La Fiera letteraria è il titolo di una rivista settimanale di lettere, scienze ed arti, che nacque a Milano nel 1925 per iniziativa di Umberto Fracchia. Dal 1929, la sede della rivista fu trasferita a Roma e cambiò anche il titolo in Italia letteraria; dopo sette anni però, cessò le pubblicazioni. Nel 1946, la rivista rinacque col titolo originario, pubblicando per lo più saggi, prose e poesie; nel 1968 cessò di nuovo le pubblicazioni, per riprenderle nel 1971, fino al 1977: anno in cui la Fiera letteraria concluse la sua esistenza. Ritengo che il periodo più significativo della rivista romana - almeno dal versante della poesia italiana - sia identificabile in quello che inizia con l'immediato secondo dopoguerra e termina con l'anno della cosiddetta "contestazione giovanile". In questo ventennio, i comitati che si alternarono alla direzione della Fiera letteraria, ebbero il merito di captare parecchi talenti poetici emergenti, e di dargli ampio spazio sulle pagine della rivista. Concludo trascrivendo tre poesie pubblicate proprio nel periodo sopra indicato.
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Prima pagina della rivista: "La Fiera Letteraria", anno 1, numero 1, 13 dicembre 1925 (da questa pagina web) |
GLI UBRIACHI
di Luca Canali (1925-2014)
Questa sera cantiamo a squarciagola.
Mi ricordo una limpida giornata
che silenziosi andammo lungo il mare:
come altro sangue in tutti noi
gridava il sole nelle nostre vene.
Ma a quest'ora che serba del giorno
una fede violenta e sanguigna
vanno a frotte animali assetati
scoppiano i semi gonfi nella terra.
Ci sentiamo viandanti disperati
con ognuno una strada.
Come un'amara linfa ci separa
è la sorte trovata questa sera
con la feccia nel fondo d'un
bicchiere.
(da «Fiera Letteraria», Anno 1, N. 36, 12 dicembre 1946)
APPARIZIONE
di Fabio Carpi (1925-2018)
Da un inviolato mondo
ella m'apparve, e tenera le braccia
e gli occhi spalancava: io la vedevo
piangere nel tramonto.
Specchio alla sua tristezza
mi furono le tenebre, l'inganno
che una più lunga giornata trattiene.
Ansiosamente udivo
rifrangersi nell'acqua
di un vicino ruscello la tua voce,
e le tue labbra premere il mio cuore
come un dolce fiato di sole.
Poi di nuovo riapparvero sui monti
nuvole gigantesche, si specchiava
la mia pupilla avida di luce
tra le fronde degli alberi, riverso
il capo dondolava come un fiore
che si chiude alla notte.
Accolsi il nulla,
chiusi me stesso al giorno, alla speranza.
(da «Fiera Letteraria», Anno II, n. 28, luglio 1947)
NOTTE E UN NOME
di Francesco Tentori (1924-1995)
per Annamaria
Né la luna né l'orlo del fanale
né la musica ormai ridotta a un'ombra
bastano a consolare queste case
oppresse dalla notte, dove i lumi
accendono un nostalgico scenario
che alterna pena e rottami di gioia.
Tu ed io potremmo ancora impietosirci
per questo dramma di calce e di vetro,
se poi la noia non tagliasse i nodi
abbassando il sipario sulla piazza.
Vedi, un sorriso ci rende crudeli:
siamo vicini e non possiamo piangere,
anche se il mondo intorno a noi è un lamento.
Forse sapremo ritrovare il filo
della fuga da questo labirinto
di parole e di volti, oppure il cielo
precipitando un angelo atterrito
ci illuderà con un falso miracolo.
(da «Fiera Letteraria», Anno V, n. 11, 12 marzo 1950)
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