domenica 1 dicembre 2013

C'era una volta il Natale. La festa natalizia nella poesia italiana tra il 1910 e il 1926

LA NATIVITÀ DI GESÙ
di Angiolo Silvio Novaro (1866-1938)

I

Era il sole d'oro spento
Sopra i monti di Giudea;
Sordo il vento
Per la scura valle cava
Mugolava:
E Maria di Galilea,
Sul giumento,
In Betlemme si rendea.
Ma Giuseppe a pie' seguia
La casta ombra di Maria.

Il presepe ove fumosa
Una tremula fiammella
Senza posa
Agitava fosche larve,
Ecco parve
Una bianca sala bella
Luminosa
A lei curva sulla sella.
Ella disse: - Lode al Ciel! -
E smontò dall'asinel.

Una stuoia in terra stese
Per suo letto, e lì, giuliva,
Sonno prese
Con le palme al petto giunte:
Ma tre punte,
Tre di ferro, ahimé, sentiva
Punte accese
Trapassarla, in sogno, viva!
Nel dolore schiuse gli occhi...
Stava un bimbo a' suoi ginocchi.

Stava ignudo sulla stuoia,
E gemea, ché il gel gli dava
Aspra noia.
Ella involse il fanciullino
Dentro il lino,
Lo depose nella cava
Mangiatoia,
E tremando lo guardava.
Sorrideva il buon Gesù:
Non sentiva il gelo più.


II

Ma i pastori che l'armento
Fissi vegliano alla notte.
Erto il mento
Sul vincastro, visto un lampo
Dentro il campo
Animare l'ombre rotte,
Di spavento
Sobbalzaron nelle grotte,
E cacciaronsi col volto
Sul terreno, ansando molto.

E una voce: - Non temiate, -
Disse: - Gioia in terra porto.
Esultate!
Nato è Cristo, il Salvatore.
Viva amore,
E sia l'odio al mondo morto!
Dio lodate,
Per cui grazia il Figlio è sorto! -
Così l'Angelo ammonì,
L'ali aperse, e poi sparì.

E i pastor', scosse le brine
Via nel vento che urla e strepe,
Per colline
E per monti con affanno
Vanno, vanno,
E ritrovano il presepe
Chiaro, alfine,
E in sull'uscio fanno siepe.
Siepe fanno, ed ecco un nimbo
D'oro avvolge culla e bimbo.

E tre re, che schietta e ardente
Dentro i ceruli vapori
D'oriente
Una stella ebbero a guida
Muta e fida,
In ginocchio co' pastori
Umilmente
Offerivano tesori.
Ma i pastori, ognuno die'
Solo il cuor che avea con sé.


III

Tutta notte ginocchioni
Vecchi re con pastorelli
Davan doni...
Quando alzarono le ciglia,
Meraviglia!
Terra e cieli eran più belli,
E più buoni
Eran gli uomini, - e fratelli!
Mosse il bimbo allora un riso,
E si aperse il Paradiso.

(Da "Il Cestello", 1910)





VESPRO DI NATALE
di Sebastiano Satta (1867-1914)

Incappucciati, foschi, a passo lento 
Tre banditi ascendevano la strada 
Deserta e grigia, tra la selva rada 
Dei sughereti, sotto il ciel d’argento. 

Non rumore di mandre o voci, il vento 
Agitava per l’algida contrada. 
Vasto silenzio. In fondo, Monte Spada 
Ridea bianco nel vespro sonnolento. 

O vespro di Natale! Dentro il core 
Ai banditi piangea la nostalgia 
Di te, pur senza udirne le campane: 

E mesti eran, pensando al buon odore 
Del porchetto e del vino, e all’allegria 
Del ceppo, nelle lor case lontane. 

(Da "Canti barbaricini", 1910)




NOTTE DI NATALE
di Marino Moretti (1885-1979)

Ardon gli astri nell'ombra e le campane
si rispondono querule e sonore;
così una voce piange in fondo al cuore
per desiderio di cose lontane.

Oh avere adesso in questa greve festa
notturna che di buon incenso tepe
una piccola valle di presepe,
anche di cera, anche di cartapesta.

Aver magari tutto un paesaggio
di Terrasanta coi laghi di vetro,
le pie casette col lumino dietro
e la stella che in alto fa viaggio;

e ascoltare con l'anima che sogna
la musica improvvisa che s'aduna
semplicemente, dietro un soffio, in una
esiliata anima di zampogna;

mentre ardon gli astri e piangon le campane
e le finestre sono tanti lumi...
(oh dolce cuore perché ti consumi
in desiderio di cose lontane?).

Sì, sì, anche giocattoli! Oh la chiara
stanza dove una mano frettolosa
e occulta preparò la bella cosa,
la bella cosa che or non più si prepara!

Non le piccole sfere di cristallo
o tremule d'argento né le stelle
di talco ardenti come ceri, quelle
piccole zone d'oro e di metallo...

Ardono gli astri, ed ecco le campane.
Salgon le nebbie pallide dai fiumi.
O dolce cuore, perché ti consumi
in desideri di cose lontane?

(Da "Poesie di tutti i giorni", 1911)




IL PRESEPIO DELLA MIA INFANZIA
di Carlo Chiaves (1882-1919)

Alla nostra impazienza
mamma, ogni anno, interrompeva:
- per quest’anno - e sorrideva -
- non potreste farne senza? -

Farne senza? o idea funesta!
Ed allora tutti quanti,
pazienti come santi,
preparavano la festa.

Mamma e zii con cartapesta,
con colori e con pennelli,
rifacean grotte, castelli,
un deserto, una foresta.

Da una vitrea fontana
un ruscel di filigrana
discendea placido e muto
fra due sponde di velluto.

E, nel fondo, era la stalla.
Il baglior d’un limicino
diffondea una luce gialla
su Maria e sul bambino.

San Giuseppe era tra il bue
e il somaro, che guardavano,
ed il capo dondolavano
gravemente, tutti e due.

I pastori eran di cera,
ché gli zii ne avean costrutti
di gran belli e di gran brutti,
d’ogni età, d’ogni maniera.

I Re Magi avean lor scorta
ed un elefante immenso,
che portava mirre, incenso
e ricchiezze d’ogni sorta.

Discendeva anche papà
verso sera, con quell’aria
un po' arguta e un po' bonaria:
- Bello! Ah! Bello! in verità! -

Ma perché il Moro non sta 
ritto? - Eh! vedi... è un po' sconnesso,
ma... si aggiusta... - E, se è permesso,
come mai Gianduia è quà?

- Per far numero! - Aaah! stupende
quelle rocce! E, se vi intendo,
il brigante e il reverendo,
per far numero? - Eh... s’intende...

Certo misto era il Corteo:
coi pastor venian tre o quattro
burattini del teatro,
fra un arcangelo ed un ebreo.

Sorrideva ora papà:
- Per Natale, a me bambino,
non presepi! E, in su mattino,
non balocchi in quantità...

Poi le visite. Rammento
cinque o sei vecchie signore,
sorridenti, bocca a cuore,
sempre pronte al complimento.

