Se è vero che
oggi è un virus il nemico da combattere, e che è proprio questo invisibile e
insidiosissimo essere a mietere tantissime vittime in Italia così come in ogni
parte del mondo, è altrettanto vero che, circa ottant'anni or sono, nel nostro
territorio esistevano dei nemici in carne ed ossa, armati e crudeli, che
facevano egualmente vittime coi loro comportamenti scellerati, guidati da
dittatori e governanti che non conoscevano la parola "pietà". I
bombardamenti a tappeto sulle città erano all'ordine del giorno, e ogni volta
che si verificavano, subito dopo c'era una conta delle vittime: un elenco che
si andava sempre più allungando, a mano a mano che i morti venivano estratti
dalle macerie sotto le quali si trovavano. Le due poesie che riporto oggi, in
occasione del 25 aprile, parlano proprio della devastazione e dei lutti causati
da queste bestialità belliche, tutt'ora esistenti. I versi di Salvatore
Quasimodo (Modica 1901 - Napoli 1968), ben noti, parlano di uno dei più
terribili bombardamenti a cui fu sottoposta la città di Milano, nel mese e
nell'anno che sono indicati nel titolo della poesia; oggi, come tutti sanno, la
città meneghina sta vivendo giorni altrettanto difficili (anche se le modalità
sono completamente diverse), da cui, mi auguro con tutto il cuore possa uscire
al più presto, così come tutte le altre città e gli altri paesi dove si vive la
medesima drammatica situazione.
L'altra poesia è
di Dino Menichini (Stupizza di Pulfero 1921 - Udine 1978), poeta friulano che
si mise il luce con due raccolte in particolare: Ho perduto i compagni (1947) e Patria
del mio sangue (1950), in cui mostrò la sua tendenza ad un crudo realismo e
volle denunciare, tramite un linguaggio totalmente privo di artifici e quindi
limpido, le atrocità della Seconda Guerra Mondiale, innalzando a soli
protagonisti tutti coloro che subirono le peggiori conseguenze dal tremendo
conflitto. Questi versi che ho scelto danno il titolo alla sua opera poetica
più famosa e, così come quelli di Quasimodo, pongono l'attenzione sulla
disumanità della guerra, in particolare quando la violenza che ne scaturisce va
a colpire nel mucchio, senza la minima pietà per qualunque essere umano
innocente e indifeso.
MILANO, AGOSTO
1943
di Salvatore
Quasimodo
Invano cerchi tra
la polvere,
povera mano, la
città è morta.
È morta: s’è
udito l’ultimo rombo
sul cuore del
Naviglio. E l’usignolo
è caduto
dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava
prima del tramonto.
Non scavate pozzi
nei cortili:
i vivi non hanno
più sete.
Non toccate i
morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella
terra delle loro case:
la città è morta,
è morta.
(da
"Poesie", Newton Compton, Roma 1992, p. 132)
HO PERDUTO I
COMPAGNI
di Dino Menichini
La città
bombardata ora ha il volto
delle sue donne
morte nelle vie.
Altre donne in
gramaglie lente vanno,
i loro gesti
suonano parole.
Tu, pallida ai
capelli dove i baci
perdevano sapore
di peccato,
stupisci della
quiete che t'assolve,
dal limbo che ti
smèmora riascolti
la tua voce
nell'aria fatta il grido
delle cose
tradite cui prestammo
innocenza di
nomi.
Una bilancia
è ancora intatta,
l'ago non oscilla,
il piatto è
fermo, la misura è colma,
un Cristo guarda.
Netto sul rottame
d'una campana è
inciso «miserere».
Tu nemmeno hai
pietà se la tua voce
m'assorda i
giorni e mi devasta il sangue.
Ho perduto i
compagni ad uno ad uno,
la mia vita è una
somma di memorie
aperta al
tempo...
(da
"Poesia", Società Filologica Friulana, Udine 1998, p. 40)
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