domenica 26 agosto 2018

Poeti dimenticati: Federico De Maria


Nacque a Palermo nel 1883 e ivi morì nel 1954. Si dimostrò già nella prima gioventù poeta rivoluzionario, inizialmente infatti fondò una rivista poetica (La Fronda, 1905) i cui collaboratori intendevano chiudere cogli esausti schemi del lontano passato; quindi aderì al movimento futurista, da cui però si staccò quasi subito in polemica non F. T. Marinetti. La sua appassionata e copiosa produzione in versi (fu tra i primi ad adottare il cosiddetto "verso libero"), ad un certo punto si interruppe improvvisamente e rimase sospesa per molti anni, per poi riprendere a cominciare dal 1932 fino alle ultime raccolte caratterizzate da una conversione al cristianesimo che rese i suoi versi molto più sobri rispetto alla fase iniziale. Lavorò nei settori del giornalismo e dell'insegnamento e pubblicò, oltre alle poesie, alcuni romanzi.



Opere poetiche

"Le Voci", Sandron, Palermo 1903.
"Le canzoni rosse", Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1904.
"La leggenda della vita", Edizioni di «Poesia», Milano 1909.
"La Ritornata", Studio Editoriale Moderno, Catania 1932.
"L'Estate di San Martino", Trimarchi, Palermo 1935.
"Liriche dei tempi", Reber, Palermo 1939.
"Sillabe", Berben, Modena 1949.
"Incantesimo del fuoco", Corbaccio, Milano 1952.



Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. III, pp. 3-17).
"La poesia italiana di questo secolo", a cura di Pietro Mignosi, Edizioni del Ciclope, Palermo 1929 (pp. 154-155).
"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 123-127).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (p. 353).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 630-636).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 1, pp. 79-85; vol. 2, pp. 102-103; vo. 3, pp. 89-94).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 449-454).
"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 682-711).
"Sicilia, poesia dei mille anni", a cura di Aldo Gerbino, Sciascia, Caltanissetta-Roma 2001 (pp. 388-390).



Testi

MALINCONIA D'UN TRAMONTO

Che voli di rondini in cielo!
S'inseguono a stormi, trillando
attorno ai comignoli, agli alti
abbaini ove l'ultima luce
ancora tremola: qualcuna
— solitaria — intesse i suoi
ratti voli, incerta, con brevi
gorgheggi chiamando. Lontano.
a sciami, come moscerini,
brulicano nell'oro effuso
del crepuscolo. A l'oriente
s'affaccia la sera sul queto
specchio del mar che si dislaga
oltre il porto, candido come
latte, venato di turchino.
L'orizzonte sbadiglia nebbie
e il cielo s'imbruna. Le file
dei platani verdi ed inerti
dilungatisi a perdita d'occhio
per l'ampio viale. Le cose
si tacciono tutte: è nell'aria
come uno stupor religioso.
Quel pescatore che ritorna
a riva nella sua barchetta
remeggiando tacitamente
pare lontanissimo. Quella
carrozza che brontola a pena
scorrendo sul lastrico, pare
lontanissima. Io stesso sento
ora qualche cosa di me
assai lontana. Uniche voci
nell'immensa torpida calma,
le rondini passan trillando:
monotona e fioca una stanca
campana lontana lontana
s'affanna, s'affanna a sonare...

(da "La leggenda della vita")




IL MIO DIO E L'ALTRO DIO

Il mio Dio è un piccolo dio,
piccolo come una lucciola
fra i grandi astri superbi ed immoti,
piccolo come un fiato
d'aria odorosa che increspa appena.
La sua divinità è tutta
nella sua impossibilità a essere qualcosa.

Il mio Dio non è il buio né la luce,
né la vita o la morte,
né il giusto o l'ingiusto.
È un atomo sperduto
che bisogna sapere scoprire nell'immensità,
nell'immensità che è fuori e che è dentro di noi.
Ma è anche l'eternità.

L'altro dio è un immenso e tronfio dio
grande come tutte le cose visibili e invisibili,
che abbraccia tutto e che sotto diversi nomi
è adorato dagli uomini, anche dagli atei.
Insegna tutto in ogni lingua, in ogni religione,
ma non può nulla: anch'egli è inerte
e lascia che ogni cosa e ogni persona
si muova, pensi, agisca per lui
o contro di lui, tutto permettendo
e perfino scoprendo; impropizio
oggi all'eroe o al santo, propizio domani
al bruto e a chi lacerò le sue leggi;
esaltatore e pervertitore; più Belzebù
che Jehova; benedetto per i suoi prodigi,
adorato pei suoi misfatti;
ma soprattutto sordo e incapace a reagire
alla preghiera come alla bestemmia,
pago d'essere implorato o maledetto.

Io disprezzo un simile dio
che si lascia così severamente
giudicare da me. Egli non è eterno.
Egli nacque dopo gli uomini e morirà prima degli uomini.

(da "La Ritornata")





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