domenica 6 agosto 2023

Poeti dimenticati: Giuseppe Rino

 

Pochissime sono le notizie attendibili riguardanti la biografia di questo poeta. Di sicuro si sa che nacque a Messina nel 1886, e che vi morì nel 1963. A sua firma, risultano pubblicati due volumi poetici ed un breve saggio. I versi di Rino, rientrano decisamente nell’area simbolista; è quasi certo che fece parte di un piccolo cenacolo di poeti siciliani, uniti dalla passione per le due correnti letterarie più in voga in Europa all’inizio del Novecento: decadentismo e simbolismo; tra di essi si ricordano Tito Marrone, Federico De Maria, Angelo Toscano, Enrico Cardile (che scrisse la prefazione di un’opera poetica del messinese) e – faro del gruppo – Agostino John Sinadinò. Tra i pochissimi critici letterari che si occuparono della poesia di Rino, c’è Glauco Viazzi, il quale, nell’antologia Dal simbolismo al déco, lo considera navigato esponente della poesia simbolista italiana, con delle connotazioni che lo avvicinano al liberty.

 

 

 

Opere poetiche

 

“I sonetti Flammei”, Greco e Sabella, Messina 1905.

“L'estuario delle Ombre”, Trinchera, Messina 1907.

 

 


 

Presenze in antologie

 

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 1, pp. 155-156; vol. 3, pp. 205-214).

"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (Tomo primo, pp. 179-182).

 

 

 

Testi

 

 TREPIDA E BIANCA - IN UN LANGUOR MORTALE

 

Trepida e bianca - in un languor mortale

abbandonata, il fiore del sorriso

spento e lo sguardo nel mio sguardo fiso -

mi chiede ancora un brivido carnale.

 

Fu l'amplesso così pallido e frale

come traspare dal suo bianco viso?

O, non ancora sazia, Amor deriso

ritiene la sua carne liliale?

 

Io nel mio foco immenso ritrovare

or voglio l'estro che giacea sopito,

voglio la tenue cetra ritentare.

 

Ella già l'occhio vivo ha illanguidito:

vuole ancora d'ebrezza spasimare...

Oh l'eloquenza del suo muto invito!

 

(da “I sonetti Flammei”, Greco e Sabella, Messina 1905, p. V)

 

 

 

 

SPLEEN

 

Sei pallida e dolente, Anima mia.

Piangi? Che vuoi, Sorella? Le tue rose

sfiorirono - nol sai? La triste Via

scorgon le tue pupille lacrimose:

or muta un'Ombra solitaria avanza

nel gran Mistero e ne la lontananza

un'eco di singulti Io sento già.

 

Ascoltami, Sorella. A te ragiono

de la perduta mia speranza frale:

più di ghirlande il sogno non corono

(fresche ghirlande!) e il tenero Ideale

giace caduto. Tra le palme il bianco

viso nascondo e, in suo languore stanco,

chiama lo Spirto un'ultima Beltà.

 

Cerulo più non si distende il mare

sotto la luce d'un ridente cielo,

pure al lontano o vasto balenare

volgo lo sguardo ed a l'Ignoto anelo.

Sorella, Io bevvi con aperta gola

a le fontane velenate e sola

vidi cader la tua verginità.

 

E a Me parlò la voce del Dolore,

e intesi. Era il cader del Giorno. A quando

a quando il cielo un vol rigava. Le ore

tristi così chi intese sospirando

scorrere nunzie di sventura e lente?

Chi rimirò con le pupille spente

vanire il Sogno ne l'Oscurità?

 

Io solo vidi e ne la notte illune

un brivido passar su la mia carne

sentii, tremando. Dolorose, in brune

Ombre, due braccia biancheggiavan scarne

(di quale Morta?) o si tendean con gesto

alto ed orrendo a Me tra quel funesto

negrore pieno di fatalità.

 

Anima, a quali chiarità sublimi

ancora tendi? Squallida la terra

or si distende a te d'inanzi, opimi

non son di rose più i verzieri: serra

in sue catene un rio Destin fatale

l'ultimo Sogno lucido e spirtale

che diede al cor la pia serenità.

 

(da "L'Estuario delle Ombre", Trinchera, Messina 1907, pp. 75-76)

 

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