Agosto, ottavo mese dell'anno, rappresenta l'estate ai suo massimi livelli di caldo. In tali giorni molte persone smettono di lavorare e vanno in ferie. Tra queste, la gran parte abbandona per un periodo che può essere più o meno breve, la sua abitazione e i luoghi che frequenta per il resto dell'anno, cercando in un luogo ospitale, incantevole e lontano, un relax ed un benessere di cui non può godere rimanendo a casa. In queste dieci poesie, però, si parla d'altro: emergono ricordi precisi, sensazioni e meditazioni che scaturiscono dal trascorrere dei giorni di questo mese estivo, che nei suoi ultimi giorni mostra già qualche traccia dell'autunno prossimo a venire, ormai tutt'altro che lontano. Segna in tal modo la massima espansione della calda stagione ed anche il suo imminente declino.
PIOGGIA D'AGOSTO
di Guido Gozzano (1883-1916)
Nel mio giardino triste ulula il vento,
cade l’acquata a rade goccie, poscia
più precipite giù crepita scroscia
a fili interminabili d’argento...
Guardo la Terra abbeverata e sento
ad ora ad ora un fremito d’angoscia...
Soffro la pena di colui che sa
la sua tristezza vana e senza mete;
l’acqua tessuta dall’immensità
chiude il mio sogno come in una rete,
e non so quali voci esili inquiete
sorgano dalla mia perplessità.
«La tua perplessità mediti l’ale
verso meta più vasta e più remota!
È tempo che una fede alta ti scuota,
ti levi sopra te, nell’Ideale!
Guarda gli amici. Ognun palpita quale
demagogo, credente, patriota...
Guarda gli amici. Ognuno già ripose
la varia fede nelle varie scuole.
Tu non credi e sogghigni. Or quali cose
darai per meta all’anima che duole?
La Patria? Dio? l’Umanità? Parole
che i retori t’han fatto nauseose!...
Lotte brutali d’appetiti avversi
dove l’anima putre e non s’appaga...
Chiedi al responso dell’antica maga
la sola verità buona a sapersi;
la Natura! Poter chiudere in versi
i misteri che svela a chi l’indaga!»
Ah! La Natura non è sorda e muta;
se interrogo il lichène ed il macigno
essa parla del suo fine benigno...
Nata di sé medesima, assoluta,
unica verità non convenuta,
dinanzi a lei s’arresta il mio sogghigno.
Essa conforta di speranze buone
la giovinezza mia squallida e sola;
e l’achenio del cardo che s’invola,
la selce, l’orbettino, il macaone,
sono tutti per me come personæ,
hanno tutti per me qualche parola...
Il cuore che ascoltò, più non s’acqueta
in visïoni pallide fugaci,
per altre fonti va, per altra meta...
O mia Musa dolcissima che taci
allo stridìo dei facili seguaci,
con altra voce tornerò poeta!
(Da "I colloqui", Treves, Milano 1911)
SERA D'AGOSTO
di Giovanni Descalzo (1902-1951)
Stanno alla fonda le barche
leggere su l'acqua ondulante;
ferve di un solo riflesso
giallo-arancione il Tigullio!
Non è più giorno,
non è ancor sera,
l'indugiar della luce ora sembra
l'ampia scia del sole scomparso.
Oh incerto chiarore
del lento giorno d'estate;
oh senza tumulti di fiamme
tramonto d'agosto!
Beatitudine nuova s'effonde
dalla tua calma sapida
di fervidi succhi vitali,
che fanno del sangue
un dolce rivo tepido:
alimento di sogni perenni.
D'ogni figura
che in questa luce s'intaglia,
non scorgi che un nero profilo,
e due pescatori sul bordo
di una barca che oscilla nel golfo
paion viventi polene.
Nella quiete perfetta
tutto si fonde e si placa.
Soltanto l'anima emigra
e vaneggia nell'ansia,
essa che già precorre
turbandosi, il domani.
(Da "Risacca", All'insegna della Tarasca, Genova 1933)
FINE D'AGOSTO
di Gaetano Arcangeli (1910-1970)
Dal sentiero
dove si apparta
dal mare aperto
la ritrosa campagna,
vedo al tramonto
vaghi colori
di brevi incanti terreni
sui monti violacei lontani.
Echi di clàcson
(perché mai così dolci)
si striano nell'aria
e vi affondano morbidi,
echi rispondono
dal cuore che pronto si desta
dall'arido sonno
del giorno,
e già si son tese nel cielo
gracili braccia,
bianche vene,
certo amorose
nel trasalire dell'ora.
Dall'arcaica campagna
del remoto sentiero
dov'è solo arsa verdura,
il tramonto che, appena
acceso, in cenere spegne
il fasto delle sue luci,
è un cupo fiore selvatico
che prova il ritegno
di spandere un suo
a cuto e raro profumo.
(Da "Dal vivere", Testa, Bologna 1939)
28 AGOSTO...
di Arnaldo Beccaria (?-?)
Bianco qual cigno il vaporetto doppia
il breve molo. Il velo
che agitava l'estremo tuo saluto
anche è scomparso.
E questa colma rigogliosa luce
che allacciò i nostri slanci, e li assumeva
alle dorate aree del sogno,
ora m'è vuota, estranea come quella
di un silenzioso fiordo.
