto la dolcezza tocchi.
Sappiamo ciò che in fondo ai cuori duole?

Sappiamo ciò che brucia in fondo agli occhi?
Noi vedremo dall'alte ferriate
volgersi alcuno, flettere i ginocchi.

Vedremo dalle case scellerate
per la vergogna donne in pianto uscire.
O buoni, perdonate, perdonate:

l'ultimo pianto passa sovra l'ire!
Sia la dolcezza farmaco divino,
ella sia che le mani faccia aprire

del ricco a carità sul peregrino;
ella sia che lenisca ogni altro male,
e sia il bene lontano e sia il vicino.

Ella sia, la dolcezza universale.

(Dalla rivista «Il Marzocco», luglio 1896)

lunedì 15 febbraio 2016

Il fuoco nella poesia italiana decadente e simbolista

In molti casi il fuoco si esplicita tramite un rogo che sempre ha il compito di distruggere cose, pensieri, illusioni e persino gli autori dei versi, i quali tramite il fuoco che tutto brucia intendono liberarsi di ciò che li fa soffrire, fosse anche la loro esistenza. In altri casi il fuoco ha una funzione magica (ad esempio nella poesia di Betti) e serve ad evidenziare una pulsione (probabilmente sessuale) o, comunque, una forte passione. Altrove (Giorgieri Contri) il fuoco del tramonto fa rinascere le "vampe" di un amore morto; Arturo Graf vede nei fuochi fatui dei cimiteri la propria anima che precocemente si spegne nell'infinità. Esistono infine casi di descrizioni di luoghi fantastici dove il fuoco (custodito, invadente, onnipresente) può rappresentare vari, misteriosi simboli.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Pomeriggio di decembre ai Monti Parioli" in "La città di Vita" (1896).
Alfredo Baccelli: "Il rogo" e "Ultime veglie" in "Fiamme e tenebre" (1910).
Ugo Betti: "Il fuoco" in "Il Re pensieroso" (1922).
Giovanni Camerana: "Il rogo" in "Poesie" (1968).
Carlo Chiaves: "Distruzione inutile" in "Sogno e ironia" (1910).
Guelfo Civinini, "La vana lotta", in "L'urna" (1900).
Lionello Fiumi: "Fiamma di candela" in "Polline" (1914).
Aldo Fumagalli: "Per rinascere" in "Arcate" (1913).
Cosimo Giorgieri Contri: "Foco non spento" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Arturo Graf: "Fuochi fatui" in "Morgana" (1901).
Arturo Graf: "Alla fiamma" in "Le Rime della Selva" (1906).
Remo Mannoni: "Il rogo" in «Il Trionfo d'Amore», maggio 1903.
Nicola Marchese: "Ballata della notte, 5" in "Le Liriche" (1911).
Marino Marin: "I genii nei silenti penetrali" in "Sonetti secolari" (1896).
Arturo Onofri: "Potenze d'aria crollano..." in "Terrestrità del sole" (1927).
Nino Oxilia: "Fuoco superbo che dall'ombra enorme" in "Canti brevi" (1909).
Aldo Palazzeschi: "Palazzo Mirena" in "Lanterna" (1907).
Giuseppe Zucca: "Le fiaccole" in "Io" (1921).



Testi

POMERIGGIO DI DECEMBRE AI MONTI PARIOLI
di Diego Angeli

Dentro la selva brilla ancora un fuoco.

Bacche vermiglie stanno in cima ai rami
degli agrifogli sul colle selvoso;
i tordi dentro i lecci hanno richiami,
nel plumbeo tramonto accidioso.
Ondeggia un bianco fumo tortuoso
da un focolare ove non è più fuoco.

Chi accese mai quel rogo moribondo?
Forse quelli che vennero a tagliare
gli agrifogli che debbono il giocondo
albero di Natale inghirlandare?
L'albero luminoso nelle chiare
stanze allietate da un immenso fuoco.

L'ultime luci e l'ultimo bagliore
del triste focolare semispento:
s'agita a poco a poco nel mio cuore
il bel sogno infantile di un momento.
Stasera ascolterò gemere il vento
leggendo un vecchio libro a canto al fuoco.


