domenica 25 maggio 2025

Antologie: "Poesia delle Marche. Il Novecento"

 Certamente si potrebbe discutere sul senso o sul valore che possono avere le antologie poetiche dedicate ad una sola regione italiana; è pur vero che ne esistono moltissime, e riguardano quasi tutte le regioni della nostra nazione. In questo preciso post voglio brevemente parlare del volume intitolato La Poesia delle Marche. Il Novecento, pubblicato dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata e dalla Società editrice Il lavoro editoriale nel 1998. Il curatore di quest'antologia è Guido Garufi. Già nel risvolto della copertina, viene citata un'altra opera antologica simile a questa, uscita quasi trentacinque anni prima, e intitolata Poeti delle Marche del '900; tale opera, curata da Carlo Antongini, evidentemente ha avuto un ruolo significativo per Garufi, che praticamente ha apportato degli aggiornamenti necessari - visto che nel frattempo si era quasi concluso il secolo preso in esame - riguardante sia i saggi dedicati ai poeti presenti, sia delle aggiunte di nomi importanti, affinché sia possibile avere una panoramica completa dei cento anni di poesia cui si riferisce il titolo. È però lampante, per chi cominci a sfogliare la parte prettamente antologica, che vi siano delle assenze, riferite in particolar modo ai poeti nati prima del 1892. Per il resto si può affermare che questo libro si presenti assai bene, sia per il formato che per la grafica, che infine per i contenuti. L'opera si divide in tre parti. Nella prima, si trova l'introduzione del curatore, seguita dalla presentazione dei poeti selezionati (sono in tutto ventiquattro, compresi i dialettali), dai testi e da una biobibliografia degli stessi. Nella seconda parte si prendono in considerazione nuove generazioni e ulteriori scuole poetiche; si inizia con La scuola di Urbino, che include solamente cinque poeti; si prosegue con Una nuova generazione, comprendente sette poeti; si conclude con L'attività letteraria, in cui vengono brevemente commentate le opere poetiche di autori più o meno giovani e comunque meno importanti rispetto agli altri. Segue una parte esclusivamente saggistica (intitolata per l'appunto Saggi), con diversi articoli inerenti la poesia e i poeti delle Marche nel XX secolo. Si passa poi ad una parte per metà dedicata alle illustrazioni e per metà saggistica, intitolata Repertorio iconografico delle riviste e materiali critici. Chiude il volume una bibliografia divisa in due settori: il primo si occupa delle opere antologiche e non, che fanno riferimento alla poesia italiana del Novecento, ma che comunque hanno un'attinenza anche con l'attività poetica nelle Marche; la seconda è invece incentrata sul Novecento marchigiano.

Ecco, infine, i nomi dei poeti antologizzati in Poesia delle Marche. Il Novecento





POESIA DELLE MARCHE. IL NOVECENTO


PRIMA PARTE

Ugo Betti, Luigi Batolini, Arcuto Vitali, Scipione, Plinio Acquabona, Franco Matacotta, Neuro Bonifazi, Alvaro Valentini, Paolo Volponi, Anna Malfaiera, Luigi Di Ruscio, Franco Scataglini, Gabriele Ghiandoni, Massimo Ferreti, Ercole Bellucci, Leonardo Mancino, Umberto Piersanti, Luigi Martellini, Eugenio De Signoribus, Guido Garufi, Marco Ferri, Francesco Scarabicchi, Gianni D'Elia, Remo Pagnanelli.


SECONDA PARTE

Amato Cini, Egidio Mengacci, Adriano Gattucci, Zeno Fortini, Maria Lenti, Tiziana Alberti, Maria Angela Bedini, Luca Cesari, Filippo Davoli, Feliciano Paoli, Roberto Piangatelli, Antonio Santori.

domenica 18 maggio 2025

Poeti dimenticati: Francesco Carchedi

 Nacque a Filadelfia, in provincia di Catanzaro, nel 1909; morì a Roma nel 1987. Pubblicò i suoi versi su alcune riviste - tra le quali Maestrale, La Fiera Letteraria e Dialoghi - e in poche raccolte poetiche che comunque coprono un arco temporale piuttosto lungo (più di quarant'anni). Le poche notizie bibliografiche rintracciabili dicono che, dopo la laurea in Lettere, iniziò ben presto a insegnare presso vari licei della capitale. Le sue liriche, decisamente lontane dall'ermetismo, mostrano evidenti simpatie per diversi prestigiosi poeti del primo Novecento, come Ungaretti, Quasimodo, De Libero, Bertolucci e Caproni. Si nota, in molte delle poesie di Carchedi, una tendenza alla meditazione, un tangibile rimpianto per il periodo dell'infanzia e dell'adolescenza trascorso nei luoghi d'origine così come una ricorrenza dei temi religiosi. 



