lunedì 1 maggio 2017

Clausura

Io son giunto a limitarmi un regno
tutto per me, mirabile e severo.
Simile a un frate austero
sto in una cella bianca
che ha l'uscio al monte, la finestra al mare.
Trascorrere quivi la mia vita eguale,
lenta ed assorta come una preghiera.
Ma qualche sera che il tramonto incendia
l'ultime nubi e incenerisce il cielo
l'anima sbatte come una bandiera.



Questa poesia di Adriano Grande (1897-1972) appartiene alla sezione Pause del volume La tomba verde. La raccolta uscì per la prima volta nel 1929 (edita da Buratti in Torino) ed è stata recentemente riproposta al pubblico della poesia grazie all'editore San Marco dei Giustiniani di Genova. Sono pochi versi che raccontano di una scelta di vita solitaria e isolata: una sorta di clausura. Un uomo (forse il poeta stesso) ha deciso di porre dei limiti al suo mondo (qui definito regno); ha fatto in modo che la sua casa divenisse una cella di colore bianco, simile a quella dei frati, situata sui monti. Questa piccola stanza ha soltanto una finestra, dalla quale, è possibile osservare il lontano mare. L'uomo ha deciso di trascorrere il resto della propria vita fra queste quattro mura anguste, limitando al massimo i suoi spostamenti; in tal modo il tempo trascorre più lento e ne rimane molto per meditare. Sembrerebbe quasi un letargo, un allontanamento da qualsiasi slancio vitale; se non fosse per quella finestra che dà sul mare e che offre all'uomo ormai completamente estraneo a tutto, l'unico, intenso contatto col mondo esterno. Ed è nelle sere in cui, al tramonto, il sole fa splendere (incendia) le ultime nuvole del giorno e, nello stesso tempo, colora il cielo di un grigio simile a quello della cenere, che l'uomo affacciato alla finestra si emoziona e si esalta davanti al solo spettacolo della natura che il luogo può offrirgli. In quel momento la sua anima assopita si risveglia e si esalta proprio come fa una bandiera esposta ad un forte vento.

Si parla, in breve, delle sensazioni che prova chi vive, per scelta o costrizione, in un luogo chiuso e angusto per un lungo periodo di tempo; può essere il frate o il prigioniero, entrambi per diversi motivi, spesso rintanati in una cella; può essere il malato in quarantena o chiunque abbia deciso di estraniarsi dal resto dell'umanità passando numerosi giorni fra quattro mura. Allora, può essere sufficiente un odore, una piccola visione o perfino un rumore a risvegliare l'anima addormentata, così da far rinascere antichi ricordi e impensate emozioni, oppure a creare, grazie alla fantasia, una serie di immagini e di eventi irreali (a questo proposito, molto bello è il testo della canzone La casa in riva al mare). Mi viene anche in mente, per la sintetica ma quanto mai efficace sensazione che l'anima umana prova di fronte a certe situazioni, la brevissima e celebre poesia di Giuseppe Ungaretti intitolata Mattina.    

1 commento:

  1. Una poesia bella e struggente. Per spiriti nobili e sensibili. Il paradiso, a volte, può essere anche una "cella bianca" con la sua finestrella che ti permette di vedere il mare...

    RispondiElimina