domenica 9 giugno 2024

La poesia di Salvatore Quasimodo

 Salvatore Quasimodo (Modica 1901 – Napoli 1968) è uno di quei poeti importanti che si dovrebbero studiare a scuola; tale io me lo ricordo, non tanto perché ai tempi in cui ero studente vi furono delle lezioni scolastiche in cui si parlasse della sua poesia, bensì per una curiosità personale, che mi portò a sfogliare il libro di testo della materia “Lettere” quando frequentavo il liceo, ed a leggere alcuni versi del poeta siciliano; in particolare ricordo la brevissima lirica intitolata Ed è subito sera, che è anche tra le sue più celebri, o Alle fronde dei salici: testo che quando uscì, subito dopo la fine della 2° Guerra Mondiale, rappresentò qualcosa di straordinario per la letteratura italiana e non solo. Ma per capire in modo abbastanza esauriente come è nata e si è sviluppata la poesia di Quasimodo, ho pensato di trascrivere un frammento tratto dall’introduzione ad alcune poesie dello scrittore modicano, selezionate da Alberto Frattini e Pasquale Tuscano nell’antologia Poeti italiani del XX secolo:

 

Nel quadro dell’ermetismo, «corrente di punta» della nostra lirica novecentesca, Quasimodo, che alla fondazione di essa aveva dato un apporto determinante, costituisce un caso particolare, abnorme diremmo se peculiarità della poesia non fosse proprio la sua facoltà di rinnovarsi, imprevedibilmente, dal suo interno: muovendo infatti da un’esperienza di macerata introversione e intensa auscultazione dell’io profondo Quasimodo si apre, nel tempo del secondo conflitto mondiale, alle più drammatiche sollecitazioni della realtà e della storia: il suo sentimento, in un primo tempo ancora indifferenziato, «senso di tutte le cose insieme» (Solmi), e già intriso di una forte carica etico-religiosa, può allargarsi e immedesimarsi, così, nella tragedia dei molti, animandosi, in un linguaggio meno quintessenziato, delle più profonde tensioni civili e ideologiche che sollecitano l’uomo, dopo l’immane catastrofe, ad una radicale palingenesi.¹

 

E il poeta siciliano, proprio grazie alla sua seconda fase, caratterizzata da una poesia fortemente “impegnata”, trovò grandi consensi e notorietà, a tal punto da essere insignito, nel 1959, del Premio Nobel per la letteratura. Ma, attraverso gli anni, la sua poesia è stata dapprima rivalutata in peggio da diversi critici italiani, per poi essere ridimensionata e infine trascurata. Più considerazione, ancora oggi godono le sue notevoli e personalissime traduzioni dei “Lirici greci” (questo è il titolo di un suo memorabile volume) e di Virgilio.

Chiudo riportando l’elenco delle opere poetiche di Quasimodo, seguito da quattro poesie che a me piacciono particolarmente.

 

NOTE

1)     Da Poeti italiani del XX secolo, a cura di A. Frattini e P. Tuscano, Editrice La Scuola, Brescia 1974, p. 649.

 

 

Salvatore Quasimodo

 

Opere poetiche

 

“Acque e terre”, Edizioni di «Solaria», Firenze 1930.

“Oboe sommerso”, Edizioni di «Circoli», Genova 1932.

“Erato e Apòllion”, Scheiwiller, Milano 1938.

“Poesie”, Edizioni «Primi Piani», Milano 1939.

“Ed è subito sera”, Mondadori, Milano 1942.

“Con il piede straniero sopra il cuore”, Edizioni di «Costume», Milano 1946.

“Giorno dopo giorno”, Mondadori, Milano 1947.

“La vita non è sogno”, Mondadori, Milano 1949.

“Il falso e vero verde”, Schwarz, Milano 1954.

“La terra impareggiabile”, Mondadori, Milano 1958.

“Dare e avere”, Schwarz, Milano 1966.

 

 

 

Testi

 

 

SPECCHIO

 

Ed ecco sul tronco

si rompono gemme:

un verde più nuovo dell’erba

che il cuore riposa:

il tronco pareva già morto,

piegato sul botro.

 

E tutto mi sa di miracolo;

e sono quell’acqua di nube

che oggi rispecchia nei fossi

più azzurro il suo pezzo di cielo,

quel verde che spacca la scorza

che pure stanotte non c’era.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 27)

 

 

 

 

 ALLA NOTTE

 

Dalla tua matrice

io salgo immemore

e piango.

 

Camminano angeli, muti

con me; non hanno respiro le cose;

in pietra mutata ogni voce,

silenzio di cieli sepolti.

 

Il primo tuo uomo

non sa, ma dolora.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 56)

 

 

 

 

THÀNATOS ATHÀNATOS

 

E dovremo dunque negarti, Dio

dei tumori, Dio del fiore vivo,

e cominciare con un no all'oscura

pietra «io sono», e consentire alla morte

e su ogni tomba scrivere la sola

nostra certezza:

«thànatos athànatos»?

Senza un nome che ricordi i sogni

le lacrime i furori di quest'uomo

sconfitto da domande ancora aperte?

Il nostro dialogo muta; diventa

ora possibile l'assurdo. Là

oltre il fumo di nebbia, dentro gli alberi

vigila la potenza delle foglie,

vero è il fiume che preme sulle rive.

La vita non è sogno. Vero l'uomo

e il suo pianto geloso del silenzio.

Dio del silenzio, apri la solitudine.

 

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 158)




DARE E AVERE


Nulla mi dài, non dài nulla

tu che mi ascolti. Il sangue

delle guerre s’è asciugato,

il disprezzo è un desiderio puro

e non provoca un gesto

da un pensiero umano,

fuori dall’ora della pietà.

Dare e avere. Nella mia voce

c’è almeno un segno

di geometria viva,

nella tua, una conchiglia

morta con lamenti funebri.


(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 237)



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