sabato 25 aprile 2020

Due poesie sulle devastazioni causate dai bombardamenti avvenuti durante la 2° Guerra Mondiale


Se è vero che oggi è un virus il nemico da combattere, e che è proprio questo invisibile e insidiosissimo essere a mietere tantissime vittime in Italia così come in ogni parte del mondo, è altrettanto vero che, circa ottant'anni or sono, nel nostro territorio esistevano dei nemici in carne ed ossa, armati e crudeli, che facevano egualmente vittime coi loro comportamenti scellerati, guidati da dittatori e governanti che non conoscevano la parola "pietà". I bombardamenti a tappeto sulle città erano all'ordine del giorno, e ogni volta che si verificavano, subito dopo c'era una conta delle vittime: un elenco che si andava sempre più allungando, a mano a mano che i morti venivano estratti dalle macerie sotto le quali si trovavano. Le due poesie che riporto oggi, in occasione del 25 aprile, parlano proprio della devastazione e dei lutti causati da queste bestialità belliche, tutt'ora esistenti. I versi di Salvatore Quasimodo (Modica 1901 - Napoli 1968), ben noti, parlano di uno dei più terribili bombardamenti a cui fu sottoposta la città di Milano, nel mese e nell'anno che sono indicati nel titolo della poesia; oggi, come tutti sanno, la città meneghina sta vivendo giorni altrettanto difficili (anche se le modalità sono completamente diverse), da cui, mi auguro con tutto il cuore possa uscire al più presto, così come tutte le altre città e gli altri paesi dove si vive la medesima drammatica situazione.
L'altra poesia è di Dino Menichini (Stupizza di Pulfero 1921 - Udine 1978), poeta friulano che si mise il luce con due raccolte in particolare: Ho perduto i compagni (1947) e Patria del mio sangue (1950), in cui mostrò la sua tendenza ad un crudo realismo e volle denunciare, tramite un linguaggio totalmente privo di artifici e quindi limpido, le atrocità della Seconda Guerra Mondiale, innalzando a soli protagonisti tutti coloro che subirono le peggiori conseguenze dal tremendo conflitto. Questi versi che ho scelto danno il titolo alla sua opera poetica più famosa e, così come quelli di Quasimodo, pongono l'attenzione sulla disumanità della guerra, in particolare quando la violenza che ne scaturisce va a colpire nel mucchio, senza la minima pietà per qualunque essere umano innocente e indifeso.    




MILANO, AGOSTO 1943
di Salvatore Quasimodo

Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.

(da "Poesie", Newton Compton, Roma 1992, p. 132)






HO PERDUTO I COMPAGNI
di Dino Menichini

La città bombardata ora ha il volto
delle sue donne morte nelle vie.
Altre donne in gramaglie lente vanno,
i loro gesti suonano parole.
Tu, pallida ai capelli dove i baci
perdevano sapore di peccato,
stupisci della quiete che t'assolve,
dal limbo che ti smèmora riascolti
la tua voce nell'aria fatta il grido
delle cose tradite cui prestammo
innocenza di nomi.

                             Una bilancia
è ancora intatta, l'ago non oscilla,
il piatto è fermo, la misura è colma,
un Cristo guarda. Netto sul rottame
d'una campana è inciso «miserere».
Tu nemmeno hai pietà se la tua voce
m'assorda i giorni e mi devasta il sangue.
Ho perduto i compagni ad uno ad uno,
la mia vita è una somma di memorie
aperta al tempo...

(da "Poesia", Società Filologica Friulana, Udine 1998, p. 40)




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