E i compagni... e i portinai...
e fors'anche gli inquilini,
delle mamme... dei bambini
ora medici o notai.

Ora... Or dormono i pastori
coi pupazzi del teatro
in chi sa che recesso atro
d'onde niun li trae più fuori.

L'elefante e il dromedario
- o destin d'ogni giocattolo! -
in chi sa che bugigattolo,
dove polvere è il sudario.

E quei bimbi... or son due uomini
quasi seri, e una signora.
Per colui che ben li ignora,
non è d'uopo ch'io li nomini.

Tutti gli altri... ahi! son più pochi,
e in gran parte non son più!
Se ne andò l'età dei giochi
e or sen va la gioventù.

(Da «La Donna», dicembre 1912)




CANZONE DI NATALE
di Guglielmo Felice Damiani (1875-1904)

Torno, o madre, alla casa. - Apri la porta,
chi già riposa desta,
chiama chi veglia e riaccendi il fuoco;
ché a te mi guida e il mio venir conforta
un tinnito di festa
invisibile; e l'inno umile e fioco
da prima, a poco a poco
crebbe, e nel cuor fu vana ogni paura.
Tal per la notte oscura,
seguendo l'orma del'aereo grido
ritorno stanco pellegrino al nido.

Sopra il mio capo, per i cupi azzurri
passa un canto e dilegua;
poi nel ciel che d'erranti anime brilla,
altri canti, altre note, altri sussurri
corrono senza tregua,
come voce che in cavi antri s'immilla.
Ed io so ben la squilla
che tra l'ombre e gli error mi guida e sprona...
Oh tu, madre, perdona
a chi tornando a questa soglia pia
fece molle del suo pianto la via.

Ch'io la pace qui trovi! entro la stanza
rifulgan le visioni
che un tempo giocondar l'umile notte:
un tempo, quando pieni di speranza
noi sognavam coi doni
greggi, presepi e luminose grotte,
e per l'ombre non rotte
ascoltavamo canti di pastori;
quando pur di tesori
carchi andavano i re bianchi col moro
e lunga comitiva era con loro...

E cercheremo, desti a mattutino,
l'orme che il pio passaggio
impresse lasci al nevicato suolo;
e, come un dì, nel rigido mattino
segneremo il viaggio
dicendo: Qui fermò l'aereo volo
e qui posò lo stuolo...
Udiste? udiste come tra un tintinno
d'arpe si levò l'inno?
come un arcano brivido percorse
e cielo e terra e casolari?... O forse?

Forse fu vano l'inno della Pace,
però che la parola
vanì col sogno dietro l'orizzonte,
e nell'anima nostra omai si tace,
né piangendo consola
vinta dal gel che la serrò, la fonte.
Su la pallida fronte
calano a stormi, come nei dì neri,
i torbidi pensieri;
su le labbra riarse, a cui nessuna
coppa fu chiusa, il tedio anche s'aduna.

Stolti! ché troppe vanità ci piacque
accarezzar nel petto,
troppe chimere perseguir col guardo!
surga la fede che fu morta e giacque
dentro al cuor giovinetto
e torni l'occhio a rimirar più tardo;
i desideri ond'ardo
sian fiamma ch'ogni cupa ombra consumi
e la strada m'allumi;
e tu, madre, col gesto che risana
guidami su la via soave e piana.

Apri, o madre, la porta. Eccomi giunto
stanco, pallido, afflitto
là donde mi partian lagrime amare:
trema e sussulta di pietà compunto
il mio cuor derelitto;
le mie pupille sazie di guardare
desideran sognare
siccome nelle pie notti lontane
al suon delle campane;
e per domani giorno dell'amore
cerca la vagabonda anima un cuore.
Ché domani è Natale:
a colui che seguì l'aerea traccia
apri, o madre, le braccia;
sovra il tuo seno, ove superbia tace,
ei trovi col perdono anche la pace.

(Da "Lira spezzata", 1912)




LA NEVE DI NATALE
di Fausto Valsecchi (1891-1914)

Ora nevicherà. Sento l’odore
della neve sospesa nelle stanche
nuvole grigie. E intorno, uno stupore
di cose che fra breve saran bianche.

L’ora ch’io vivo è livida d’attesa.
Una gregge passa, passa lentamente.
L’odore della neve ch’è sospesa
sul mondo sembra quella della mente:

lo stesso odore che le nari agghiaccia,
facendo lacrimare gli occhi stanchi.
Giunge il gregge all’ovile e s’accovaccia,
con gli occhi d’oro sotto i cigli bianchi.

Un altro gregge passa. Ora la neve
incomincia a cadere sugli agnelli.
Io guardo e penso a una carezza lieve
di mani che svaniscono sui velli.

Cade la neve. No, non cade: scende.
E alata. Atterra senza farsi male.
Non s’ode. Io guardo e penso alle leggende...
C’è in terra steso un cielo pastorale.

Gli agnelli andando ne hanno calpestata
la via, così che tutto s’imbruna.
E sul pallore della nevicata
la sera cala come nella luna.

L’ombra è sul gregge, che ha atterrato il muso,
ed in candidi petali si sfoglia.
O giungere così, subito, al chiuso
che ha una lampada accesa sulla soglia!

Laggiù in fondo brillare vagamente
la veggo come in una fiaba truce,
dove l’abisso s’apre, fra la gente
che il buio incalza, e il luogo della luce.

Gli agnelli hanno raggiunto una corrente.
Fra il gregge ed il suo ovile l’acqua scorre:
- la neve cade sempre - lo si sente
belare, ma nessuno lo soccorre.

Come può il cuore reggere allo strazio?
Il lago è senza fine e senza fondo.
Lascio errare lo sguardo nello spazio.
Dimentico di vivere sul mondo.

Fin che un naviglio in grembo al gregge, lieve
come un gran cigno, attratto dai belati,
approda, sosta, e poi riparte, greve
di quei poveri agnelli entro serrati.

Ed io lo guardo andarsene. Dai fianchi
tutti i musi sporgono per bere.
Il gregge soffre. E i remi sono stanchi
di tuffarsi nelle acque quasi nere.

Il lago è senza fine, è senza fondo.
Io penso (perchè penso?) a un naufragio.
Dimentico di vivere sul mondo.
E il gregge affonda adagio, adagio, adagio.

(Da "Versi e novelle")




CANTO DI NATALE
di Ettore Fabietti (1876-1962)

Crepita il ceppo su l'alare, l'ultimo
ceppo che il babbo ha tolto alla foresta;
lascia ch'io vegli fin che sia consunto:
la notte è lunga e non ho sonno punto.
Lasciami, mamma, reclinar la testa
sovra il tuo grembo, accanto al fuoco, dove
tu m'hai cullato quando ero fanciullo.
Vorrei d'allora i sogni risognare!
Guarda come son chiare
le stelle in questa notte di Natale!
Vicino a te m'assale
un desiderio di tornar fanciullo.
Prendimi, mamma, il capo entro le mani,
e delle tempie quietami l'ardore;
ma non contare i miei capelli bianchi.
Fin che l'olio non manchi
a la lucerna e crepiti la fiamma,
se non ti stanchi, mamma,
narrami la leggenda di Natale:
sono ancora un fanciullo in fondo al core.
- Lasciami, amore, lasciami pensare,
ch'io la ricordi; assai tempo trascorse,
e la memoria è vuota, come un bruno
doglio, o una casa ove non sia nessuno.
Ecco:
      "Una notte da le stelle chiare,
entro un presepe nacque il mio Gesù;
le stelle incominciarono a guardare
fisse con gli occhi al mondo di quaggiù"

"Era la valle tutto un vasto mare
di neve, e neve non cadeva più;
le stelle incominciarono a parlare
del prodigio alle genti ài lassù.

