domenica 7 giugno 2020

La poesia di Arturo Graf





Arturo Graf (Atene 1848 - Torino 1913) attende ancora oggi un riconoscimento più adeguato al suo valore reale di poeta. C'è chi sostiene che sia stato anche un critico egregio, ma, visto che le mie conoscenze si limitano alla sola poesia, posso parlare soltanto dei suoi versi, i quali mi apparvero - già  quando li lessi per la prima volta così come oggi - semplicemente unici. Troppo spesso relegato ad un ruolo marginale all'interno della poesia italiana del XIX secolo, non è facile trovare almeno una sua poesia nelle pagine delle antologie scolastiche; sempre, invece, lo si trova inserito in quelle che riguardano la "Poesia minore dell'Ottocento". In verità il Graf fu un grandissimo poeta, a mio modo di vedere più grande di qualche altro suo contemporaneo, fin troppo esaltato (ieri come oggi) da una critica di parte. Graf fu tra i primi a trasferire in Italia quelle poetiche e quelle correnti nate in Europa nella seconda metà del XIX secolo, che rispondo al nome di decadentismo e simbolismo; certo, lo fece a modo suo, tenendo sempre ben presente la figura del Leopardi; non di meno, si guardò bene dal rinnegare una evidente propensione al romanticismo: corrente artistica nata alla fine del Settecento ma ancora viva e facilmente identificabile nei versi di Graf e di altri poeti della sua generazione; quindi, pur mantenendo delle peculiarità che lo legano al passato, il Graf seppe dare un respiro più fresco alla poesia italiana, da tempo fossilizzata su vecchie cadenze e temi frusti.
Graf poeta è stato spesso tacciato di eccessivo manierismo o di una esagerata ripetitività dei temi trattati (caratteristiche in effetti plausibili ma non determinanti per un giudizio finale equo), però non ci sono dubbi sul fatto che i suoi versi affascinarono generazioni intere, e ancora in parte affascinano il lettore di autentica poesia. Tant'è che il ruolo di "poeta minore", che gli è stato sbrigativamente affibbiato dai critici, certamente gli va stretto, anche perché - e su questo non si discute - la sua opera in versi influenzò in modo netto molti poeti della prima generazione del XX secolo (Gozzano compreso). Non è un caso, infine, che alcune delle sue migliori raccolte poetiche siano state ripubblicate anche recentemente. Concludo questa mia dissertazione su un grande poeta a cui tengo moltissimo, riportando un elenco delle sue opere in versi e cinque poesie che giudico tra le migliori.



Opere poetiche

"Poesie e novelle", Loescher, Torino 1876.
"Medusa", Loescher, Torino-Roma 1880.
"Medusa" (2° ed.), Loescher, Torino 1881.
"Medusa" (3° e definitiva ed.), Loescher, Rorino 1890.
"Dopo il tramonto", Treves, Milano 1893.
"Le Danaidi", Loescher, Torino 1897.
"Morgana", Treves, Milano 1901.
"Le Danaidi" (2° ed.), Loescher, Torino 1905.
"Le Rime della Selva", Treves, Milano 1906.
"Le poesie", Chiantore, Torino 1922.



Testi 

PALLIDA MORS

Mentre intorno ai fioriti e scintillanti
Deschi sediam entro dorata sala,
E dalle tazze traboccanti esala
Il sonoro e gentil spirto dei canti;

Mentre ferve la gioja, e accende il volto
Alle fanciulle e scalda il sen di neve,
Dietro i serici arazzi il passo greve
E il riso acuto io della morte ascolto.

E gli occhi, pieno di sgomento il core,
Ficco nel viso a un orïuol beffardo,
E il negro, maledetto indice guardo
Per l’angusto volar cerchio dell’ore.

Mi guardo a fianco, e sull’amata fronte
Veggo di tratto inaridir le rose,
E spegnersi il balen dell’amorose
Luci che al mio piacere eran sì pronte

Illividir le tempie ed il soave
Labbro farsi di gel, sciorsi le chiome,
E sulla sedia arrovesciarsi, come
Morto, il bel corpo illanguidito e grave.

