Scampoli di letteratura dell'Ottocento e del Novecento, poeti dimenticati, vecchie antologie e altro ancora.
domenica 29 luglio 2012
Il caldo nella poesia italiana decadente e simbolista
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "Sogno di un pomeriggio di estate" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Fausto M. Bongioanni: "Al Sangone" in "Venti poesie" (1924).
Giovanni Camerana: "Canicola" in "Poesie" (1968).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Calmeria di scirocco" in "Le consolatrici" (1905).
Federico De Maria: "Camino" in "La Ritornata" (1932).
Augusto Ferrero: "Meriggio di luglio" in "Nostalgie d'amore" (1893).
Corrado Govoni: "Afa" in "Poesie elettriche" (1911).
Giuseppe Lipparini: "Hesperos" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "La Stufa" in "Le Gemme e gli Spettri" (1901).
Nino Oxilia: "Batte sull'aia brillando il fulgido" e "Posa il meriggio..." in "Canti brevi" (1909).
Nino Oxilia: "Il canto dell'ira" in "Gli orti" (1918).
Guido Ruberti: "Nubila" in "Le fiaccole" (1905).
Camillo Sbarbaro: "Afa di luglio il canto che non varia" in "Resine" (1911).
Domenico Tumiati: "Calore precoce" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini: "Agosto, la vertigine solare" in "La rinunzia" (1907).
Testi
CALORE PRECOCE
di Domenico Tumiati
. . . . . . . . . . . . .
L'olezzo violento
dei tuberosi viene,
e percuote le vene
lungo serpeggiamento:
quale ricordo spento
d'un'estate lontana;
d'afa meridiana
torpido spossamento,
quale corsa sfrenata
senza sapere dove,
mentre il sudore piove
da la guancia infocata.
(Da "Musica antica per chitarra")
venerdì 27 luglio 2012
A proposito di alcuni poeti dimenticati
giovedì 26 luglio 2012
"Dal vivere" di Gaetano Arcangeli
mercoledì 25 luglio 2012
[La terra sogna l'ultime farfalle]
prima di risvegliarsi autunnalmente
dai veli del suo sonno trasparente
ammassati nel cavo della valle.
Volano, insieme con le foglie gialle,
sui prati, ove l'erbette macilente
s'estènuano in un soffio ond'ella sente
crescere, in ombra, funghi, muschi e galle.
Battono l'ali pavide, al riparo
delle fratte, palpandovi di fuga
fiori non più, ma qualche sterpo amaro.
Umida luce ombreggia di viola
la terra in dormiveglia, che si ruga
già del risveglio che nell'aria vola.
Una poesia di Arturo Onofri (1885-1928), tratta dall'ultima raccolta pubblicata dal poeta romano prima di morire: "Vincere il drago!" (1928). I versi si addicono molto al periodo dell'anno quando l'estate offre le sue ultime giornate miti; la terra è qui considerata come un organismo vivente che si addormenta e sogna le "ultime farfalle" per poi risvegliarsi quando è ormai autunno. Bellissima l'immagine dei lepidotteri che volano insieme alle foglie gialle staccatesi dagli alberi, magari per un colpo di vento, e che scendono sui prati dove compaiono, insieme alle erbette già secche per la lunga siccità estiva, i primi segni autunnali rappresentati da funghi (galle) e da piante (muschi).
domenica 22 luglio 2012
Lo spaventapasseri
Che tenerezza m’infonde la visione degli spaventapasseri! Questi pupazzi che si trovano, spesso, in mezzo a dei campi coltivati, sempre soli e sempre in piedi, sempre zitti e sempre dritti, con le braccia allargate e con quei loro volti così buffi…
Restano immobili sempre e comunque, con il cappellaccio squarciato, che se tira un po’ di vento gli cade in terra; coi loro stracci: una maglia sfibrata e logora oppure una giacca ammuffita, dei pantaloni stravecchi e, nel migliore dei casi, con un fazzoletto dai colori sfolgoranti al collo. Se ne stanno lì, a fare la guardia, a proteggere il campo seminato dagli uccelli affamati.
