domenica 12 agosto 2018

I luoghi misteriosi nella poesia italiana decadente e simbolista


Sotto la dicitura: "luoghi misteriosi", ho voluto qui raggruppare delle poesie che parlassero di posti più o meno reali, dove si sono svolti o si svolgono degli eventi incomprensibili e strani. Le ambientazioni variano abbastanza, ma non di rado si ripetono: ci sono mura, palazzi, serre, giardini, valli, paludi, pianure, deserti... A volte, questi luoghi sono inaccessibili, o pericolosi, altre volte fanno da confine invalicabile, nascondendo un mondo inaccessibile e inconoscibile. I personaggi che vi compaiono hanno tutti, come caratteristica principale, una profonda e insondabile enigmaticità; spesso si tratta di figure femminili, come la "Figlia del Passato" della poesia di Baccelli. In più di un caso è il poeta, in compagnia di una donna, a visitare degli edifici non completamente definiti. Spesso, in questi territori tutt'altro che accoglienti, non compare alcuna traccia d'umanità, ma, semmai, esemplari piuttosto inquietanti di fauna e di flora.
Non sono assenti, ovviamente, simbolismi più o meno nascosti. Per esempio, in diverse poesie si assiste ad un'ascesa - per mezzo di scale o arrampicandosi su una montagna -, dove i protagonisti  si avvicinano ad una mèta ignota, o non completamente chiara (la morte?). Palese è invece, in una poesia di Arturo Graf, l'immagine dell'imbarcazione abbandonata, appoggiata su uno scoglio, che rappresenta la vana speranza. Ricorrente è la parola "morte", sia essa ad indicare il nome di un luogo preciso (La valle della morte di Antonio Rubino), sia, come nel caso delle poesie di Corazzini e di Sotto il salice di Arturo Graf, quale terrificante emblema di una situazione, di un fatto o di una collettività. 




Poesie sull'argomento

Alfredo Baccelli: "La valle perduta" in "Poesie" (1929).
Adelchi Baratono: "Muro di cinta" e "La serra" in "Sparvieri" (1900).
Gustavo Botta: "Palude" in "Alcuni scritti" (1952).
Enrico Cavacchioli: "La muraglia" in "L'Incubo Velato" (1906).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Notte d'autunno" in "I canti di Pan" (1920).
Girolamo Comi: "Ne le pianure solitarie" in "Lampadario" (1912).
Sergio Corazzini: "Toblack" in "L'amaro calice" (1905).
Sergio Corazzini: "La tipografia abbandonata" in "Marforio", marzo 1903.
Auro D'Alba: "Lirica Comune" in "I Poeti Futuristi" (1912).
Italo Dalmatico: "La guida" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "Eliana" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Luisa Giaconi: "Il deserto" in "Tebaide" (1912).
Corrado Govoni: "Serre" in "Le Fiale" (1903).
Domenico Gnoli: "La valletta bruna" in "Poesie edite e inedite" (1907).
Arturo Graf: "Speranza" e "Paesaggio" in "Medusa" (1990).
Arturo Graf: "Sotto il salice" in "Dopo il tramonto" (1893).
Arturo Graf: "Il canneto" in "Morgana" (1901).
Luigi Gualdo: "Paesaggio" in "Le Nostalgie" (1883).
Giuseppe Lipparini: "Negli orti della saggezza" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Giuseppe Lipparini: "Il rudere" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Enzo Marcellusi: "Affricam teneo" in "I canti violetti" (1912).
Nicola Marchese: "Cammeo" in "Le Liriche" (1911).
Pietro Mastri: "Il tabernacolo" e "Il muro" in "L'arcobaleno" (1900).
Angiolo Orvieto: "La Valle senza Sole" in "Verso l'Oriente" (1902).
Aldo Palazzeschi: "Il cancello" e "Il manto" in "I cavalli bianchi" (1905).
Aldo Palazzeschi: "I prati di Gesù" in "Poemi" (1909).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Il macigno" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).
Antonio Rubino: "La valle della Morte" in «Poesia», ottobre 1908.
Cristoforo Ruggieri: "Lo scoglio" in "Ritmi" (1900).
Fausto Salvatori, "Siede una donna taciturna e i piani" in "In ombra d'amore" (1929).
Emanuele Sella: "La primavera celeste" in "Il giardino delle stelle" (1907).
Giovanni Tecchio: "Umbrae mysterium" in "Mysterium" (1894).
Aurelio Ugolini: "Paesaggio intimo" in "Viburna" (1908).
Guido Vitali: "L'aliga" in "Voci di cose e d'uomini" (1906).
Giuseppe Zucca: "Palude pontina" in "Io" (1921).




Testi


IL CANCELLO
di Aldo Palazzeschi

L’oscuro viale dai mille cipressi
che porta al cancello del grande piazzale
è aperto a la gente.
Soltanto il cancello non s’apre.
Va e viene la gente pel lungo viale
che il sole soltanto non lascia passare,
si sosta al cancello che à cento colonne di ferro
la gente a guardare.
In una carretta ch’è piccolo letto
due monache nere conducono attorno
pel grande piazzale, il Signore,
padrone del grande castello.
Cent’anni à il Signore
padrone del grande castello!
Lo portano attorno due monache nere,
attorno al castello ch’è in mezzo al piazzale.
Non ode non vede la gente
che al vano dei ferri del grande cancello
sta ferma a guardare.
Va e viene la gente pel lungo viale
che il sole soltanto non lascia passare,
si sosta al cancello che à cento colonne di ferro
la gente a guardare.
Ogn’anno a quel grande cancello
s’aggiunge una nuova colonna di ferro:
il posto d’un altro a guardare.

(da "I cavalli bianchi")




UMBRAE MYSTERIUM
di Giovanni Tecchio

Languiva ancor ne l'occidente il giorno
con una luce che facea stupore.
Parea quasi funereo l'autunnale
vespro e ci guardavam spesso d'in torno
come presi da un senso di timore.
Quello pareva un vespero fatale:
triste moriva, triste assai quel giorno.

Ne l'aria c'era non so che lamento.
Nel silenzio solenne di quell'ora
sognava forse l'Anima ammalata.
Tristi cadean le foglie gialle al vento.
Ritorna a quel ricordo umiliata
l'Anima ed a quell'erme rive ancora.
Ne l'aria c'era non so che lamento.

Andavam soli, senza meta, errando
per il parco. Tacevan le fontane
che, in quel silenzio antico, armoniose
facean tra il verde un dì murmure blando.
Pur narrava una Venere lontane
storie d'amore liete e dolorose,
che andavan lungi per il parco errando.

Giungemmo ad un castello antico, immenso.
Per l'alta scala tutta quanta bianca
incominciammo taciti a salire.
Incombeva il silenzio cupo e intenso.
Ansare ella s'udìa: forse era stanca,
poi che sentii 'l suo braccio illanguidire.
D'avanti a noi s'ergea il castello immenso.

Ella era stanca. Per la scala, muti,
sostammo allora. Era già morto il giorno;
era triste, assai triste quella sera
in quei luoghi lontani e sconosciuti.
Deserto il parco si stendea d'in torno
tutto ne l'ombra misteriosa e nera.
E discendemmo per la scala, muti.

(da "Mysterium")


Arnold Böcklin, "Landschaft mit Burgruine anagoria"
(da questa pagina)


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