domenica 13 aprile 2025

Riviste: la "Fiera Letteraria"

 La Fiera letteraria è il titolo di una rivista settimanale di lettere, scienze ed arti, che nacque a Milano nel 1925 per iniziativa di Umberto Fracchia. Dal 1929, la sede della rivista fu trasferita a Roma e cambiò anche il titolo in Italia letteraria; dopo sette anni però, cessò le pubblicazioni. Nel 1946, la rivista rinacque col titolo originario, pubblicando per lo più saggi, prose e poesie; nel 1968 cessò di nuovo le pubblicazioni, per riprenderle nel 1971, fino al 1977: anno in cui la Fiera letteraria concluse la sua esistenza. Ritengo che il periodo più significativo della rivista romana - almeno dal versante della poesia italiana - sia identificabile in quello che inizia con l'immediato secondo dopoguerra e termina con l'anno della cosiddetta "contestazione giovanile". In questo ventennio, i comitati che si alternarono alla direzione della Fiera letteraria, ebbero il merito di captare parecchi talenti poetici emergenti, e di dargli ampio spazio sulle pagine della rivista. Concludo trascrivendo tre poesie pubblicate proprio nel periodo sopra indicato.


Prima pagina della rivista: "La Fiera Letteraria", anno 1, numero 1, 13 dicembre 1925
(da questa pagina web)



GLI UBRIACHI

di Luca Canali (1925-2014)


Questa sera cantiamo a squarciagola.

Mi ricordo una limpida giornata

che silenziosi andammo lungo il mare:

come altro sangue in tutti noi

gridava il sole nelle nostre vene.

Ma a quest'ora che serba del giorno

una fede violenta e sanguigna

vanno a frotte animali assetati

scoppiano i semi gonfi nella terra.

Ci sentiamo viandanti disperati

con ognuno una strada.

Come un'amara linfa ci separa

è la sorte trovata questa sera

con la feccia nel fondo d'un 

                            bicchiere.


(da «Fiera Letteraria», Anno 1, N. 36, 12 dicembre 1946)





APPARIZIONE

di Fabio Carpi (1925-2018)


Da un inviolato mondo

ella m'apparve, e tenera le braccia

e gli occhi spalancava: io la vedevo

piangere nel tramonto.


Specchio alla sua tristezza

mi furono le tenebre, l'inganno

che una più lunga giornata trattiene.

Ansiosamente udivo

rifrangersi nell'acqua

di un vicino ruscello la tua voce,

e le tue labbra premere il mio cuore

come un dolce fiato di sole.


Poi di nuovo riapparvero sui monti

nuvole gigantesche, si specchiava

la mia pupilla avida di luce

tra le fronde degli alberi, riverso

il capo dondolava come un fiore

che si chiude alla notte.

                   Accolsi il nulla,

chiusi me stesso al giorno, alla speranza.


(da «Fiera Letteraria», Anno II, n. 28, luglio 1947)





NOTTE E UN NOME

di Francesco Tentori (1924-1995)


                                                                                per Annamaria

Né la luna né l'orlo del fanale

né la musica ormai ridotta a un'ombra

bastano a consolare queste case

oppresse dalla notte, dove i lumi

accendono un nostalgico scenario

che alterna pena e rottami di gioia.

Tu ed io potremmo ancora impietosirci

per questo dramma di calce e di vetro,

se poi la noia non tagliasse i nodi

abbassando il sipario sulla piazza.

Vedi, un sorriso ci rende crudeli:

siamo vicini e non possiamo piangere,

anche se il mondo intorno a noi è un lamento.

Forse sapremo ritrovare il filo

della fuga da questo labirinto

di parole e di volti, oppure il cielo

precipitando un angelo atterrito

ci illuderà con un falso miracolo.


(da «Fiera Letteraria», Anno V, n. 11, 12 marzo 1950)


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