E poi piove, a volte nevica addirittura, ma loro non si muovono: non abbandonano il campo, fedelissimi al compito che gli è stato assegnato. E anche quando, ormai, gli uccelli si avvicinano a loro sempre di più, e non li temono ma quasi li sbeffeggiano, non demordono dal loro lavoro.
Ciao, poveri spaventapasseri, creati dagli esseri umani per sostituirli, per fare ciò che a loro scoccerebbe, non gli somigliate per nulla agli uomini, e non fate paura a nessuno; siete soltanto dei cenciosi pupazzi capaci d’ispirare una grande simpatia ed una enorme tenerezza!
che indossa vestiti
poveri, vecchi e brutti
è in mezzo ad un campo.
Non dice parole,
non piange e non ride,
è sempre all'impiedi
e non dorme mai.
Ha le braccia aperte
ogni notte e ogni dì,
guarda sempre davanti
l'orizzonte lontano.
Gli uccelli temendolo
distanti si aggirano
da quello stranissimo
orribil tipaccio.
Ma poi piano piano
si fanno coraggio
giungendo a due passi
dal mite spauracchio.
Poi il più coraggioso
gli vola sul capo
posandosi proprio
sul suo cappellaccio;
nessuna reazione
quel losco figuro,
quel tristo individuo
si prova a mostrare.
Allora altri uccelli
trovato il coraggio
raggiungono il primo
spavaldo compagno.
E In pochi minuti
quel bravo guardiano
si trova coperto
da cento animali,
ben presto per questo
sarà eliminato,
avendo fallito
la grande missione
cui egli, paziente,
serioso e preciso
si è dedicato
con tutte le forze.
Ma, ahimè, tutto ciò
a nulla gli valse
e infin, tristemente
sparire dovrà.
giovedì 19 luglio 2012
Poeti dimenticati: Giovanni Antonelli
![]() |
Giovanni Antonelli |
Giovanni Antonelli nacque a Sant'Elpidio al Mare nel 1851 da una famiglia benestante marchigiana. Non ancora adolescente fuggì di casa e ben presto si arruolò nella Marina militare, dove scontò numerosi periodi di reclusione in seguito a punizioni drastiche che ebbero nella sua psiche un effetto devastante. Congedatosi nel 1873, il suo ritorno a Sant'Elpidio non fu gradito, così cominciò a vagabondare in giro per l'Italia, vivendo di espedienti e di elemosine e subendo anche lunghi anni di internamento in ospedali psichiatrici. Una volta uscito definitivamente dal manicomio, visse per poco tempo in un alloggio del Comune di nascita fino a quando, nel 1909, scomparve non lasciando più alcuna traccia. Scrisse molte poesie, per lo più sonetti raccolti quasi tutti in "Il libro di un pazzo", volume pubblicato nel 1893 che mostra un uomo dalle idee decisamente rivoluzionarie che non nasconde una grande sofferenza per le oppressive leggi della società e una autentica indole libertaria.
Opere poetiche
"Poesie", C. Corradetti, Sanseverino Marche 1880.
"Il libro di un pazzo", Natalucci, Civitanova Marche 1892.
"Il libro di un pazzo", Tip. Economica, Reggio Emilia 1893.
"Altri sonetti", Stab. Tip. Cooperativo, Fermo 1909.
Presenze in antologie
"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1978 (pp. 291-295).
Testi
IL MIO PENSIERO
Vaga attraverso un caos il pensier mio
senza fren, senza meta e senza posa;
e ovunque sorge l'orma spaventosa
che solca il viver tempestoso e rio.
Ei scende e sale il lubrico pendio,
l'orror bevendo d'ogni umana cosa;
e per la via sì vasta e faticosa
nonché la speme mancagli il desìo.
Sì del calice suggo amari i sorsi,
nella piena travolto degli affanni,
che assidui sento nel mio cor dar morsi.
Che tale è il pensier mio son già lung'anni;
ma se arridesse amor co' bei soccorsi
amar tutti vorrei, sino i tiranni.