"Giù dal cielo una fata e un cavaliere
sceser, del sole risplendenti più;
magi e pastori trassero a vedere
come povero a noi venne Gesù.


"Oro e profumi..."
                          - No, mamma al natale
dei derelitti non fa festa alcuno:
Io vedeste quand'io ti venni al mondo.
- V'erano in cielo molte stelle chiare,
come stanotte, ma in casa nessuno:
babbo era via per procacciarsi il pane.
A piè del Ietto ardea quella lucerna
com'ora: io t'avea fatto un pannerello
e poche fasce con gli ultimi cenci
che portai meco quando venni sposa.
Dissi tra me: Se nasce,
o mio Signore, come Io riscaldo?
Non v'è stilla di fuoco per la casa!
Strinsi que' cenci in piccolo fardello,
sotto le coltri, al caldo;
ed aspettai che tu venissi al mondo.
Sola ero, come in fondo
al suo covo una lupa. In sul mattino
la donna del vicino
venne e trovò che tutto era finito;
l'avea chiamata il tuo primo vagito.

(Da "Canti del Trifoglieto", 1913)




LA PASTORALE
di Achille Leto (1872-1963)

I.

Ceppo vuol la chiesina di montagna
col suo campaniluccio e le casette
affumicate; vuole la campagna

bianca di neve, e bianche vuol le vette
e le tegole; vuole i focolari
coronati di bimbi e di vecchiette;

ma, soprattutto, vuol gli zampognari.


II.

Ecco per la città le cornamuse.
Ci destano, sull'alba, i vecchi accordi
che passan molli per le imposte chiuse.

Un sorriso e una lacrima, concordi,
ci sentiam dentro. Nella solitaria
alba gelata, salgono i ricordi

da un otre pieno, con tre canne, d'aria.

(Da "Piccole ali", 1914)




NATALE
di Guido Gozzano (1883-1916)

La pecorina di gesso,
sulla collina in cartone,
chiede umilmente permesso
ai Magi in adorazione.

Splende come acquamarina
il lago, freddo e un po' tetro,
chiuso fra la borraccina,
verde illusione di vetro.

Lungi nel tempo, e vicino
nel sogno (pianto e mistero)
c'è accanto a Gesù Bambino,
un bue giallo, un ciuco nero.

(Da "Le dolci rime", 1917)




NATALE
di Giuseppe Ungaretti (1888-1970)

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

(Da "Allegria di naufragi", 1919)




NOVENA DI NATALE
di Sandro Baganzani (1889-1950)

Un rustico presepe.
«U ciarameddaru» discese
chissà
da qual bianca città
di neve, perduta
tra i greppi: discese
per la novena
colla zampogna
che saluta
il Bimbo Gesù,
nenia dolcissima, piena del sogno
che fu.

Il presepe
è un altare dipinto, da un qualche
pittore che adopera
del bianco del rosa dell'oro
così senza posa,
per fare più bello
un manto, più biondo
il capino
d'un cherubino.
Sul muro nero tutto crepe
un verde festone
(pungitopo? mortella?)
greve
di frutti d'arancio,
cosparso di fiocchi di lana
(la neve!).
E la zampogna suona.
Ecco il presepe.

Ma scende nel cuore
un'angoscia lontana
verso il tramonto quando
i bimbi cantano
e alla fontana
le brune fanciulle
con l'anfora colma
vengono vanno
e tornano i greggi
ed i pastori ànno
quasi una sacra religiosità.
Scampanano stonati
i campanili.
E sui sottili fili
del ricordo
l'anima sogna
dietro la nenia della zampogna
quel che più non sarà.

(Da "Arie paesane", 1920)




LUNARE NATALIZIO
di Lionello Fiumi (1894-1973)

Andremo a plenilunio invernale
che il rotolìo della "vettura a nolo" ondulerà
con cerchi ampi d'opale
i corsi deserti a trapezi di buio a losanghe di chiaro.

Ma scesi fuori porta col cartoccio di marrons glacés
nella spianata màcera di luna
il solitario viale di avancittà
avrà apprestato pei suoi stivaletti mordoré
taciturne magnolie di piumosità.

Vedremo lontano i rigidi nastri
approvare le leggi prospettiche
triangolate d'ombre a carbone
come modellini scolastici di cartone,
e lei anche scoprirà banchine di cera
dormienti in pose catalettiche.
Ogni palo telegrafico
avrà il suo zoccolo d'ombra nera nera
come un tondino ritagliato di liquirizia.

E in quel paesaggio fragile e sommesso,
di carta e di gesso,
uscito quasi per regalo da una scatola natalizia
tutto brina fittizia
di mica e bambagia,
sarà voluttuoso complemento
tentare con ardimento
la sua fragilità novizia
di grande bambola di maiolica.

(Da "Mussole", 1920)




NELLA NOTTE DI NATALE
di Umberto Saba (1883-1957)

Io scrivo nella mia dolce stanzetta,
d'una candela al tenue chiarore,
ed una forza indomita d'amore
muove la stanca mano che si affretta.

Come debole e dolce il suon dell'ore!
Forse il bene invocato oggi m'aspetta.
Una serenità quasi perfetta
calma i battiti ardenti del mio cuore.

Notte fredda e stellata di Natale,
sai tu dirmi la fonte onde zampilla
improvvisa la mia speranza buona?

È forse il sogno di Gesù che brilla
nell'anima dolente ed immortale
del giovane che ama, che perdona?

(Dal "Canzoniere", 1921)




L'ALBERO NATALIZIO
di Guido Marta (1882-?)

Natale. Penso il Natale
nella mia casa, vicino
al grande mio focolare:
e là in fondo al viale
l'abete colossale,
che in casa non ci può stare.

Così, con le braccia tese
tra l'uno e l'altro orizzonte,
quasi a ridosso del monte
azzurro e lontano,
con qualche lume di stella,
con tanti doni di neve,
— incappucciato e greve
come un gran vecchio malato —
sembra lì preparato,
nella solitudine agresta,
per la nostra festa.

(Da "La neve in giardino", 1922)




LA NOTTE DI NATALE
di Giuliano Donati Petténi (1894-1930)

Ne l'ora che la notte più brillanti
accese gli astri, gli Angeli raccolti
le melodie intonarono coi volti
chini su le dorate arpe vibranti.