(Da "Adamo", Edizioni della Cometa, Roma 1942)
LUNA D'AGOSTO
di Cesare Pavese (1908-1950)
Al di là delle gialle colline c'è il mare,
al di là delle nubi. Ma giornate tremende
di colline ondeggianti e crepitanti nel cielo
si frammettono prima del mare. Quassù c'è l'ulivo
con la pozza d'acqua che non basta a specchiarsi,
e le stoppie, le stoppie, che non cessano mai.
E si leva la luna. Il marito è disteso
in un campo, col cranio spaccato dal sole
- una sposa non può trascinare un cadavere
come un sacco -. Si leva la luna, che getta un po' d'ombra
sotto i rami contorti. La donna nell'ombra
leva un ghigno atterrito al faccione di sangue
che coagula e inonda ogni piega dei colli.
Non si muove il cadavere disteso nei campi
né la donna nell'ombra. Pure l'occhio di sangue
pare ammicchi a qualcuno e gli segni una strada.
Vengono brividi lunghi per le nude colline
di lontano, e la donna se li sente alle spalle,
come quando correvano il mare del grano.
Anche invadono i rami dell'ulivo sperduto
in quel mare di luna, e già l'ombra dell'albero
pare stia per contrarsi e inghiottire anche lei.
Si precipita fuori, nell'orrore lunare,
e la segue il fruscìo della brezza sui sassi
e una sagoma tenue che le morde le piante,
e la doglia nel grembo. Rientra curva nell'ombra
e si butta sui sassi e si morde la bocca.
Sotto, scura la terra si bagna di sangue.
(Da "Lavorare stanca", Einaudi, Torino 1943)
UN 30 AGOSTO
di Bartolo Cattafi (1922-1979)
Si vide subito che si metteva bene:
eventi macroscopici nessuno,
il sole ad un passo da settembre
diede la prima razione
alle isole di fronte,
il mare mandò lampi di freschezza,
il caldo soltanto fra tre ore,
un immenso celeste, ancora un giorno
per l'uva e gli altri frutti di stagione,
tra i pochi rumori di paese
l'ossigeno sibilando disse
di non farcela più con quel suo cuore.
Di primo mattino la morte di mia madre.
(Da "Qualcosa di preciso", Scheiwiller, Milano 1961)
FERRAGOSTO
di Gianni Rodari (1920-1980)
Filastrocca vola e va
dal bambino rimasto in città.
Chi va al mare ha vita serena
e fa i castelli con la rena,
chi va ai monti fa le scalate
e prende la doccia alle cascate…
E chi quattrini non ne ha?
Solo solo resta in città:
si sdrai al sole sul marciapide,
se non c’è un vigile che lo vede,
e i suoi battelli sottomarini
fanno vela nei tombini.
Quando divento Presidente
faccio un decreto a tutta la gente;
«Ordinanza numero uno:
in città non resta nessuno;
ordinanza che viene poi,
tutti al mare, paghiamo noi,
inoltre le Alpi e gli Appennini
sono donati a tutti i bambini.
Chi non rispetta il decretato
va in prigione difilato».
(Da "Filastrocche in cielo e in terra", Einaudi, Torino 1961)
LA STRADA FUORI PORTA
di Lucio Piccolo (1901-1969)
La strada fuori porta,
e ogni anno agosto
alza fanali d'afa, e accende
la festa sui portali della chiesa
in archi, in pali, le luminarie gialle,
verdi, blu, agita nacchere, trombette
di cartone, dondola barconi
di rosse frutta ferite... poi cadono
dai balconi fiori di carta, l'ultimo
palco rimbomba al martello
che lo disfà a tratti,
già sono le foglie inquiete;
ogni anno fa ritorno
la festa, e la stagione tarda
in zone di svanito rosa,
ai margini del giorno
ferma siepi di bruno viola.
Ma nella chiesa, se scendo
tre gradini, sopra lastre di tombe
dove non giunge l'esitare dei ceri
ognuna ne l'informe
papavero confitta,
vedo l'anime in fuoco:
distorti volti, braccia
levate verso nuvole e colombe...
nel profondo
del tempo e dei tramonti
lo sguardo si fermò sul fuoco
estremo, poi altrove si volse;
ma dove andava, brune
macchie, seguivano le vespertine
figure di brace e d'angoscia...
(Da "Plumelia", All'insegna del pesce d'oro, Milano 1967)
AGOSTO SFONDA L'ORIZZONTE
di Nico Orengo (1944-2009)
Agosto sfonda l'orizzonte.
E fa male guardare il volo
indeciso del rondone:
lo riporta in terra l'odore
bianco del fico, una rete che
imbriglia la sua sete di andare
là, dove il mare si appresta a curvare.
(Da "Cartoline di mare", Einaudi, Torino 1984)
SERA D'AGOSTO
di Giuseppe Raimondi (1898-1985)
Erano queste le ore.
Nessuno parlava. Ero
uscito per camminare
nel cortiletto. Rientravo
nella stanza. Mi riempiva
il tuo respiro. Non
udivo altro suono.
Si contavano i minuti.
Qualcuno disse: Sono
le nove. Poi il silenzio
di ogni cosa. Rimase
il mio gelsomino
nelle tue mani.
(Da "Poesie", Scheiwiller, Milano 1999)
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