Dopo la comparsa della bomba atomica, quasi cento anni fa in tanti dissero che negli anni futuri le guerre non ci sarebbero più state, oppure sarebbero state così devastanti da mettere a rischio la vita di qualsiasi essere del pianeta terra. Non stavano così le cose: le guerre hanno continuato a susseguirsi, ed oggi sono più presenti che mai. In più, si può ben affermare che le guerre di oggi somigliano alle guerre di ieri: caratterizzate da fitti bombardamenti che radono al suolo le città, facendo tantissime vittime fra la popolazione, non risparmiando affatto i bambini, le donne, gli anziani e i malati. La ricorrenza del 25 aprile oggi assume un'importanza più accentuata, visti i disastri a cui ci tocca di assistere a causa delle guerre che ci accerchiano sempre di più, e che forse in un futuro non lontano ci coinvolgeranno direttamente; in occasione di una festa fondamentale per la nostra libertà quale è il 25 aprile, quest'anno ho voluto trascrivere due poesie che parlano delle rovine e delle macerie causate dai bombardamenti avvenuti durante la 2° Guerra Mondiale; sono, rispettivamente di Carlo Betocchi e di Donata Doni; furono scritte entrambe nel 1945: anno tragico, almeno se si parla dei suoi inizi: nei primi mesi del '45, in gran parte del nostro paese si verificarono degli eventi terribilmente crudi: coloro che ormai erano ad un passo dalla sconfitta non vollero cedere le armi senza continuare a perpetuare, sovrastati da un odio senza controllo, una serie di azioni bieche, di una spietatezza che non aveva precedenti; nello stesso tempo, quelli che erano diventati i nostri alleati, forse per accelerare i tempi della resa dei nemici, effettuarono bombardamenti a tappeto sulle città italiane, causando vittime su vittime, soprattutto fra la popolazione civile. Da questa sciagurata situazione nascono questi versi.
Betocchi, guardando le rovine delle case dopo i bombardamenti, prova a immaginare un'altra realtà, talmente fantasiosa da poter superare la crudezza della visione: non ci sono più le case e neppure le persone che le abitavano, ma al loro posto si vede il cielo primaverile, e le rondini che volano intorno; ciò basta al poeta per essere ottimista, per immaginarsi un futuro migliore, dove chi ricostruirà ciò che è crollato, e chi tornerà a dimorare nelle nuove abitazioni (imitando i comportamenti di chi proprio lì visse e sognò un mondo migliore), permetterà di riformare quell'ombra spezzata, quella forza vitale che in qualche modo legherà i morti con i vivi, come se i primi tornassero ad esistere.
Diverso è lo stato d'animo della Doni, che desolatamente osserva le macerie delle case distrutte, ricordando le stanze dove scorreva la vita di chi ci abitava, ricca di sentimenti e sensazioni dissimili; le bombe hanno raso al suolo quei luoghi cari, ponendo fine anche al tempo, come un orologio rotto fermo sull'ultima ora prima del fatidico bombardamento, prima che l'odio disintegrasse ogni segno di vita. Buon 25 aprile a tutti.
ROVINE 1945
di Carlo Betocchi (1899-1986)
Non è vero che hanno distrutto
le case, non è vero:
solo è vero in quel muro diruto
l’avanzarsi del cielo
a piene mani, a pieno petto,
dove ignoti sognarono,
o vivendo sognare credettero,
quelli che son spariti…
Ora spetta all’ombra spezzata
il gioco d’altri tempi,
sopra i muri, nell’alba assolata,
imitarne gli incerti…
e nel vuoto alla rondine che passa.
(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1984, p. 152)
L'ULTIMA ORA
di Donata Doni (Santina Maccarone, 1913-1972)
Erano le nostre case,
aperte al respiro dei giorni,
all'onda della vita.
Scandivano, voci alterne,
il ritmo fugace.
L'amore, la lotta, la culla, la bara,
segnavano il lento fluire dei giorni
coi nomi del tempo.
Erano le nostre case.
Le sconvolge, tra le macerie il vento,
le nasconde la pietà della notte,
le devasta la sete dei ricordi.
S'è fermato il cammino del tempo.
Nella voce disumana dell'odio
resta l'ultima ora.
Forlì, 1 aprile 1945
(da "Neve e mare", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma MCMLXXIII, p. 51)
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