(Da "La città di vita")



Arnold Böcklin, "Heiliger Hain"

venerdì 29 gennaio 2016

Le fontane nella poesia italiana decadente e simbolista

Le fontane nella quasi totalità dei casi simboleggiano la vita nelle sue più importanti espressioni: fecondità, giovinezza, rinnovamento. I versi di tantissimi poeti orbitanti intorno alla corrente simbolista-decadente-crepuscolare si popolarono di fonti, fontanelle e fontane, delle volte anche in modo parodico (si legga ad esempio "La fontana malata" di Aldo Palazzeschi); in queste composizioni, assai spesso, le fontane si trovano in giardini o parchi pieni di muffe, foglie morte ed erbe infestanti, e sono disseccate; il significato di questo contesto, ovviamente, riflette uno stato di profondo malessere e di un'accentuata depressione malinconica: i poeti mostrano in questo modo di non aver più alcuno slancio vitale e di essere immersi in una desolante tristezza senza via d'uscita.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "A una fonte" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Umberto Bottone: "A una fontana" in "Lumi d'argento" (1906).
Giuliano Donati Pétteni: "Similitudine" in "Intimità" (1926).
Alfredo Galletti: "Fonte montana" in "Odi ed elegie" (1903).
Corrado Govoni: "La fontana" in "Le Fiale" (1903).
Arturo Graf: "La fontana di gioventù" in "Medusa" (1990).
Arturo Graf: "Picciola fonte" in "Morgana" (1901).
Arturo Graf: "Fonte romantico" in "Le Danaidi" (1905).
Giuseppe Lipparini: "Sonetto alla ottava" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini: "Di «Una Fontana»" in "Le Antitesi e le Perversità" (1971).
Pietro Mastri: "Le acacie della fonte" in "L'arcobaleno" (1900).
Arturo Onofri: "Le fontane" in "Poemi tragici" (1908).
Angiolo Orvieto: "La fonte" in "La primavera della cornamusa" (1925).
Aldo Palazzeschi: "La fonte del bene" in "I cavalli bianchi" (1905).
Guido Vitali: "Fontana solitaria" in "Voci di cose e d'uomini" (1906).



Testi

A UNA FONTE
di Diego Angeli

Fontana muta nel misterioso
bosco di questa gran villa che appare
chiusa nell'imminente albor lunare
come la viva immagin del riposo.

Tu vedesti il suo bel volto pensoso
su te piegarsi in atto di ascoltare
se mai dal fondo di tue linfe chiare
giungesse l'eco d'un singulto ascoso.

Non mai credo Aretusa un più profondo
dolore espresse, allor che tra la verde
erba svanì del dolce amante in traccia!

Ma io chino su te, cerco nel fondo
bacino ove l'opaca ombra si perde
se ancor vi arrida la sua bianca faccia.

(Da "L'Oratorio d'Amore", 1904)





A UNA FONTANA
di Umberto Bottone (Auro d'Alba)

Sempre la stessa, eterna litania,
sempre le gemme d'auro e d'argento
rutilanti una vecchia melodia.

O fontana di perla, o incantamento
di linfe piorne di tra bianche spume
ne l'alveo dolcemente sonnolento.

Nel mio piccolo cuor piange ogni lume
di vita, io vado sotto la carezza
del ciel: mi porta non so più qual fiume...

Fontanella di rose, o tenerezza
notturna, che il mio cuore imparadisa,
che non si muore, dimmi, di tristezza?

Oh, morir fra le tue perlucce, in guisa
d'esser baciato da le cristalline
onde che in cielo ogni diamante fisa!

Morire fra le braccia de le ondine
voluttuosamente, in una sera
di maggio, fra ghirlande turchesine,

e sognare una morta primavera;
gloria d'un cielo che ora invano agogno,
al lume incerto di pallente cera:
nato pel sogno, morto per il sogno!


(Da "Lumi d'argento", 1906)


Arnold Böcklin, "Nymph by the fountain"