giovedì 15 ottobre 2015

I fiumi nella poesia italiana decadente e simbolista

Avevo già dedicato un post alle "acque correnti", in cui, oltre a specificare che, col loro movimento continuo, esse simboleggiavano una situazione in divenire, elencavo una serie di poesie dedicate a ruscelli, canali, torrenti e cascate. Per i fiumi è giusto fare un discorso a parte perché, pur essendo anch'essi corsi d'acqua, la loro mole è incomparabile; quindi, nei versi dei poeti simbolisti e decadenti, possono rappresentare anche qualcosa di differente rispetto agli altri. Per esempio, leggendo alcune poesie, si nota l'importanza della sacralità di alcuni fiumi (il Gange e il Giordano per esempio, o, nell'ambito del fantastico, l'Acheronte) che indirizza il tutto verso un discorso prettamente mistico, attinente alla purificazione, soprattutto se qualcuno si bagna nelle acque di un fiume ritenuto sacro. Al contrario, seppure in rari casi, il fiume può divenire una specie di cloaca, che raccoglie tutta una serie di negatività cittadine; è questo il caso di "Contro il Tevere" di Auro d'Alba, in cui il poeta, dopo aver elencato tutte le nefandezze che si scaricano sulle acque del fiume, si scaglia in modo netto contro il Tevere, dichiarando tutto il suo livore in codesti versi: «T'odio, maestro di necrofilia! / per il fascino vischioso della tua melma / gialla - / per il fetore di stalla / che da' tuoi gorghi sale: / - odor di funerale acre basilicale / bava bava bava - / per il grido convulso di chi ti bevve / sino a vuotarsi l'anima» [...] Il fiume inoltre, proprio perché trascina con sé una enorme quantità d'acqua, spesso ha attinenza con la vita, che scorre in modo continuo, fino a giungere alla foce (ovvero la morte).  



Poesie sull'argomento

Mario Adobati: "Il tedio sul fiume" e "Il fiume della tristezza" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "Il bagno" e "Verso la foce" in "La città di Vita" (1896).
Antonino Anile: "Il vecchio" in "Poesie" (1921).
Gustavo Brigante-Colonna: "Il fiume" in "Gli ulivi e le ginestre" (1912).
Giovanni Camerana: "Augustal Reno, vasto e lento Reno" in "Poesie" (1968).
Giovanni Cena: "Il gorgo" in "Homo" (1907).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Il fiume" in "I canti di Pan" (1920).
Sergio Corazzini: "Ballata del fiume e delle stelle" in "L'amaro calice" (1905).
Auro D'Alba: "Contro il Tevere" in "Baionette" (1915).
Gabriele D'Annunzio: "La visione" in "Poema paradisiaco" (1893).
Guido Da Verona: "Poesia" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Luigi Fallacara: "Nel fiume di vita" in "Illuminazioni" (1925).
Diego Garoglio: "Il fiume eterno" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Corrado Govoni: "Crepuscolo sul Tevere" in "Fuochi d'artifizio" (1905).
Corrado Govoni "I fiumi e il mare" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "O sacro Gange" e "L'iride" in "Le Danaidi" (1905).
Gian Pietro Lucini: "Ancora il fiume" in "Il Libro delle Imagini terrene" (1898).
Gian Pietro Lucini: "Barcarola sul Reno" in "Le antitesi e le perversità" (1970).
Remo Mannoni: "Notte sul Tevere" in "Rime dell'Urbe e del Suburbio" (1907).
Marino Marin: "Da tutte parti traggono..." in "Sonetti secolari" (1896).
Tito Marrone: "Acheronte" in "Liriche" (1904).
Arturo Onofri: "Il fiume" in "Poemi tragici" (1908).
Angiolo Orvieto: "Fantasia" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Nino Oxilia: "O triste fiume dall'onda sonora" in "Canti brevi" (1909).
Aldo Palazzeschi: "Lo specchio delle civette" in "I cavalli bianchi" (1905).
Enrico Panzacchi: "Su la riva tranquilla" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "Il ponte" in "Myricae" (1900).
Giovanni Tecchio: "Il fiume" in "Canti" (1931).
Domenico Tumiati: "Fiume" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Remigio Zena: "Sul Nilo" in "Le Pellegrine" (1894).



Testi

IL FIUME
di Giovanni Alfredo Cesareo

Spesso l'anima mia risale il fiume
Rapido de' ricordi, che bruisce
Fioco, tra lunghe strisce
D'ombra, nel fuggitivo occiduo lume;
Ed io discerno, su le tenui spume,
Ora un morto sorriso, ora una fronda
Secca, ora il reo bitume
D'un odio, ora una rosa vagabonda,

E altro e altro. E vo più sempre in dietro,
D'anno in anno, all'infanzia, a' giochi ignari,
A' rapimenti chiari
Del senso più diafano che vetro;
E poi con tutto sforzo anco m'arretro
Per ficcar gli occhi oltre il potere umano;
Ma, nel silenzio tetro,
Geme un sospiro, (da che parte?): In vano!

Opaca nebbia fumiga dal nero
Gorgo, ove l'acqua balenando sorge,
E altro non iscorge,
Se bene aguzzo e teso, il mio pensiero,
Che, giunto su la soglia del mistero,
Non può varcarla, e in due si sente scisso:
Ciò ch'egli ha di più vero
È rimasto laggiù, nel muto abisso.


(Da "I Canti di Pan")


Ferdinand Keller, "Brasilianische Flusslandschaft"

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