Simile al suono di celesti sfere
nei profondi silenzi ancora udito,
quando a noi giunge ne le calme sere
da l'azzurro de l'etere infinito,

era l'inno diffuso sotto gli archi
dei cieli come un canto universale
di speranza pei Santi e i Patriarchi
veglianti ne la notte di Natale.

Presso il gregge assonnato ora i pastori
sotto gli olivi stavano d'argento,
quasi a custodia de le stelle, armento
pascolante del cielo fra i bagliori.

Solo i più giovinetti affaticati
dai sollazzi e dall'opere diuturne
s'erano con gli agnelli addormentati
al cader delle prime ombre notturne.

Gli anziani no, ché dei silenzi amico
è il vecchio. Spesso ei si raccoglie a sera
memore d'un presagio ch'egli spera
per sé s'avveri e compia un sogno antico.

Posati infatti a terra i lor vincastri,
pensavano: - Non forse si compiva
un vaticinio s'ora giù da gli astri
dolce un'arcana musica veniva?

(Da "Intimità", 1926)

sabato 30 novembre 2013

C'era una volta il Natale. La festa natalizia nella poesia italiana tra il 1894 e il 1909

Sono, in questo post e nel successivo (che pubblicherò  molto presto), presenti alcune poesie che hanno come argomento principale o marginale la festa del Natale. Sono versi di circa cento anni fa che rivelano quanto l'evento natalizio fosse diverso rispetto a quello di oggi. Si evidenziano, a seconda dei casi, aspetti religiosi, sociali, nostalgici e ironici. Gli autori delle poesie sono spesso degli sconosciuti (almeno parlando dei tempi odierni) o quasi, ma i versi sono, a mio avviso, molto belli e sinceri, come mai lo sarebbero se fossero scritti oggi. È questo un modo un po' speciale per ricordare il Natale di una volta, ovvero una festa d'importanza unica, un evento annuale aspettato per mesi e mesi dalla popolazione italiana. Emerge a volte una ingenuità che oggi potrebbe far sorridere; ma, se si torna al concetto di sincerità precedentemente sottolineato, ci si accorge che questa assenza di malizia era una ricchezza la quale, nei nostri aridi e cinici tempi, diviene un valore ormai ignorato e rarissimo. A livello sociale è bene aggiungere che in quei lontani tempi, insieme a moltissime ingiustizie (che d'altra parte esistono ancora oggi) era presente una speranza, anch'essa sincera, di poter migliorare le cose in un futuro prossimo; la speranza di un miglioramento era rappresentata, per i credenti e per i non credenti, dalla figura di Gesù, il quale, uomo e Dio nello stesso tempo, fu il primo a mettere in pratica quei comportamenti filantropici, che dimostrano senza mezzi termini un amore disinteressato nei confronti dell'intera umanità e in particolare per quella più sofferente. La nostalgia, come è naturale che sia, traspare in alcuni casi piuttosto evidente e nasce dai natali dell'infanzia in tempi in cui esistevano ancora le famiglie unite e numerose. Forse molti bambini di oggi non potranno avere nostalgia del Natale, per motivi che vanno dall'assenza di una vera famiglia alla trasformazione della festa religiosa a mero e bieco evento commerciale. Non è assente, in talaltri versi, una buona dose d'ironia e di sarcasmo, capaci di far emergere il fatto che la festa del Natale, già un secolo fa, stava assumendo le caratteristiche della classica festa cara ai bottegai, già incanalata come era nei meandri dell'aridità e della profanità. Malgrado ciò si può affermare che quello in cui furono scritti questi versi è un periodo certamente privo del benessere, ma altrettanto certamente pieno di valori e speranze che oggi non si ritrovano più; e per tal motivo va ricordato tramite quello strumento unico e insostitubile che è la poesia.





NATALE
di Bruna (Laura Clementina Maiocchi)

Solennemente vibrano
i sacri bronzi, e l'aere gelato
ripercote quel suon. Quale a divina,
misterïosa voce
che dall'alto s'espande,
ogni fronte s'inchina.
Fiammelle rosse brillano
i ceri sull'altare, e radïose
tremolando, rischiarano
cento palme di rose.
Una piccola forma
di pargolo, sorride
fra gli incensi, fra i veli;
adorando si prostrano i fedeli.
Intanto nei palagi illuminati,
bionde e brune testine si confondono,
e cogli occhietti ingenui, estasïati,
ammirano i balocchi, luccicanti
alla fiamma del ceppo.
Pazze risa argentine,
e acuti trilli, echeggiano assordanti
fra le ricche cortine.
Ma quanti bimbi, ahimè, senza sorrisi,
senza cibo, tremanti
nei miseri tuguri, ove non brilla
nel freddo focolare una scintilla.
Dama gentil, che miri lietamente
il tuo bimbo felice,
ti sovvenga del povero che langue;
la gemmata tua man stendi pietosa,
e più santa sarà questa nivale
pia notte di Natale.

(Da "Petali e lagrime", 1894)




NOTTE DI NATALE
di Giovanni Marradi (1852-1922)

Or io penso altri dì, mentre martella
la campana di Ceppo e chiama a festa.
Oh il presepe domestico, che in questa
notte io fiorìa di musco e di mortella!

Né valevan per me templi o palagi
quel mio presepe antico, ove in pia gloria
svolgesi agli occhi miei l'umile dramma
di Betlemme. L'astro dei Re Magi
vi fulgea d'oro; e n'udivam la storia,
creduli bimbi, intorno a una gran fiamma.
C'eravam tutti allora: anche tu, mamma,
ignara allor di dover pianger tanto;
e tu, che fosti messa in camposanto
nel più bel fior degli anni tuoi, sorella.

(Da "Ballate moderne", 1894)




NATALE RUSTICO 
di Giuseppe Deabate (1857-1928)

Quando la nebbia a vortici 
S' innalza come fumo su dal piano, 
E lenta, egual, monotona 
Sale d'intorno e per desi lontano; 

Quando la neve a turbini 
Di candidi tappeti orna la valle, 
Si schiudono alle povere 
Genti del borgo le fumanti stalle, 

Dove all'intento circolo 
Dei suoi compagni il dotto contadino 
Legge le strane istorie 
Del «Re di Francia» e di «Guerrin Meschino». 

Ma quando intorno echeggiano 
Le campane che annunciano il Natale, 
Un senso allor di giubilo 
E di dolcezza tutti i cuori assale; 

Ed alle eroiche pagine 
Del «Re di Francia» e di «Guerrin Meschino» 
Succede allor la semplice, 
La ingenua istoria di «Gesù Bambino». 

Ed ecco tutti affollansi 
Intorno al crocchio, i bimbi e le fanciulle; 
Ecco le madri innalzano 
Le stanche teste dalle dolci culle, 

Mentre le mucche attonite 
Sollevano esse pur l'occhio ed il muso, 
E la vecchietta tremula 
Lascia cader dallo stupore il fuso.... 

Oh quanti ricchi e fulgidi 
Natali in fondo alle dorate sale 
Non valgono nè pure un'ora, un attimo 
Di questo rozzo e semplice Natale! 