Opere poetiche


"Buio e sole", Edizioni Michele Bonelli, Vibo Valentia 1934. 

"Vetera et Nova", Ed. Di Religio, Roma 1940. 

"L'uomo e il mare", Il secondo Novecento, Roma 1955. 

"Sono sotto le stelle", Edizioni di Dialoghi, Roma 1963. 

"Io riconobbi te antico mare", Il secondo Novecento, Roma 1978.





Testi


UDII UNA FONTANA...


Io fui nella notte

rinchiuso in cortice scuro.

Battevo

anelavo all'esterno

come il feto

nell'alvo materno

ed era una pena

stringere i denti

per la liberazione

ed era dolcezza

abbandonarsi all'inconscio

verso il regno del nulla.

Poi venne l'alba

udii la fontana parlare

vidi i rondoni volare

gridando

nel cielo di perla.


(da «Maestrale», Anno II, N. 9, Settembre 1941)





IN DIMIDIO


Mi era lietezza la mestizia, o mare,

ora la vita non ha vita alcuna,

semplice attesa di cose venture.

Ma tu ridammi la tristezza antica

oppur la saggezza, vecchio mare.


1945


(da "L'uomo e il mare", Edizioni "Il secondo novecento", Roma 1954, p. 52)





MA DOVE SONO…


L'immagine mia

di quel tempo

non chiedetela: 

è rimasta

sulla calcina dei muri,

tra le spine delle siepi,

panno dimenticato.

Ma dove sono

i monelli miei coetanei?


1951


(da "Sono sotto le stelle", Edizioni di «Dialoghi», Roma 1963, p. 69)


domenica 11 maggio 2025

Regina del giorno

   Invecchia la tua morte

nelle mie notti

ove rotolano sogni

come vuote botti.


  Ma di giorno sempre più giovane

sei e regina, da quando

la tua morte invecchiando

in me ti ha disciolta

in tutte le cose

che amavo una volta.


  Sei le rose

gialle e i cornicioni bruciati a taglio

di luce contro il celeste ottobre,

il barbaglio

del ditale d'oro

nel cesto da lavoro,

sei la mensa serale,

la lagrima e l'allegria,

del morire la dolce profezia.


  Tutte queste cose e altre:

ma sei tu ancora

tu sola

precisa e loquente perché

sono loro

- le cose le rose il ditale d'oro -

che sono diventate 

te.





COMMENTO

Regina del giorno è il titolo di una poesia di Luigi Santucci (Milano 1918 - ivi 1999), che si trova alle pagine 85 e 86 del volume Di te mi scorderò, pubblicato dalla Mondadori di Milano nel 1969. Santucci scrisse poche poesie, e alcune di esse le dedicò al pubblico infantile; quindi si può dire che il volume del '69 sia un'eccezione nella carriera letteraria dello scrittore milanese; peculiarità della raccolta poetica è che le sessantasette liriche ivi presenti siano incentrate su un unico argomento: la recente scomparsa della madre del poeta. In questi versi Santucci esterna tutta la sua disperazione per la gravissima perdita avuta da poco, ed è facile percepirla, perché in quasi tutte le poesie si nota una drammaticità sconvolgente e una dichiarata incapacità di continuare a vivere senza la presenza preziosissima di una mamma straordinaria. I versi che di sopra ho voluto riportare, però, sembrano superare tale senso di tragedia: qui il poeta riesce a trovare conforto alla definitiva assenza della madre pensando che essa, grazie ad una sorta d'incantesimo, si sia tramutata negli oggetti della casa di famiglia, così come nei fiori del giardino di casa; riesce ad intercettare la sua presenza anche in specifici momenti del giorno, come la abituale cena, e pure nei suoi stati d'animo particolarmente intensi - siano essi dominati dalla tristezza o dalla gioia -; la trova viva perfino ricordando certe sue frasi in cui preannunciava la sua morte. A tal proposito, tra le cose che gli ricordano più la madre, Santucci nomina un ditale d'oro (oggetto che spesso usavano le massaie nell'atto del cucire) e delle rose gialle; tutto ciò mi ha fatto ricordare che anche mia madre usava un ditale - pur se non d'oro -, nei momenti in cui si appropinquava a cucire degli strappi in indumenti come i calzini; ed anche lei amava le rose di tutti i colori possibili ed immaginabili (le piantò nel nostro giardino in gran quantità). Non potendo più avere le rose, sono andato a cercare quel vecchio ditale di mia madre, e l'ho trovato proprio in un cesto - come dice il poeta - da lavoro; la fotografia che precede questo mio commento ritrae i due oggetti della mia mamma che sono ancora qui, malgrado la sua assenza perduri da quasi un decennio; e, rifacendomi alla fantasia del poeta, anch'io oggi, giorno in cui si festeggiano tutte le mamme assenti e presenti, voglio pensare che lei viva in questi e in tanti altri oggetti ancora presenti nella "nostra" casa.    


