giovedì 11 agosto 2016

I cavalli in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

E tra gli animali domestici più cari agli uomini non possono essere dimenticati i cavalli. Utilissimi, servili, imponenti, silenziosi, eleganti, bellissimi... quanti altri aggettivi si potrebbero trovare per i mammiferi maggiormente utilizzati dagli uomini. Prima dell'avvento dei motori i cavalli costituivano il principale mezzo di trasporto; sono stati anche usati per fare vari lavori, soprattutto nell'ambito agricolo e, infine, nello sport, vista la loro ubbidienza e le loro formidabili capacità. Ma a me piace vederli, quando mi capita di andare in campagna, nei campi recintati, seppure non del tutto liberi di spaziare e di nutrirsi su un terreno erboso, tranquilli e beati, lontani dagli stress a cui troppo spesso li costringono gli uomini. 



IL MORELLO
di Andrea Agueci (1906-2002)

Nacque vestito a lutto: ché, rannicchiato ancora nel grembo materno,
natura gli stampò sul tenero corpo un nero suggello.
E ancor polledro (il suo pelo rilucea come la pece e i suoi fianchi erano snelli come quelli de' levrieri),
fu attaccato ad un carro funebre.
Veste di lutto, la sua; ma, sotto quel nero, scorrevan purpurei fiotti di vita.
Le strade bianche, diritte, sterminate gli davano una smania folle di correre,
correre tagliando l'aria come una rondine,
e gittando acuti nitriti.
Invece, a tirare il cupo e grande carro,
stretta sempre al morso la bocca fremente,
doveva andar taciturno, a passi brevi,
strascinando l'ossa barcollanti del suo compagno.
E che tristezza quel silenzio e tutte quelle donne che s'affacciavano alle siepi,
con gli occhi pieni di lagrime, e mormoravano requiem!
(Certe vittime, per rattristarlo di più,
anche gli alberi che fiancheggiavan la strada,
lagrimavano gocciole di pioggia e sussurravano requiem).
Oh certo egli avrebbe voluto, un gagliardo garzone cavalcandolo,
che, al suo veloce passaggio,
si fosse affacciata a una siepe la florida amata,
e contro il viluppo schiumante e urlante d'ebbrezza nel vento,
avesse per gioco scagliato un pugno di rose vermiglie
e i sonaglietti d'argento della sua voluttuosa risata!

(Da "Crocevia", Studio Editoriale Moderno, Catania 1932)




UNA CAVALLA
di Attilio Bertolucci (1911-2000)

Una cavalla sola
Pascola
In una radura
Si fa notte
La luna brilla
Nell’aria serena
Vagamente splende
Respira con il muso alto
I profumati effluvi
Della notte che viene
Comincia un piccolo trotto
Grazioso e musicale
Già è notte
E nulla più si vede
Intorno.

(Da "Sirio", Minardi, Parma 1929)




GIOCHI, 2
di Massimo Bontempelli (1878-1960)

Felicità che cavalchi il cavallo
cavallo di legno coda di stoppa.

   In un angolo
   quattro tony
   in giro in giro
   l'un mette all'altro in testa un cappello,
   Felicità.

E tu cavalcando precipiti a terra
- oh il cavallo di legno e di stoppa era vivo -

   mentre nell'angolo
   i quattro tony han buttato i cappelli
   ma in giro in giro
   continuano a mettersi in testa l'un l'altro
   niente, Felicità.

Muori pensando: - fu bello
galoppare sul mio purosangue
che m'ha portato all'eternità -

   Il Purosangue che in mezzo dondola
   è nell'angolo
   quattro cappelli senza tony girano
   girano intorno su teste di niente,
   Felicità.

(Da "Il Purosangue", Facchi, Milano 1919)




SE NE VANNO I CAVALLI
di Raffaele Carrieri (1905-1984)

Come spavaldi ragazzi castani
Se ne vanno i cavalli
Alle facili terre dell'acqua
E non si voltano a guardarmi.
No che non si voltano,
I cavalli dal cuore di argento
Non si voltano a guardarmi.
Più allegri degli zingari
Alla fine di un bottino
Se ne vanno i cavalli
Sentendo da lontano il mare
Come gli zingari il rame.
Se ne vanno i cavalli
E non si voltano a guardarmi.
No che non si voltano.
I cavalli dal cuore d'argento
Non si voltano a guardarmi.

(Da "Stellacuore", Mondadori, Milano 1970)




IL CAVALLO
di Giovanni Alfredo Cesareo (1860-1937)

Talora sobbalzando ascolto
In sogno un remoto galoppo
Che sordo, continuo, disciolto,
Ruina su me senza intoppo.

Mi volgo a spiarlo, ma troppo
Nereggia la tenebra spessa,
E tutto m'accoscio in un groppo,
L'orecchia alla pésta che appressa.