Oh, per mutar di secoli, 
Quanta gloria di gesta e d'ori e gemme 
Ancor non vince il fascino 
Che su la terra immortalò Betlemme! 

(Da "Il canzoniere del villaggio", 1897)




PRESEPIO FIORENTINO
di Angiolo Orvieto (1869-1967)

I

Esci meco, sorella, nella tersa
alba invernale; mentre trema ancora
l'astro, tenero nuncio dell'aurora,
e ancor nell'ombra è la città sommersa.

Da' virginei sogni appena emersa
— un'aura lieve i capelli ti sfiora —
vieni in questa silenziosa ora,
che nel cuor nostro ogni fragranza versa.

L'anima fresca ora sente la vaga
tenerezza dell'alba, e una leggera
ansia, quasi nascesse primavera.

E anderemo lontano, in una plaga
ove sarà più dolce a noi sognare.
Ecco il presepio: varca il limitare.


II

La stella, che nell'alba fiorentina
sorridea, pure in questa plaga estrema,
in questa dolce oriental mattina,
fra lievi nubi, o mia sorella, trema.

È una remota alba in Palestina;
qualche cosa nell'ombre par che gema;
ma nella lontananza porporina
traluce omai del giorno il diadema.

O sorella, qui mormorano lente
acque, e laggiù lontane carovane
vanno per i deserti, sonnolente;

e anderanno sempre più lontane,
in traccia di palmizi e di fontane,
sovra l'aride sabbie, al sole ardente.


III

Ma dove, dove andate voi, pastori,
che, avvolte l'anche di villose pelli,
senza le capre irsute e i miti agnelli,
salite l'erta a questi primi albori?

Noi vedemmo - rispondono - o fratelli,
per il cielo trascorrere bagliori
di fiamme a notte, e udimmo: «Uscite fuori
quando sia l'alba e cantino gli augelli.

Uscite fuori e andate a quella umile
capanna, dove sulla paglia giace
Quegli che al mondo recherà la pace».

Così l'Angelo disse; e noi, lasciato
senza sospetti il gregge nell'ovile,
andiamo a salutar Colui che è nato.


IV

Va coi pastori, o mia dolce sorella;
io non son degno di venir con loro:
io resto fuori a contemplar la stella,
a udir gli augelli e il ruscello canoro.

Baleneranno agli Angeli le anella
luride e lunghe della chioma d'oro
al tuo passaggio, e nella lor favella
saluteranno te gli Angeli in coro.

Entra nella capanna e invoca, o santa,
per me la fiamma che ai pastori brilla,
che nell'anima tua pura sfavilla.

Io qui ti aspetto e trepidando spio
se, come il ciel di porpora s'ammanta,
così spunti la luce nel cuor mio.

(Da "La sposa mistica. Il velo di Maya", 1898)




CANTILENA DI NATALE
di Emilio De Marchi (1851-1901)

Stanotte a mezzanotte, quando spunta
La dicembrina luna,
Andiam, devoti amici, sulla punta
De' piedi a meditar presso una cuna.

Nel tenero sorriso
De' bimbi che riposano
È in terra un luccicar di paradiso.

A mezzanotte fra tintinni e canti
Per una liscia scalinata d'oro,
Scende nei sogni loro
Iddio con tutti i santi.

(Da "Vecchie cadenze e nuove", 1899)




FEBBRE 
di Vittoria Aganoor (1855-1910)

Ecco, la porta si spalanca ed entra 
mio padre coi bei doni. A stento ei tutti 
li regge (oh quanti!) e ride... Io dal mio letto 
tendo le braccia, e la gioia è nel sole 
che allaga la mia camera: è nel suono 
delle campane dindondanti a festa, 
nell'allegro vocìo che di fuor s'ode... 
— È nato! è nato! — esclamano le genti 
e per le vie s'abbracciano. 
                            La febbre 
questi sogni mi dà? sia benedetta! 
Vero; è Natale, ma mio padre immoto 
dorme laggiù presso la villa immersa 
tra gli abeti. È Natale... oh ma i fratelli 
non s'abbraccian per via!... 
                           Donami ancora 
un altro sogno, amica febbre! io veda 
svanir come ombra, al divampar d'un grande 
foco d'amore, l'indigenza, e il mondo 
finalmente placato in una fede 
sicura e forte come l'universo, 
in ogni terra, e per ognuno il sasso 
delle tombe non sia più che la porta 
dell'infinito. 
              A quella soglia io forse 
m'approssimo?... chi sa? Forse il mio sogno 
s'avvera, e lieto il padre mio dischiude 
il valico per me, recando il vivo 
dono di luce?... 
                 Dagli oscuri abissi 
della vita, assorgiamo, anima! albeggia 
l'erta, che attinge il vertice del vero. 

(Da "Leggenda eterna", 1900)




SESTINA DI NATALE
di Guelfo Civinini (1873-1954)

Natale. Ai vetri con le fredde dita
batton le piogge il saluto del verno.
I vecchi alberi vedovi di fronde,
scheletri neri, dondolano al vento.
Tace il grigio casal sotto al ciel fosco
come se morte ivi abbia spenta ogni opra.

Le rudi mura, che il tempo con l'opra
provò tenace di sue scarne dita,
da' vani oscuri tra 'l velame fosco
sogguatano lontan per entro il verno,
quando le nevi in signoria del vento
discenderanno su le morte fronde.

Malvagiamente ad istrappar le fronde
le piogge e i venti avvicendaron l'opra.
Treman silenziosi i rami al vento
come ad un carezzar di fredde dita.
O silenzio, grande anima del verno!
Or ben ravviso il tuo senso più fosco.

Certo discese sopra i campi un fosco
nume strappando in suo cammin le fronde
ultime d'autunno. E forse il verno
l'ultima vita intenta all'ultima opra
(tenean la marra rigide le dita)
vide piegar tragicamente al vento.

Or battaglian le nuvole col vento,
dando minacce in un viluppo fosco.
Che val se rosee piccolette dita
d'un divino fanciullo fan le fronde
dell'umana letizia, sì come opra
di primavera, rinverdir nel verno?

Qui su le morte cose piange il verno:
la solitaria casa è albergo al vento:
e par che in seno ai nudi solchi l'opra
del germinar si estingua. Giù dal fosco
cielo, su i rami neri senza fronde
batton le piogge con le fredde dita.

Dita divine, a l'opra! A crescer fronde
forzate con miracol nuovo il verno.
E sia pietoso il vento, e il ciel men fosco.

un giorno di Natale - nella campagna di Roma.

(Da "L'urna", 1900)




VIGILIA DI NATALE 
di Diego Garoglio (1866-1933)

Mentre che stilla tacita la piova, 
s'indugia per la via tutta splendente 
di fiamme e di riflessi acquei la gente 
felice, che già in cor gode la nova 

intima festa; ma dove ch'io mova 
il piede stanco tra persone intente 
a parlare a mirare, il cor si sente 
solo e il suo disperato duol rinnova. 