domenica 4 maggio 2025

Gli addii in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 E nella nostra vita prima o poi, seppure malvolentieri, ci tocca dire addio a qualcosa o a qualcuno. Iniziamo col dare addio ai nostri cari giocattoli: l'orsacchiotto che ci faceva sempre tanta compagnia, e rimaneva accanto a noi anche quando dormivamo; i tanti e tanti soldatini, che per noi erano un esercito di piccoli guerrieri pronti a proteggerci, nel malaugurato caso in cui qualche presenza sgradita avesse voluto entrare nella nostra stanza; e i giornalini di fumetti, che leggevamo appassionatamente, e che ci trasportavano in mondi fantastici, dove accadevano le cose più impossibili. Gli anni passano, e purtroppo dobbiamo dire addio ai nostri nonni, che ci hanno voluto tanto bene, ci hanno cresciuto e coccolato (avremmo avuto bisogno di loro per tanto tempo ancora, ma il tempo se li è portati via troppo presto). E poi diciamo addio ai nostri primi amori, che tanto ci hanno emozionato (provavamo sensazioni così forti!), ma i nostri sentimenti mutarono nel giro di pochi anni, e ciò che appariva come un legame saldo, si rivelò tutt'altra cosa. Quindi diciamo addio alle nostre prime case: lì siamo nati e cresciuti; lì abbiamo trascorso tante e tante ore piacevoli; in quelle stanze rimangono indelebili ricordi delle nostre giovani vite, trascorse insieme ai nostri cari. E diciamo tristemente addio anche ai nostri amici animali: cani, gatti, canarini e altri ancora; anch'essi, nel loro piccolo, hanno rappresentato qualcosa di veramente importante per la nostra esistenza, tant'è vero che quando ci hanno lasciato, abbiamo provato un senso di vuoto indicibile. E poi arriva il momento più tremendo: dire addio ai nostri genitori, coloro che ci hanno fatto nascere e che ci hanno amato come nessuno mai; sapevamo che sarebbe arrivato il momento del definitivo distacco da loro, ma non volevamo pensarci, per l'intenso dolore che tale pensiero ci procurava, però il tempo trascorre spietatamente, e non possiamo far altro che prenderne atto: addio mamma, addio papà, non vi dimenticheremo mai…

Infine, arriva il momento di dire addio alla nostra vita; quest'ultimo addio non sempre è possibile prevederlo e meditarci sopra: a volte si parte senza la possibilità di salutare, all'improvviso; allora io ti do già adesso - non so quanto in anticipo - l'ultimo addio, vita mia, e così sia.




GLI ADDII IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO



ADDIO SUL LAGO NEBBIOSO

di Elena Bono (1921-2014)


Addio, amici.

Non sporgetevi troppo

per salutarmi.

Cadono nell'acqua

i fiori

che avete portati per me.

Nulla segue.

Sfugge alla chiusa mano

il calore dell'ultima stretta.

Addio, volti nebbiosi.

Una sponda è perduta

e l'altra non appare,

solo gridanti e vane

ombre

come di uccelli.

Pure

se calmo batte il remo

calmo deve battere il cuore.

Andiamo. Andiamo

dove ci portano

i fiochi gridi

e la lenta corrente

e il remo misterioso.


(da "Poesie. Opera omnia", Le Mani, Recco-Genova 2007, p. 170)





PRO MEMORIA

di Gesualdo Bufalino (1920-1996)


E non vedrò più nessuno,

ho i pugni pieni di peste.

Addio, bivacchi di festa

accesi sotto la luna;


addio, inabili labbra

sorprese un’alba nel vento,

grandi segreti da niente

sepolti dentro la sabbia,


pupille risa disprezzi

scambiati da infame a infame,

giochi di m’ama non m’ama,

miei cuori, mia giovinezza!


Resta di tanta vacanza

solo una pozza di sole

scordata sulle lenzuola

della mia ultima stanza;


e questa rosa che il gelo

del davanzale consuma,

e se ne perde il profumo

verso un inutile cielo.


(da "L'amaro miele", Einaudi, Torino 2021, p. 7)





QUI ERA IL GROVIGLIO

di Dino Buzzati (1906-1972)


Qui era il groviglio delle popolazioni

ciascuno chiudendo in sé le meraviglie

il capolavoro, la cosa indicibile

la gloria le interiora dell'uomo!

