Nacque a Livorno nel
1873 e morì a Roma nel 1954. Il suo nome è maggiormente ricordato per gli
ottimi servizi giornalistici da lui firmati sul Corriere della Sera: quotidiano
nel quale Civinini lavorò per circa venti anni, inizialmente come inviato e
quindi come collaboratore esterno; a tal proposito, famosi, rimangono ancora
oggi i suoi reportage di guerra. Fu anche librettista (suo è il testo della celebre
opera lirica di Puccini: La fanciulla del
West) e poeta. I migliori versi di Civinini sono raccolti in due
volumi che pubblicò tra il 1900 ed il 1911: qui si può constatare la sua
predilezione per alcuni autori francesi e italiani tardo-romantici (evidenti le
somiglianze con diversi testi di Maeterlinck e di Giorgieri Contri). In seguito,
pur mantenendo quei connotati, mostrò simpatia per la poesia crepuscolare, di
cui può definirsi un epigono.
Opere poetiche
"L'Urna",
Dante Alighieri, Roma 1900.
"La ninna-nanna
del piccolo Alessio", Dante Alighieri, Roma 1904.
"I sentieri e le
nuvole", Treves, Milano 1911.
"Cantilene",
Mondadori, Roma 1920 (1954²).
Presenze in antologie
"Poeti d'oggi
(1900-1920)", a cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, Vallecchi,
Firenze 1920 (pp. 118-121).
"Le più belle
pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba,
Lanciano 1928 (vol. II, pp. 142-150).
"Antologia della
lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo
Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 234-235).
"L'antologia dei
poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e
Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 227-230).
"I crepuscolari:
saggio e composizioni", a cura di Nino Tripodi, Edizioni del Borghese,
Milano 1966 (pp. 259-271).
"Poeti
simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni
Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. I: pp. 52-62; vol. II: pp.
56-59).
"Poeti italiani
del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Pasquale Tuscano, La Scuola,
Brescia 1974 (pp. 259-265).
"Dal simbolismo
al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp.
363-371).
"Gozzano e i
crepuscolari", a cura di Cecilia Ghelli, Garzanti, Milano 1983 (pp.
159-185).
"Otto secoli di
poesia italiana", a cura di Giacinto Spagnoletti, Newton Compton, Roma
1993 (pp. 607-608).
Testi
UNA VILLA
Io conosco una villa
abbandonata
fuor delle mura, a
capo d'un viale
di cipressetti
polverosi, eguale
sempre nella sua
grazia desolata.
Dai ferri della
vecchia cancellata,
fra i rami del bel
parco baronale,
si scorge un
palazzetto. Un ogivale
finestra da gran
tempo è spalancata.
Da gran tempo è così.
chi sa? La mano
che la dischiuse or
forse sarà immota.
Stillan gli alberi
lacrime gelate
sopra le violette che
son nate
a' lor piedi,
dolcezza buona e ignota:
ed ha quel pianto un
alto senso umano.
(da
"L'Urna")
TRISTEZZA D'UNA SERA
D'OTTOBRE
Son rientrato or ora.
Per la via
di casa s'accendevano
i fanali
tremuli fuochi di
malinconia.
Ha piovuto per tutta
la giornata.
Son già le prime
acque autunnali.
Poi l'aria a vespro
s'è rasserenata.
Ma in questa
trasparenza d'ametiste
il cielo è come
un'anima ch'è stanca
di piangere, ed
ancora è tanto triste.
Nessun passava, per
la via remota:
incombeva una gran
nuvola bianca
sovra le case,
tragica ed immota,
un pianger di campane
era nell'aria,
dai platani cadean le
prime foglie;
tremava qualche
stella solitaria;
ed un accoramento
indefinito
era in quell'ora
satura di doglie
che mi tenea come un
fanciul smarrito:
un fiorir vago di
memorie spente,
di rimpianto per ogni
ben perduto
cui passai forse
accanto indifferente:
volti di donne
intravedute appena,
anime apparse in
gesto di saluto
per qualche
solitudine serena,
fantasmi erranti che
più non ravviso
chiusi nei veli della
lontananza,
ombre di pianto, luci
di sorriso
rievocanti all'anima
in tremore
un fulgor biondo,
un'aria di romanza,
un mattin d'oro, una
veranda in fiore.
Dogliosa nostalgia,
la più dogliosa:
quella di ciò che
trascurammo, e ov'era
forse la nostra dolce
sorte ascosa.
Forse... Triste
parola, triste quale
fra le rame dei
platani stasera
questo languor di
cielo autunnale:
triste e pur buona,
che pur s'addolora
ne illude ancor di
qualche tenerezza
di cui viviamo, in
cui crediamo ancora,
di cui può ancora
l'anima sognare,
l'anima ch'ebbe a
tedio ogni certezza
e il sogno solo può
ancor consolare.
Ma questa sera, oh,
nulla la consola:
così triste è la casa
all'imbrunire
quando si è soli, e
pur l'anima è sola.
Le cose amate, le
cose più care
son come morte e più
nulla san dire
in questa scialba
angoscia che traspare
di tra i ricami delle
tende bianche
nell'agonia
dell'ultimo chiarore
fra voci di campane
umili e stanche.
Tristezze d'un
crepuscolo! Nell'ombra
una pendola batte: un
vecchio cuore
triste, che una
mortal stanchezza ingombra.
«Addio» mormora
l'anima dolente.
Perché, non sa. Vede
svolare a frotte
fra rade stelle
fantasime lente
nubi di sogni,
vanienti forme
perdute incontro
all'imminente notte
verso il mistero
immobile ed enorme,
e un bisogno d'addii,
forse di pianto,
la stringe.
Qualcheduno è per partire?
Non sa. Forse è
partito già, da tanto,
da tanto tempo.
«Addio» mormora ancora
e piange stanca, e
sentesi morire.
Di che, non sa.
Malinconia l'accora.
(da "I sentieri
e le nuvole")