Tutto è finito? tutto? Non fu un tetro 
sogno? sei morta? eternamente muta 
è la tua bocca? muti i tuoi profondi 

occhi? calar sotterra io t'ò veduta? 
Io ti vedo e ti chiamo... e non rispondi, 
e t'accompagni a me come uno spetro. 

(Da "Elena", 1901)




PREGHIERA DI NATALE
di Enrico Panzacchi (1840-1904)

Noi t'invochiamo! L'ombra del Peccato
tien gli uomini e la terra in sua ragione
novellamente; e i fiori ha disseccato
               de la tua Redenzione.

Discendi, Cristo, dai siderei chiostri,
discendi anche una volta, o tu che puoi!
Torna a patir per li peccati nostri,
               torna a morir per noi!

(Da "Cor sincerum", 1902)




NATALE
di Alfredo Galletti (1872-1962)

Tra 'l fugace biancor de l'invernale
nebbia ne i cieli affacciasi il mattino;
splende di luce un serto porporino
de la sua fronte su 'l pallor nivale.

Quale corteo di sogni, o pio Natale,
per l'azzurro ti segue in tuo cammino!
da questa umile terra a te, divino,
sale un immenso fremito spirtale.

De l'odio e del dolor tace il selvaggio
coro, e l'uom fiso guarda a l'oriente,
se la pace promessa a noi discenda.

Reca, o Natale, il tuo divin messaggio,
e su la triste umanità dolente
la tua speranza, come un sol, risplenda.

(Da "Odi ed elegie", 1903)




NATALE
di Corrado Govoni (1884-1965)

E l'infanzia e il paese abbandonato, 
di tra le dense nebbie dolcemente 
scampanante, e il presepe tappezzato 
di borracina e ghiaia rilucente; 

le pastorali che soavemente 
l'armonium diffondeva estasiato:
tutti, tutti mi tornano alla mente, 
i ricordi del tempo trapassato, 

mentre al suon delle mistiche campane 
esultanti ne l'alba liliale, 
m'inondano dolcezze sovrumane, 

e al lieve vento, sopra il davanzale, 
ne le fini e giallastre porcellane, 
si sfogliano le rose di Natale. 

(Da "Le fiale", 1903)




VIGILIA DI NATALE
di Corrado Govoni

Un organo veste il silenzio malinconico
d'una gioia composta.
La farfalla irrequieta d'una imposta
sbatte sul muro vicino ai malvoni.

Un gallo rosso beve
ne l'abbeveratoio di legno.
Ne l'orto il melo à l'aria d'un disegno.
Il vento macina la neve.

Le campane imbastiscono il corredo
per il freddo Natale
L'anguilla tradizionale
sfrigola ne lo spiedo.

Il micio dorme sul leggiadro
tappeto del colore de le mandorle acerbe;
la luce d'un tizzo si riverbera
ne la cornice dorata d'un quadro.

(Da "Armonia in grigio et in silenzio", 1903)




NATALE DI BIMBI 
di Olindo Guerrini (1845-1916)

Innocenti fanciulli, 
che non suggeste ancora 
il velen della vita; 
gioconda età, fiorita 
nel riso dell'aurora, 
nel gaudio dei trastulli; 

anime ignote al male, 
coscïenze serene, 
bocche senza segreti, 
tornano i giorni lieti 
ed il dicembre viene 
col ceppo di Natale; 

speme di forti padri, 
gioia dei dì fugaci, 
gloria ed amor del mondo, 
porgete il capo biondo 
alle carezze, ai baci 
delle festanti madri. 

Ahi, come triste è l'ora 
per l'anime inquïete, 
pei cuori avvelenati! 
O bimbi, o voi beati, 
perchè non intendete, 
perchè ignorate ancora! 

(Da "Le Rime di Lorenzo Stecchetti", 1903)




LE CIARAMELLE
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.

Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.

Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;

sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!

(Da "Canti di Castelvecchio", 1903)




NINNA-NANNA DI NATALE
di Ada Negri (1870-1944)

- Ninna-nanna.... - gelato è il focolare,
fanciul: non ti svegliare.
Per coprirti dal freddo, o mio bambino,
cucio in un vecchio scialle un vestitino.

Ma il lucignolo trema e l'occhio è stanco,
bimbo dal viso bianco.
Chi sa se per domani avrò finito
questo che aspetti povero vestito!...

Ninna-nanna. - È la notte di Natale.
Libera nos dal male.
Cade la neve senza vento, fitta:
sgocciola un trave qui, ne la soffitta.

Io ti narrai la storia di Gesù,
bimbo. - Guardavi tu
lontano coi pensosi occhi che sanno
già tristi cose, e tante ne sapranno;

e mi chiedesti: È ver che nacque in una
stalla, ed ebbe per cuna
un po' di paglia, e andò povero e solo
per noi. nel mondo?... - È vero, o mio figliuolo.

E redimerci volle, ed un feroce
odio il confisse in croce;
e invan, da venti secoli di guerra,
l'ombra de la sua croce empie la terra;

che sempre il viver nostro si trascina
fra bettola e officina,
fra l'ignoranza e la miseria nera,
fra il vizio, l'ospedale e la galera.

....Pace ed amor non avrem dunque mai?...
O bimbo!... tu non sai. -
La notte è santa. - Mulinando cade
la neve bianca su le bianche strade;

e domani, con l'alba, le campane
diran: riposo e pane
gli uomini di buona volontà!... -
Ma menzogna terribile sarà.

Sarà menzogna sino a quando, o figlio,
in ogni aspro giaciglio
simile a questo, in ogni nuda stanza
simile a questa, ove non è speranza,

a l'alba di Natale ogni bambino
che soffra il tuo destino
e mangi pan con lacrime commisto,
si sveglierà con l'anima di Cristo:

e tutte le soffitte avranno un fiero
fanciul che andrà il pensiero
temprando a gli urti de la vita grama,
sino a foggiarne un'invincibil lama:

e un giorno insorgeranno a milioni
con fulmini e con tuoni
questi profeti: e al loro impeto alato
il vecchio mondo crollerà, stroncato:

ed il Vangelo allor sarà sovrana
legge a la vita umana:
e - Pace, - allora, dire si potrà
agli uomini di buona volontà!...

Ne le viscere nostre oppresse e macre
di popolane, sacre
a la fatica ed al servaggio muto,
il miracol di Dio sarà compiuto.

Ed ora, o figlio, del tuo letto al piede,
con inesausta fede
questa leggenda di Natale io dico: 
- Cristo del sangue mio, ti benedico. -

(Da "Maternità", 1904)




LE CAMPANE DEL NATALE
di Ulisse Ortensi (1863-1935)

Sempre una notte gelida d'inverno
io t'ho aspettata accanto al focolare,
mentre fuori tra un turbine d'inferno,
come un diavolo, Borea udiasi urlare.

Splendea sui vetri della vecchia pieve
dei sacri ceri il luminoso raggio;
il borgo sotto la cadente neve
somigliava a un fantastico villaggio.

Che notte di stupor, di fantasia,
campana dei miei sogni più innocenti!
Che calmo aspetto avea la casa mia
con gli avi venerandi e sorridenti!