E invece in un terribile appartamento condominiale

galera di Dio, con la gabbietta

del canarino al davanzale, dove

le speranze si rattrappiscono

senza neppure dolore, di giorno in giorno,

finché rimane lui, che non sa

che non capisce, che non soffre, che

sprofonda, che solo nell'estremo

attimo, chissà, capirà la sorte, la

dannazione, la condanna (ah il gabardine

di cui era tanto orgoglioso,

la spider, le basette, quella sua

faccia vagamente simile a Friedrich March,

le ombre, le nuvole, gli abissi,

i gorghi giù giù), ah ricordarsi, ah

poter ricordare, addio Golgonda,

addio Milano, addio boschi della vicina brughiera,

addio illusioni del 17 ottobre 1965 la

ti ricordi, all'angolo di viale Papiniano,

era così bello.

E adesso più niente!


(da "Poesie", Neri Pozza, Vicenza 1982, p. 99) 





L’ADDIO

di Sergio Corazzini (1886-1907)


Venne l’ultimo giorno... Con le stelle

si spense ogni speranza, il sole uccise

in me, ogni cosa, ogni delirio, e rise

il cielo azzurro, e le rose sorelle 


nel mio rosario parvero più belle

quel dì... La donna venne, mi sorrise

mi baciò sulla fronte ardente e mise

nelle mie, le sue mani bianche e snelle. 


Era il saluto estremo, allor credetti

di morire e gridai: «Vision fuggente

dimmi, mi hai amato, come io t’amai?!»


Ella un poco annoiata, e a denti stretti 

disse di sì; ma l’eco, che non mente,

lugubremente mi rispose «...mai!»


(da "Poesie", Rizzoli, Milano 1992, p. 246)





ADDIO

di Olinto Dini (1873-1951)


Come tenace stretta di mano gelida un fiero

  diaccio senso di morte mi signoreggia il cuore.


Penso a un mattino sereno e giocondo: m'è lugubre sera;

  penso a una lieta culla: mi si trasforma in bara.


Vedo innumere torme d'umane vite fuggenti;

  l'anima - addio - mi grida; gridan mille echi - addio!


(da "Poesie", Ed. d'Arte Rassegna, Bergamo 1971, p. 110)





ADDIO

di Leo Ferrero (1903-1933)


Ripartirai senza aver visto in questi

occhi inquieti tanta tenerezza

nascosta. Ed io non vidi in te che voglia

di chiamarmi e fuggire; onde so bene

che ti ritroverò fatta nemica,

come dopo ogni assenza. E dentro i grandi

buoni occhi vedrò nascer, col cauto

riso, la tua nuova finzione e un falso

timore; e intanto andrai cercando in mezzo

al tumulto la pace; e se ridendo,

quasi per gioco negherai l'amore

e la dolcezza agli uomini, nessuno

vedrà come sei triste e quanto hai sete

d'essere amata: la tua casa è vuota

di tenerezza, ed io ben so che in questa

allegria c'è del pianto. Io ti saluto

oggi che il sole maturò nei vasti

giardini colmi di rosai, per me

solo. E pien di tristezza è questo addio.


                                                      Firenze, Luglio 1924.


(da "La catena degli anni", Nuove Edizioni Capolago, Lugano 1939, p. 49)





ADDIO, PASSATO, SOGNI, TENEREZZA

di Nino Oxilia (Angelo Oxilia, 1889-1917)


Addio, passato, sogni, tenerezza!

nulla di voi mi resta. In labirinto

me ne vo senza voi. Dal fato spinto

non cerco più la via della saggezza.


Chi cantò in me ora tace, forse estinto

per sempre. Io non ò più la giovinezza.

Non ò più nulla fuorché la certezza

che non avrò mai nulla. Amen. Son vinto.


O mamma, non mi giova aver vissuto,

o mamma, non mi giova aver sofferto

e neppure mi giova ora morire


se pure l'estro mio s'è fatto muto,

se quello che pensai non lo so dire,

se il mio cuore s'è fatto già deserto.


(da "Poesie", Guida, Napoli 1973, p. 93)





L'ULTIMO GIORNO, L'ULTIMO ADDIO

di Lalla Romano (Graziella Romano, 1906-2001)


L'ultimo giorno, l'ultimo addio

non ha dolcezza

né amore


Forse lo stanco volo

dell'ultima ape

può essere altro che un gioco?


Suggere dai crisantemi

e dalle dalie agonizzanti

per chi, se non per i morti

amaro miele?


(da "Poesie", Einaudi, Torino 2004, p. 61)





COM'ERA BELLO CESARETTI

di Mario Tobino (1910-1991)


Com'era bello Cesaretti

che se ne andava giovane e felice

verso il suo destino.

Nella corsa

si voltò un istante,

e splendevano come camosci

le sue calze bianche:

«Addio» disse

«vado a conquistare il mondo».


(da "L'asso di picche. Veleno e Amore secondo", Mondadori, Milano 1974, p. 104)



Jacques-Louis David, "The Farewell of Telemachus and Eucharis"
(da questa pagina web)