Scampoli di letteratura dell'Ottocento e del Novecento, poeti dimenticati, vecchie antologie e altro ancora.
domenica 12 agosto 2012
Le campane nella poesia italiana decadente e simbolista
Poesie sull'argomento
Alfredo Baccelli: "La campana invisibile" in "Poesie" (1929).
Sandro Baganzani: "Campane di sera" in "Senzanome" (1924).
Ugo Betti: "Le campane" in "Il Re pensieroso" (1922).
Ettore Botteghi: "Mattutino" in "Poesie" (1902).
Paolo Buzzi: "Le campane" in "Aeroplani" (1909).
Giovanni Camerana: "È la festa doman della Madonna" in "Poesie" (1968).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Campana a sera" in "Le consolatrici" (1905).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Oscura una campana" in "I canti di Pan" (1920).
Sergio Corazzini: "Campana" in «Marforio», febbraio 1903.
Sergio Corazzini: "La campana" in "Marforio", giugno 1903.
Guglielmo Felice Damiani: "Campane" in "Lira spezzata" (1912).
Federico De Maria: "Campane" (I e II) in "Voci" (1903).
Ugo Ghiron: "Campana a stormo" in "Poesie (1908-1930)" (1932).
Luisa Giaconi: "Suoni di campane" in "Tebaide" (1912).
Alessandro Giribaldi: "Rintocchi" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni: "O campane argentine" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni "Le campane" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "La campana" in "Medusa" (1890).
Arturo Graf: "Ultima campana" in "Le Danaidi" (1897).
Tito Marrone: "Le campane" in "Liriche" (1904).
Pietro Mastri: "Ai piedi del campanile di Giotto" in "La fronda oscillante" (1923).
Nino Oxilia: "Un tocco di campana" in "Canti brevi" (1909).
Giovanni Pascoli: "Alba festiva" in "Myricae" (1900).
Francesco Pastonchi: "Ave Maria" in "Sul limite dell'ombra" (1905).
Giulio Salvadori: "Vespere jam facto" in «Domenica letteraria», febbraio 1884.
Fausto Salvatori: "Santa Francesca Romana" in "La Terra promessa" (1907).
Alessandro Varaldo: "Non più ricordi. Tutta la riviera" in "Marine liguri" (1898).
Mario Venditti, "Dies festus" in "Il terzetto" (1911).
Mario Venditti, "La campana che ammonisce" in "Il cuore al trapezio" (1921).
Testi
AVE MARIA
di Francesco Pastonchi
Le squille dell'Ave Maria
Ondeggiano in grembo alla sera.
Sia pace a colui che desia,
Sia pace a colui che dispera!
È l'ora in cui giunge il pensiero
A plaghe nel sogno intraviste:
S'umilia dinnanzi al mistero
La gloria di mille conquiste.
È l'ora che il vinto si adagia,
Si affonda in un torpido stagno
E invoca la Morte randagia
Che venga a troncare il suo lagno.
È l'ora in cui torna in cammino
Il povero che s'è sfamato,
Guardando il fulgor vespertino
Dall'orlo di un roco fossato.
Le squille dell'Ave Maria
Si spengono in grembo alla sera...
Sia pace a colui che s'avvia
Incontro alla notte sua, nera.
(Da "Sul limite dell'ombra")
LA CAMPANA CHE AMMONISCE
di Mario Venditti
Suona la seconda volta
e suonerà poi la terza
questa campana che sferza
l'anima di chi la ascolta.
Se l'eco tale non fosse,
parrebbe un giorno d'aprile:
ha un che di primaverile
la vitalba a foglie rosse;
e il sole ha troppi diademi
perché dian perle i nostri occhi;
e innanzi ai nostri ginocchi
sembran rose i crisantemi.
Ma forse tale è la squilla
proprio per questo: diversa
sarebbe ad aria non tersa
e a vitalba non vermiglia.
(Da "Il cuore al trapezio")
mercoledì 8 agosto 2012
Poeti dimenticati: Alessandro Benedetti
Presenze in antologie
"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 579-584).
Testi
IL PARCO
Amica dolce, è così triste il parco
or che l'Autunno pianse tutti i pianti,
e un po' di mare sotto i tuoi stellanti
occhi fiorì languidamente in arco.
Amica piangi: sovra il noto varco
i nostri sogni che ben sai cotanti
ingroppano le nubi galoppanti,
e nostro andare è d'ogni pena carco.
Vedi: gli alberi tendono le braccia,
contorte sì come groppo di bisce,
e via pe' cieli giostran le chimere
folli, avide del vento alla minaccia,
sorridendo agli ontani che intristisce,
un tenero desìo di Primavere.