Io t'aspettavo fino a notte piena
come un incanto, una rivelazione,
mentre lieta svolgevasi la cena
tradizionale nella mia magione.

T'udivo alfin cantar come una sposa
gaia e ridente nel suo dì nuziale.
Che bella voce in quella portentosa
notte avevi, o Campana del Natale!

E poi m'addormentavo al tuo bel canto
sul seno de la mamma come un re,
mentre la neve col suo bianco manto
la Maiella coprìa dal capo ai piè.

(Da "Poveri sogni", 1904)




MUSICHE DI NATALE
di Giovanni Bertacchi (1869-1942)

Scampanii di borgate entro nascoste
nei cinerei vapori alla pianura,
palpitanti laggiù, come se foste
solo una cosa con la nebbia oscura,

io sento in voi la confluente ondata
che dal celato mar dell'infinito
batte alla muta terra, a la vallata
che reca il morituro uomo con sé.

L'orecchio intento, riconfuso in voi,
penetra nel lontano aere profondo,
e tramuta ascoltando i moti suoi
in un presagio d'invisibil mondo.

È sogno? È fede? Io non lo so: mi basta
quest'avvolgente palpito smarrito,
che infutura il mio senso e fa più vasta
la cerchia della vita intorno a me.

Con dolce affanno, dall'immenso vano,
io sento avvicinarsi il suono occulto.
Come può dunque un dondolìo lontano 
muovermi in cuor sì trepido tumulto?

Come può l'onda di un'informe nota,
e un incerto oscillar di cantilena
ridestarmi nel cuor l'eco remota
degli affetti che il tempo in me sopì?

Uom che viaggiasti i secoli, tu giungi
provato ormai da tante ere di vita:
ma se la voce palpita da lungi
che già i padri dei padri ebbero udita,

tu, fermo a mezzo della via, deponi
tutto il retaggio onde recasti piena
l'anima antica, e ancora, entro quei suoni,
trovi gl'intatti spiriti d'un dì.

Uom che tutto sapesti, un dì solenne
oggi spunta per te, né canta solo
questa di bronzi salmodia che venne
superando lo spazio in lento volo.

Pei villaggi sperduti ai piani e ai monti,
un pastorale risonar di pive
par che svegli il passato, e che racconti
una leggenda che mai non mutò.

Mentre il viver del gregge e dell'armento
lontan dal gelo che intristì la valle,
non è che un minimo tacito e lento
nel tepor degli ovili e de le stalle,

eco ed ombra di quelli, al grigio albore,
una torma invisibile rivive,
dietro i suoni immutati. Ov'è il Pastore
che raccolse la torma e la guidò?

Dalle assenze d'un anno essa ritorna
per madri e bimbi; ma l'adulto stesso,
vede, ascoltando, mentre fuori aggiorna,
un futuro che un dì gli fu promesso.

Tutte le voci noi sentimmo! Accordi
commisti d'ogni suono e d'ogni canto;
dispiegate fanfare e rombi sordi,
guerra e speranza, amore e libertà;

perseguimmo, rapiti, esili trame
di sapienti melodie febbrili,
nate a tradurre le morenti brame,
i sogni incerti e i sospirati aprili;

ma quando accade riudir la casta
nenia che scorta il gregge umile e santo,
ci parla un'infantile arte che basta,
che basta ad ogni cuore, ad ogni età.

È sogno? È fede? — O pellegrin che sosti,
deponi l'ansia del quesito eterno;
donati ai lunghi scampanii nascosti
e pur presenti al tuo penoso inverno.

Senza questo ondular di melodia
che dà un'anima informe anche alla bruma,
che ti arresta sognante in sulla via,
nato d'un giorno, che saresti tu?

Senza l'inganno che rinfrange i sensi
in cento care inanità lontane,
e riverbera l'ora in cui tu pensi
nei vaghi sfondi delle sue morgane,

tu che saresti ?... Un vasto inno è nei cieli,
e la terra nel vuoto etere sfuma;
per me che sosto sulle vie fedeli
l'avvenir si riflette in ciò che fu!

(Da "Alle sorgenti", 1906)




L'ALBERGO
di Tito Marrone (1882-1967)

Naufrago nella notte di Natale
in una scialba camera d'albergo
dinanzi alla candela
che guizza e fuma...
E, mentre si consuma
l’anima ad ascoltare il tristo vento
che schernisce sul tetto
la magra pioggia,
di là l’ostessa con la voce chioccia
litiga in suo gergo maledetto.

Pace, ostessa! A quest’ora, nelle chiese 
del mio paese, 
s’inazzurra la messa di Natale, 
brulicano i lumini dei presepi. 
I Re Magi viaggiano 
lungo le siepi, 
dietro la stella di fili d’argento, 
verso la capannuccia di Gesù: 
brontola il vento e la neve vien giù. 
Or dove mai sarà 
quel piccolo pastore 
che alla sua rammendata cornamusa 
appendeva il mio cuore? 
Dove, la stella di fili d’argento? 
Dove son io fanciullo? 
Il mio presepio è brullo, 
abbandonato, spento. 

(Da "Antologia poetica")




CAMPANA DI NATALE
di Bino Binazzi (1878-1930)

O tu, che ascendi dal nebbioso piano,
onda sonora, all'eremo gelato,
sola ridesti i dormienti affetti
e le memorie.

Natale! Oh sacre teorie di forme
morte o lontane, oh voci armoniose,
che in coro soavissimo tornate
dal mio passato!

Solo coi libri e colle pie memorie
me nel tuo grembo tepido raccogli,
o tu, custode degli affetti umani
melanconia.

(Da "Eptacordo", 1907)




NENIA DI NATALE
di Salvatore Giuliano

O bimbo, dormi e non ti risvegliare:
Strepita il vento per la notte oscura,
strepita il folle vento aquilonare
come il singhiozzo d'una creatura.
O bimbo, dormi e non ti risvegliare.

La notte è d'ombre spaventose piena,
ed io che veglio accanto a la tua culla
son tutta invasa da un'atroce pena:
col mio pensiere un dubbio si trastulla.
La notte è d'ombre spaventose piena.

Su'l marciapiedi al canto de la Via
oggi ho veduto un essere vivente
piangere a lungo sconsolatamente;
oggi ho veduto un uomo in agonia
su'l marciapiedi al canto de la Via.

Di cenci sbrandellati era Vestito:
spento fra le sue labra era il sorriso;
la tramontana gli gelava il viso
e gli frugava il corpo ischeletrito.
Di cenci sbrandellati era vestito.

Forse a quest'ora giace inanimato
sotto l'imperversar de la bufera
e la neve il suo capo ha incoronato
d'una ghirlanda semplice e leggera.
Forse a quest'ora giace inanimato.

E Va l'anima sua lontan lontano,
pe 'l regno luminoso de la Pace,
a cui si Volge il desiderio umano,
indarno sì, ma fervido e tenace.
E Va l'anima sua lontan lontano...

