Scampoli di letteratura dell'Ottocento e del Novecento, poeti dimenticati, vecchie antologie e altro ancora.
lunedì 30 gennaio 2012
Il rimpianto dell'infanzia nei poeti ermetici meridionali
VENTO A TINDARI
di Salvatore Quasimodo
Tindari, mite ti so
fra larghi colli pensile sull'acque
dell'isole dolci del dio,
oggi m'assali
e ti chini in cuore.
Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m'accompagna
s'allontana nell'aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d'ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d'anima.
A te ignota è la terra
ove ogni giorno affondo
e segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro è l'esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d'armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo nel buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m'ha cercato.
(Da "Ed è subito sera")
INFANZIA
di Alfonso Gatto
Il bambino, sorpreso alla finestra
della sera tranquilla, odorava
la leggerezza tepida dei fiori
sollevati nell'aria celeste.
Inquietamente raccoglieva il volto
in un silenzio scolorito
e calmo la sua vergogna ridonava
all'impalpabile sera
assiepata dall'erbe e dai tetti.
Sognava: nella piazzetta antica
la chiesa era un piccolo chiosco
con la bandierina allegra:
alla cupola di maiolica
s'illuminavano gli scarabei
sulle lastre d'acqua verdina.
Il silenzio dell'umido erboso
acquetava le scale,
i balconcini coi tralci, le stive
dei fondaci colmi di frutta.
Così s'accendeva il fanale,
a poco a poco aggregato dall'acque,
sulla laguna invernale.
Affondavano le case
in lontananze distrutte,
sgretolate senza rumore:
trasaliva il bambino invecchiato
intirizzito all'ombrello.
Andava a trovare i suoi morti
rinchiusi in armadi sconnessi:
traboccava allegra pioggia
sul piccolo porto di legno,
ed una gioia strana
lo flagellava col vento
in un presagio del mare.
(Da "Poesie")
QUESTA PIOGGIA
di Libero De Libero
Questa pioggia di città
(saluto all'inverno con acqua
gentile come un sognato canto
nella stanza della sera)
mi riporta a una collina
amata per un viaggio di cavalli,
al paese in collina
abbrancato nei castagni,
al tempo e all'odore
dei giorni contadini,
a mia madre rimasta
nei figli e nel pane
e nell'amore di mio padre
e per lui morta,
a tutta la mia gente antica
mandriana di palude.
Questa pioggia di città
(dell'inverno fredde radici
e stanche palpebre d'acqua
e timida sera della stanza)
mi riporta alla casa con sedie
tante e della morte sola novità,
al collegio con tanti occhi
e nel segreto meglio si giocava,
a tutta l'infanzia dal corpo
assediata e dalle stagioni.
È questa l'acqua attinta
ai pozzi di Monte Calciano,
acqua venuta dal mare
e il mare molesta il sonno
al fanciullo che il gatto pianse
lapidato nel bosco coi compagni.
(Da "Scempio e lusinga")
LA LUCE ERA GRIDATA A PERDIFIATO
di Leonardo Sinisgalli
La luce era gridata a perdifiato
Le sere che il sole basso
Arrossava il petto delle rondini rase.
Ora e sempre più viva
Sarà la smania di far notte in me solo
E cercar scampo e riposo
Nella mia storia più remota.
Ogni sera mi vado incontro a ritroso.
(Da "Vidi le Muse")
Tabernacoli d'oro alza la sera
per celebrare i mistici sponsali
fra la terra che freme primavera
e il cielo che n'ha già brividi d'ali.
La melodia dell'erba è sì leggera
che insieme a lei sembra ogni zolla esali
su nella luce; e il cielo, alla preghiera,
si sciolga in caldi baci nuziali.
L'anima che in quel fremito è rapita,
obliando i suoi poveri tormenti,
risorge a quella luce: a quella vita
cosmica, in armonia con gli elementi,
quando al coro degli angeli era unita,
sposa di tutti gli esseri viventi.
Questa lirica appartiene alla seconda fase poetica di Arturo Onofri (1885-1928), poeta romano che nelle sue prime raccolte ("Liriche", 1907; "Poemi tragici", 1908; "Canti delle oasi", 1909) fu attratto e influenzato dalle tematiche del decadentismo e del crepuscolarismo, staccandonese col tempo per approdare ad una poesia del tutto nuova (non solo in Italia) che nasce da una profonda tensione esistenziale e sfocia in una ricerca della purezza intesa dal poeta come rinascita, rigenerazione universale rappresentata dalla natura in un contino evolversi e in una perenne sintesi con l'elemento divino. Molto influirono sulle ultime opere onofriane le teorie religiose e antroposofiche di Rudolf Steiner (1861-1925) filosofo austriaco che a sua volta si rifaceva alla teosofia (varie dottrine mistico-filosofiche collegate tra di loro) ed al pensiero indiano. La poesia è tratta da "Vincere il Drago!" (1928), si tratta di un sonetto che rientra pienamente nella fase più filosofica e mistica di Onofri; l'arrivo della sera sembra annunciare un rito iniziatico in cui si celebrano la Terra ed il Cielo intesi come divinità vere e proprie; nella Terra prevale l'elemento musicale e spirituale mentre il Cielo rappresenta quello di un amore caldo e sensuale. Nelle due terzine diviene protagonista l'anima umana che, assistendo allo spettacolo si libera dei problemi e dei tormenti terreni per obliarsi ed estasiarsi nella luce e nella vita cosmica, in un mondo ultraterreno in cui ha già vissuto e in cui è destinata a ritornare.