E mi s’agghiaccia il cor; falso né vero
Più non discerno, non rido, non piango;
Ma, con le braccia al sen, muto rimango,
Immobile, a guatar l’empio mistero.

(da "Le poesie", Chiantore, Torino 1922, pp. 14-15)



  
POVERO CORE

O mio povero cor, morta è la pace,
Morto è l’amor; di novo a che sussulti?
Morta è la fede; a che più la vorace
Fiamma di vita nel tuo grembo occulti?

O mio povero cor, quando più tace
La fredda notte e dei patiti insulti
Grave su te la rimembranza giace,
Udir mi sembra i tuoi sordi singulti.

O mio povero cor, fossi tu morto!
Così di gel, così d’angoscia stretto,
Onde vuo’ tu sperar gioja o conforto?

O mio povero cor, non rinvenire;
O mio povero cor, del chiuso petto
Fatti una tomba e lasciati morire.

(da "Le poesie", Chiantore, Torino 1922, p. 124)




LA FALCE

Di nubi tra molle sfacelo
Io vidi nel cielo una falce:
La falce era lucida, il cielo
D’un crudo biancore di calce.

Negli orti né frasca né tralce;
Sui campi né fiore né stelo...
Che tronca, che miete la falce,
La falce ch’io vidi nel cielo?

Non trema nell’ombra di gelo
La trista canzone del salce?...
È notte. Fa freddo. Nel cielo
Io vedo rotare una falce.

(da "Le poesie", Chiantore, Torino 1922, p. 533)




LA PORTA DI BRONZO

Simile a muro di color ferrigno,
Di qua, di là, senza confin si stende
E al cielo poggia l’antico macigno.

Non vena d’acqua per quell’erto scende.
Non pruno incespa la petraja morta:
Fosco e sinistro il ciel nell’alto pende.

Una superba e smisurata porta,
Tutta di bronzo lucido formata.
Corrusca di lontan per l’aria smorta.

Con ascosi serrami entro è serrata:
L’arco di sopra è pietra scura e spessa;
È ferro il limitar che il passo guata.

Senza intermissïon davanti ad essa.
Per brama c’ha d’uscir di quel deserto,
Un infinito popolo fa ressa.

Ciascun, dolente, e di sua vita incerto,
Le salde imposte con le man percote,
E grida e prega perché siagli aperto.

Cupo romba il metal, come per vote
Nuvole il tuon; rimormoran le nude
Rupi; la terra sotto ai pie’ si scote;

Ma la porta fatal mai non si schiude.

(da "Le poesie", Chiantore, Torino 1922, pp. 568-569)




NELL'OMBRA

Qui, qui, nel grembo, nel core
Della solinga foresta,
Dove il mio cor si ridesta
Al sogno che mai non muore;

Qui, sotto il ciel che s’ingombra
Del vivo intreccio de’ rami:
(Che più volete ch’io brami?)
Qui mi lasciate nell’ombra.

Nell’ombra infusa d’arcano,
Di blandi aneliti piena;
Nell’ombra chiara e serena
E nel silenzio sovrano.

Lasciatemi respirare
I lenti effluvii, le forze
Ch’esalano dalle scorze
Stillanti, dall’erbe amare.

Lasciatemi bever l’onda
Che scaturisce ne’ greppi,
Che lambe i ruvidi ceppi,
Che sotto i muschi s’affonda.

Lasciate che abbracci i fusti
De’ vecchi abeti nel folto,
Che tuffi nell’erba il volto,
Che acerbe coccole gusti.

Lasciate l’anima mia
Tutta passar nelle cose,
E cercar l’anime ascese,
Mute in lor dolce malìa.

(da "Le poesie", Chiantore, Torino 1922, pp. 1082-1083)

1 commento:

  1. Arturo Graf mi pare un poeta di assoluto rilievo e una bella figura d'intellettuale docente e critico letterario.

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