Il cuore tremante non cessa
Che non mi si sbatta nel petto,
Ond'io, per placarne la ressa,
Com'orbo a fuggire mi metto.

Ma sento le gambe in difetto
Piegare sotto la persona:
S'è il buio da torno ristretto
E d'orridi scalpiti suona.

Già parmi avvistare la prona
Cervice dell'atro cavallo
Che slungasi, e zolfo sprigiona
Dagli occhi, né mette unghia in fallo.

Un attimo: e in breve intervallo
Già spare tra il rigno fremente
E me, che smarrito traballo
Per l'ansia dell'urto imminente.

Sferzato dal rombo crescente,
Precipito in cerca di scampo:
L'ignoto cavallo si sente,
Ma non se ne scerne lo stampo;

E ognora così, senza un lampo
Su' selci o un nitrito nel vento,
Chi sa per qual magico inciampo,
Incalza lo scalpitamento

Né giunge: morire io mi sento
Né muoio: agghiadito, stravolto,
Oppresso dal soffocamento
Di chi, vivo ancora, è sepolto.

(Da "I canti di Pan", Zanichelli, Bologna 1920)




NOZZE DI CAVALLI
di Libero De Libero (1906-1981)

Vanno a nozze i cavalli
e la pianura è di biade,
alle criniere conviene il vento,
si dedica il cielo per gli occhi.
Ondosi nei fianchi li adorna
ancora un fasto marino,
il sole invoglia le rapide
schiene alla lotta
per un fiato d'erba ai ginocchi.
Nel giorno si gloria l'inno
delle teste e sono gli echi
guerrieri tra i denti aperti,
ora del sangue è sciolta la frusta.

(Da "Scempio e lusinga", Mondadori, Milano 1972)



  
UN CAVALLO
di Ofelia Mazzoni (1883-1935)

Con occhi bruciati di pianto,
vedo - ora - un dolore peggiore
di quello che soffro:
un cavallo stracco, malato
(un'ugna è ravvolta di stracci)
sovraccaricato,
tutto teso e vibrante di sforzo,
discoperto il giallore dei denti
in un ghigno di fiera agonia.
Appetto a me, che ho parole
e singhiozzi per il mio male,
la bestia che soffre e non piange,
la bestia malata e legata
corporalmente al tormento,
più grande è al dolore! s'aderge
silenziosa imagine viva
di maledizione per l'uomo,
che crudelissimo è
su tutte le creature
e tutte le cose esistenti
e gli stessi ciechi elementi.

(Da "Verso la foce", Treves, Milano 1921)




IL CAVALLO
di Roberto Roversi (1923-2012)

Freme la fonte,
s’abbevera il cavallo.
Fra il cavallo che beve, succhiando
avido e ampio, e io che guardo
non c’è differenza alcuna.
Anch’egli trasalisce
a quest’aria dorata che si spinge
neghittosa, verso la campagna.
Gioioso vento d’aprile.
Alza il muso grondante, inarca
le orecchie e ascolta.
Con una mano sfioro
il suo morbido dorso.
Maestà della natura, arcana
artefice. Quali tempeste
o gioie lo agitano?
quali richiami?
la voce che lieve
si insinua fra l’erbe,
o l’odore, il sapore aspro
della femmina?
S’avventa con un nitrito per il sentiero.

(Dalla rivista «Officina», maggio 1955)




IL POLEDRO
di Sebastiano Satta (1867-1914)

Meraviglia a vederlo! la cervice
Stellante tra la nitida criniera
Erse il poledro, schiusa la narice
Ai soffi ardenti della primavera.

Nessun dei giovinetti, audace schiera
Di ardimenti e di prove sfidatrice,
Osava premer quella groppa nera
Come il tormento e correr la pendice.

— Gloria a chi primo lo cavalca! — disse
Il vecchio. Ai giovinetti tremò il cuore.
Allor nella criniera gli confisse

Egli l’artiglio, e saldo in groppa come
Un drago, sparì via col corridore,
Dritto il bel capo tra le grigie chiome.

(Da "Canti barbaricini", La Vita Letteraria, Roma 1910)




HO INTRAVISTO IL CAVALLO
di Toti Scialoja (1914-1998)

Ho intravisto il cavallo
ritto e fermo sul prato
affiancato ad un altro
orientato all'inverso

- il passaggio a livello
era levato - un bianco
e un nero nell'incastro
che sbarra il mondo perso.

(Da "Le sillabe della Sibilla", Scheiwiller, Milano 1988)



Giovanni Fattori, "Cavallo tirando un carro"
(Da https://commons.wikimedia.org/wiki/File%3AGiovanni_Fattori_052.jpg)



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