sabato 28 gennaio 2012
Da "Vivere ancora" di Ruth Klüger
Si fece umido, poi molto freddo. Era l'inverno '44-45, che nessuno che fosse ancora in Europa dimenticherà mai. La mattina ci svegliavano con una sirena o un fischietto, e nel buio stavamo in piedi per l'appello. Stare in piedi, stare semplicemente in piedi mi ripugna ancor oggi a tal punto, che a volte esco da una coda e me ne vado quando tocca quasi a me, solo perché non voglio restare in fila un istante di più.
Ruth Klüger nacque a Vienna nel 1931, ed è morta a Irvine, in California, nel 2020. Vivere ancora, che uscì per la prima volta nel 1992, è il primo, struggente romanzo della scrittrice viennese, in cui racconta la sua drammatica vicenda umana, ai tempi in cui fu deportata insieme alla madre, nel 1942, dapprima a Theresienstadt e poi ad Auschwitz; entrambe sopravvissero all’Olocausto e, finita la guerra, si trasferirono negli Stati Uniti, dove Ruth professò l’insegnamento.
Il toccante frammento che ho riportato sopra, proviene dall’edizione italiana di Vivere ancora, pubblicata da Einaudi, in Torino nel 1992 (il frammento si trova nella riedizione del 1995, a pagina 145).
venerdì 27 gennaio 2012
Da "Se questo è un uomo" di Primo Levi
Da "Diario" di Anne Frank
Ecco che cos'è difficile in quest'epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele. E' molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora all'intima bontà dell'uomo.
Mi è proprio impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria e della confusione. Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto tornerà a volgersi al bene, che anche questa durezza spietata finirà, e che nel mondo torneranno tranquillità e pace. Nel frattempo devo conservare alti i miei ideali, che forse nei tempi a venire si potranno ancora realizzare!
Questo frammento è tratto dal celebre Diario di Anne Frank (Francoforte sul Meno 1929 – Bergen-Belsen 1945), ovvero dall’unica, straordinaria e altamente commovente opera letteraria di un’adolescente che, insieme alla sua famiglia, nell’agosto del 1944 fu deportata ad Auschwitz e poi, qualche mese dopo, a Bergen-Belsen, dove morì.
In queste pochi pensieri è facile comprendere l’eccezionale maturità di Anne, che, pur essendo consapevole di trovarsi in un tempo ed in una situazione personale dai risvolti estremamente drammatici, riesce a trovare dei motivi per sperare, per pensare che il suo, come quello dei suoi familiari e dei suoi conoscenti (trovatisi uniti ad Amsterdam, in un luogo nascosto, in attesa della fine della guerra), sia soltanto un periodo negativo, destinato presto a concludersi. Non ci sono parole per descrivere l’ottimismo ad oltranza di questa ragazzina che, ahimè, di lì a pochi mesi avrebbe trovato la morte in un campo di concentramento tedesco.
giovedì 26 gennaio 2012
Presagio
Non so per qual prodigio di natura,
io che tra voi, fraternamente, crebbi,
Alcuni desideri
le notti col canto dei grilli!
Vorrei pure scrivere, senza
fatica, dei versi: ma sparsi
a spizzico, da giudicarsi
con una bonaria indulgenza:
dei versi bizzarri, rimati
secondo la mia prosodía,
con molta malinconía
e quasi niente grammatica:
e il lusso da milionario
vorrei per un mese, d'avere
a nolo per cameriere
un dottore universitario
per mettere in bella copia
le mie bislacche parole
e dirmi dove ci vuole
la lettera semplice o doppia.
O gioia di essere solo!
non l'ombra d'un conosciuto
vicino, toltone il muto
dottore che avrei preso a nolo.
Non ascolterei che la sola
Natura, l'unica amica;
non compirei piú la fatica
di dire una mezza parola.
Avrei con me qualche rado
libro, assai fuori di mano;
andrei per i campi pian piano
senza saper dove vado;
nella mia testa i pensieri
andrebbero com'io li lascio
andare, tutti a rifascio,
i piú pazzi con i piú seri:
e a sera, sull'imbrunire,
un letto fresco e profondo
mi smemorerebbe del mondo
con la voluttà di dormire.
Se un semplice regime uguale
bastasse a guarirmi dal tedio!
Ma in simile caso il rimedio
sarebbe peggiore del male.
Non guarirei, ne son certo,
da tutte queste torture
imaginarie, neppure