(da "Il libro di un pazzo")
domenica 1 luglio 2012
Il bosco e la foresta nella poesia italiana decadente e simbolista
Poesie sull'argomento
Mario Adobati: "La selva mistica" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Diego Angeli: "Un odore di fumo" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Carlo Basilici: "Il Canto delle Foreste" in "Dai poemi" (1904).
Carlo Basilici: "Bosco degli ulivi" in «Poesia», novembre-dicembre 1905.
Ugo Betti, "Passeggiata nel bosco" in "Il re pensieroso" (1922).
Luigi Capuana, "Nella notte, per la foresta" in "Semiritmi" (1888).
Enrico Cardile, "Il laureto" in "Sintesi" (1923).
Francesco Cazzamini Mussi: "Pastello" in "Le allee solitarie" (1920).
Guelfo Civinini: "Notte di stelle" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Guglielmo Felice Damiani, "Nel bosco d'un tempo" in "Lira spezzata" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "Le foreste" in "Poema paradisiaco" (1893).
Adolfo De Bosis, "La selva si sfronda..." in "Amori ac silentio e Le rime sparse" (1914).
Giuseppe De Paoli: "L'ultimo inganno" in "Il sistro d'oro" (1909).
Francesco Gaeta, "Il bosco" in "Il libro della giovinezza" (1895).
Diego Garoglio, "Nella pineta" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Luisa Giaconi, "Nel bosco" in «Dai nostri poeti viventi» (1896).
Cosimo Giorgieri Contri, "La pineta" in "Il convegno dei cipressi" (1895).
Cosimo Giorgieri Contri, "Altri mondi" in «Nuova Antologia», aprile 1907.
Corrado Govoni, "Nel bosco" in "Le fiale" (1903).
Arturo Graf: "Raccapriccio" in "Dopo il tramonto" (1893).
Arturo Graf, "Notte nel bosco" in "Le rime della selva" (1906).
Virgilio La Scola: "Notte d'aprile" in "La placida fonte" (1907).
Achille Leto, "La foresta" in "Piccole ali" (1914).
Giuseppe Lipparini, "La selva" in "Lo specchio delle rose" (1898).
Olindo Malagodi, "Boschi d'autunno" in "Poesie vecchie e nuove" (1928).
Remo Mannoni, "Notte nel bosco" in «La Stella e l'Aurora italiana», agosto 1905.
Pietro Mastri: "La Selva" in "La meridiana" (1920).
Angiolo Silvio Novaro, "Al bosco" in "Il cuore nascosto" (1920).
Arturo Onofri, "Risveglio del bosco" in "Liriche" (1914).
Angiolo Orvieto, "La pineta" in "La sposa mistica. Il velo di Maya" (1898).
Giovanni Pascoli, "Il bosco" in "Myricae" (2°ed. 1892).
Guido Ruberti: "Per la selva" in "Le fiaccole" (1905).
Fausto Salvatori, "Selva antica, profonda..." in "In ombra d'amore" (1929).
Francesco Scaglione, "Il pianto delle foreste" in "Litanie" (1911).
Emanuele Sella: "Incontro" in "Rudimentum" (1911).
Remigio Zena, "Nei grandi boschi negri di mistero" in "Le pellegrine" (1894).
Testi
INCONTRO
di Emanuele Sella
...E c'era una fanciulla bella bella in una casa in mezzo a una foresta.
Ed un uomo era stanco della vita opprimente che si vive in una grande città.
Un giorno la fanciulla vide un uomo pallido venire meditando verso la sua casa.
- Che volete? - gli chiese. Egli rispose:
- Ero stanco di vivere la vita che si vive in una strana foresta dove gli esseri che vivono non pensano che a muoversi. E le piante la chiamano città. L'ho abbandonata e son venuto a rifugiarmi in questo luogo pieno di mistero. -
- Benvenuto! (gli disse la fanciulla), io sono (e gli sorrise) l'Anima di questa sterminata foresta - (e lo baciò).
L'uomo si tolse allora i suoi calzari; ed affondò nel suolo profondo le radici.
(Da "Rudimentum")