(Dal "Giornale d'Arte", 18 giugno 1904)
martedì 7 agosto 2012
Da "Feria d'agosto" di Cesare Pavese
Nessun bambino ha coscienza di vivere in un mondo mitico. Ciò s’accompagna all’altro noto fatto che nessun bambino sa nulla del «paradiso infantile» a cui a suo tempo l’uomo s’accorgerà d’esser vissuto. La ragione è che negli anni mitici il bambino ha assai di meglio da fare che dare un nome al suo stato. Gli tocca vivere questo stato e conoscere il mondo. Ora, da bambini il mondo si impara a conoscerlo non - come parrebbe - con immediato e originario contatto alle cose, ma attraverso i segni di queste: parole, vignette, racconti. Se si risale un qualunque momento di commozione estatica davanti a qualcosa del mondo, si trova che ci commoviamo perché ci siamo già commossi; e ci siamo già commossi perché un giorno qualcosa ci apparve trasfigurato, staccato dal resto, per una parola, una favola, una fantasia che vi si riferiva e lo conteneva. Al bambino questo segno si fa simbolo, perché naturalmente a quel tempo la fantasia gli giunge come realtà, come conoscenza oggettiva e non come invenzione.
Bellissimo frammento che ho tratto dal volume Feria d’agosto di Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo 1908 – Torno 1950), in cui lo scrittore piemontese descrive, in modo ineccepibile, i sentimenti, i pensieri, le emozioni e le fantasie dell’età infantile; è un modo del tutto personale d’intendere e d’interpretare questo meraviglioso periodo della vita degli esseri umani, in cui mi è riuscito facile essere d’accordo, ripensando io stesso a quella che considero di gran lunga la parte più bella della vita: la fanciullezza. Ma Feria d’agosto non si concentra soltanto su questo argomento, che viene trattato nel capitolo Del mito, del simbolo ed altro: in questo memorabile libro, pubblicato per la prima volta nel 1946, si possono leggere racconti e prose di altro genere, altrettanto interessanti; è, insomma, una delle opere in prosa più significative di Pavese: uno dei nostri miglior scrittori del Novecento.
domenica 29 luglio 2012
Il caldo nella poesia italiana decadente e simbolista
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Sogno di un pomeriggio di estate" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Fausto M. Bongioanni: "Al Sangone" in "Venti poesie" (1924).
Giovanni Camerana: "Canicola" in "Poesie" (1968).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Calmeria di scirocco" in "Le consolatrici" (1905).
Federico De Maria: "Camino" in "La Ritornata" (1932).
Augusto Ferrero: "Meriggio di luglio" in "Nostalgie d'amore" (1893).
Corrado Govoni: "Afa" in "Poesie elettriche" (1911).
Giuseppe Lipparini: "Hesperos" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "La Stufa" in "Le Gemme e gli Spettri" (1901).
Nino Oxilia: "Batte sull'aia brillando il fulgido" e "Posa il meriggio..." in "Canti brevi" (1909).
Nino Oxilia: "Il canto dell'ira" in "Gli orti" (1918).
Guido Ruberti: "Nubila" in "Le fiaccole" (1905).
Camillo Sbarbaro: "Afa di luglio il canto che non varia" in "Resine" (1911).
Domenico Tumiati: "Calore precoce" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini: "Agosto, la vertigine solare" in "La rinunzia" (1907).
Testi
CALORE PRECOCE
di Domenico Tumiati
. . . . . . . . . . . . .
L'olezzo violento
dei tuberosi viene,
e percuote le vene
lungo serpeggiamento:
quale ricordo spento
d'un'estate lontana;
d'afa meridiana
torpido spossamento,
quale corsa sfrenata
senza sapere dove,
mentre il sudore piove
da la guancia infocata.
(Da "Musica antica per chitarra")
venerdì 27 luglio 2012
A proposito di alcuni poeti dimenticati
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Guelfo Civinini |
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Cosimo Giorgieri Contri |
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Luisa Giaconi |
giovedì 26 luglio 2012
"Dal vivere" di Gaetano Arcangeli
mercoledì 25 luglio 2012
[La terra sogna l'ultime farfalle]
prima di risvegliarsi autunnalmente
dai veli del suo sonno trasparente
ammassati nel cavo della valle.
Volano, insieme con le foglie gialle,
sui prati, ove l'erbette macilente
s'estènuano in un soffio ond'ella sente
crescere, in ombra, funghi, muschi e galle.
Battono l'ali pavide, al riparo
delle fratte, palpandovi di fuga
fiori non più, ma qualche sterpo amaro.
Umida luce ombreggia di viola
la terra in dormiveglia, che si ruga
già del risveglio che nell'aria vola.
Una poesia di Arturo Onofri (1885-1928), tratta dall'ultima raccolta pubblicata dal poeta romano prima di morire: "Vincere il drago!" (1928). I versi si addicono molto al periodo dell'anno quando l'estate offre le sue ultime giornate miti; la terra è qui considerata come un organismo vivente che si addormenta e sogna le "ultime farfalle" per poi risvegliarsi quando è ormai autunno. Bellissima l'immagine dei lepidotteri che volano insieme alle foglie gialle staccatesi dagli alberi, magari per un colpo di vento, e che scendono sui prati dove compaiono, insieme alle erbette già secche per la lunga siccità estiva, i primi segni autunnali rappresentati da funghi (galle) e da piante (muschi).