Forse la madre, Vecchia e malaticcia,
con ansia, trasalendo, i passi spia
che s'odono in cadenza ne la via;
e un orrendo timor la raccapriccia.
Povera madre vecchia e malaticcia!

Povera madre sventurata! Io sola
il duolo intendo che avrà lei domani,
già che saranno crudelmente Vani
i forti lagni de la sua parola.
Il suo dolore lo comprendo io sola.

O bimbo, dormi e non ti risvegliare:
Strepita il Vento per la notte oscura,
strepita il folle vento aquilonare
come il singhiozzo d'una creatura.
O bimbo, dormi e non ti risvegliare.

(Da "Le ore mattutine", 1907)




LA SVEGLIA DEL NATALE
di Virgilio La Scola (1869-1927)

Lontano, a distesa,
Da l'ombra profonda,
Irrompe la romba.
E l'alma, sorpresa,
Si desta fanciulla,
Su' lini, incavatisi
In soffice culla.

A festa, pe' cieli
Solenni, la romba
Sospinge la candida
Culla, e la dondola.
Su l'anima pargola,
Un'onda si spande
Di cerula luce,
Di tenera pace,
In pace sì gelida,
In notte sì grande.

Giuliva, a distesa,
Dilegua la romba:
La culla, sospesa,
Si ferma: ...
                  ripiomba,
Pel vano oblioso
De' cieli, ne l'ombra.

(Da "La placida fonte", 1907)




VETRINA DI NATALE
di Aurelio Ugolini (1875-1908)

Dietro la tersa lastra di cristallo
pende all'abete che non sa foresta,
un pulcinella e il trotto d'un cavallo
                      di cartapesta.

Scelgono i bimbi quel presepe enorme,
l'infarinato clown o il bue che mugge:
folta la neve sotto le lente orme
                      sdrucciola e strugge.

Ma non tu scegli: placido nel grande
gelo, nel gran silenzio ti componi
dell'urna, e son funeree ghirlande
                      oggi i tuoi doni.

(Da "Viburna", 1908)




NATALE
di Federico De Maria (1885-1954)

Natale.... oh, perdonatemi, signora:
io non amo il Natal perché le sere
quando viene giù tacita la neve
la cornamusa nelle vie lamenta
una vecchia aria pastorale che
fa subito tacere i pianoforti
vibranti nella notte, come spersi
accenti desolati: non perché
è intesa per la festa più solenne
dei cristiani e a mezzanotte la
bronzea voce delle campane spiega
il sonoro allelluia, annunziando
agli uomini che ancora un'altra volta
è nato il Salvatore: o dolce amica,
religiosa amica, io non comprendo
la poesia di queste cose, quando
non l'adornate di bellezza voi!

No, mia signora, amo il Natal perché
il suono lento della cornamusa
vi chiama curiosa ad osservare
dietro le vetriate, ed io vi posso
contemplare un istante da la strada
dove il freddo mi gela: m'apparite
nei vostri scialli — freddolosa — e vedo
l'ombra vostra sottile disegnarsi
nella finestra illuminata, come
un'incantata visione. L'amo
perché la pioggia ch'à infangato il lastrico
della via vi costringe a sollevare
un po' le gonne ed a mostrare ai miei
occhi indiscreti e innamorati il vostro
piccolo piede: perché la Vigilia
a mezzanotte, quando le campane
radunano i devoti nella chiesa,
posso venirvi accanto tra la folla,
nella navata immensa, costellata
di ceri ardenti, tra quell'onda viva
biascicante nella luce fioca
orazioni al Redentore e posso
— così vicino a voi — inebbriarmi
aspirando il vostr'alito, i profumi
vostri che non ambrosia e non incenso
sono, ma carne, vita e giovinezza.
L'anima mia allor fluttua, come
galleggiando nell'aria velata
di mistici vapori e più non vedo
il celeste bambino che sorride
da l'altare, non vedo la Madonna
umile e pia, non vedo i sacerdoti
nelle candide stole e la marea
palpitante che mormora e ci avvolge...
E parmi allor che quello scampanio
che dindona — oscillante su noi come
un fluido velario sonoro —
inneggi a voi che siete la Bellezza!

(Da "La leggenda della vita", 1909)




IL NATALE DI UN POETA CLASSICO
di Luigi Siciliani (1881-1936)

Parla il poeta:
Sono solo! terribilmente solo!
Come pesa quest'aria
grigia e questo cielo
bieco e livido!
Che movimento per le strade! è festa.
Dice una mamma ben vestita a un bimbo
vestito bene, innanzi a una vetrina:
"Vuoi tutti quei giocattoli ? Domani."
Domani il bimbo non ricorderà.
Potessi anch'io non ricordare più!
La vita mi ha mentito
come la madre mente a quel fanciullo.
Finire così male, così solo,
dopo avere innalzato
templi di marmo candido, sognato
primavere d'amore, orgie di luce!
È una cosa terribile trovarmi
ora smarrito in mezzo ad una via,
peggio di un mendicante.
Questo chiede,
stende la mano,
ottiene qualche cosa;
ed io che chiedo?
"In carità, comprate
quel mio libro: vedrete
che tenni fede ai nostri padri antichi."
Da ridere! che importa a lor dei padri
o delle madri di mill'anni fa,
di tremila?
Bubbole! panzane!

Guarda quante salcicce e quanti polli,
oche, tacchini ed anatre: è la festa
oggi de' salumai.
Esser poeta? Una gran bella cosa
per chi non ha bisogno, o si contenta
della statua e la lapide
quando sarà crepato!
Vedi, l'alloro l'hanno i fruttivendoli
in copia grande sulle porte e anche
i salumai, per coronar prosciutti.
Fatti porco, ch'è meglio.
Se non a fogli, ti divoreranno,
sicuramente, a fette.

(Da "Poesie per ridere", 1909)




NATALE ANTICO
di Térésah (Corinna Teresa Ubertis, 1877-1964)

Odore di Natale e di bruciate!
Sotto la cappa del camino c'era
quasi una primavera d'agrifogli;
il vischio, il mirto; e c'erano i germogli
della speranza che nome non ha...

Nome non ha, ma spunta, ecco, e s'abbarbica
ai rami della quercia che divampa;
e la fiamma s'allunga e striscia e stampa
orme di luce entro la cappa nera;
fa bel cammino verso la brughiera,
fiorisce spino, luppolo, giaggiolo,
nome non ha, ma canto d'usignolo,
volo di storno, amor di capinera...
è tutta d' oro, va verso l'estate...
Odore di Natale e di bruciate!
S' era a veglia lassù, sotto le rame
che avean per bacche gocciole d'inverno;
zia novellava di cielo e d'inferno
e non udiva l'uggiolìo del cane.
— C'è qualcuno nell'aia... hanno picchiato
ai vetri... no... — Veniva dal passato,
dall'avvenire, il muto viandante?
Ognuno gli chiedeva il suo sembiante.

Noi bimbe si pensava: Oh sarà bello!
avrà la neve a fiocchi sul mantello...
ma sotto l'agrifoglio bacerà
la più bella di noi, che non lo sa.

(Da "Il libro di Titania", 1909)