Salvatore Quasimodo (Modica 1901 – Napoli 1968) è uno di quei poeti importanti che si dovrebbero studiare a scuola; tale io me lo ricordo, non tanto perché ai tempi in cui ero studente vi furono delle lezioni scolastiche in cui si parlasse della sua poesia, bensì per una curiosità personale, che mi portò a sfogliare il libro di testo della materia “Lettere” quando frequentavo il liceo, ed a leggere alcuni versi del poeta siciliano; in particolare ricordo la brevissima lirica intitolata Ed è subito sera, che è anche tra le sue più celebri, o Alle fronde dei salici: testo che quando uscì, subito dopo la fine della 2° Guerra Mondiale, rappresentò qualcosa di straordinario per la letteratura italiana e non solo. Ma per capire in modo abbastanza esauriente come è nata e si è sviluppata la poesia di Quasimodo, ho pensato di trascrivere un frammento tratto dall’introduzione ad alcune poesie dello scrittore modicano, selezionate da Alberto Frattini e Pasquale Tuscano nell’antologia Poeti italiani del XX secolo:
Nel quadro
dell’ermetismo, «corrente di punta» della nostra lirica novecentesca,
Quasimodo, che alla fondazione di essa aveva dato un apporto determinante,
costituisce un caso particolare, abnorme diremmo se peculiarità della poesia
non fosse proprio la sua facoltà di rinnovarsi, imprevedibilmente, dal suo
interno: muovendo infatti da un’esperienza di macerata introversione e intensa
auscultazione dell’io profondo Quasimodo si apre, nel tempo del secondo
conflitto mondiale, alle più drammatiche sollecitazioni della realtà e della
storia: il suo sentimento, in un primo tempo ancora indifferenziato, «senso di
tutte le cose insieme» (Solmi), e già intriso di una forte carica
etico-religiosa, può allargarsi e immedesimarsi, così, nella tragedia dei
molti, animandosi, in un linguaggio meno quintessenziato, delle più profonde
tensioni civili e ideologiche che sollecitano l’uomo, dopo l’immane catastrofe,
ad una radicale palingenesi.¹
E il poeta
siciliano, proprio grazie alla sua seconda fase, caratterizzata da una poesia
fortemente “impegnata”, trovò grandi consensi e notorietà, a tal punto da
essere insignito, nel 1959, del Premio Nobel per la letteratura. Ma, attraverso
gli anni, la sua poesia è stata dapprima rivalutata in peggio da diversi
critici italiani, per poi essere ridimensionata e infine trascurata. Più
considerazione, ancora oggi godono le sue notevoli e personalissime traduzioni
dei “Lirici greci” (questo è il titolo di un suo memorabile volume) e di
Virgilio.
Chiudo riportando
l’elenco delle opere poetiche di Quasimodo, seguito da quattro poesie che a me
piacciono particolarmente.
NOTE
1) Da Poeti italiani del XX secolo, a cura di
A. Frattini e P. Tuscano, Editrice La Scuola, Brescia 1974, p. 649.
Opere poetiche
“Acque e terre”,
Edizioni di «Solaria», Firenze 1930.
“Oboe sommerso”,
Edizioni di «Circoli», Genova 1932.
“Erato e
Apòllion”, Scheiwiller, Milano 1938.
“Poesie”,
Edizioni «Primi Piani», Milano 1939.
“Ed è subito
sera”, Mondadori, Milano 1942.
“Con il piede
straniero sopra il cuore”, Edizioni di «Costume», Milano 1946.
“Giorno dopo
giorno”, Mondadori, Milano 1947.
“La vita non è
sogno”, Mondadori, Milano 1949.
“Il falso e vero
verde”, Schwarz, Milano 1954.
“La terra
impareggiabile”, Mondadori, Milano 1958.
“Dare e avere”,
Schwarz, Milano 1966.
Testi
SPECCHIO
Ed ecco sul
tronco
si rompono gemme:
un verde più
nuovo dell’erba
che il cuore
riposa:
il tronco pareva
già morto,
piegato sul
botro.
E tutto mi sa di
miracolo;
e sono
quell’acqua di nube
che oggi
rispecchia nei fossi
più azzurro il
suo pezzo di cielo,
quel verde che
spacca la scorza
che pure stanotte
non c’era.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 27)
ALLA NOTTE
Dalla tua matrice
io salgo immemore
e piango.
Camminano angeli,
muti
con me; non hanno
respiro le cose;
in pietra mutata
ogni voce,
silenzio di cieli
sepolti.
Il primo tuo uomo
non sa, ma
dolora.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 56)
THÀNATOS
ATHÀNATOS
E dovremo dunque
negarti, Dio
dei tumori, Dio
del fiore vivo,
e cominciare con
un no all'oscura
pietra «io sono»,
e consentire alla morte
e su ogni tomba
scrivere la sola
nostra certezza:
«thànatos
athànatos»?
Senza un nome che
ricordi i sogni
le lacrime i
furori di quest'uomo
sconfitto da
domande ancora aperte?
Il nostro dialogo
muta; diventa
ora possibile
l'assurdo. Là
oltre il fumo di
nebbia, dentro gli alberi
vigila la potenza
delle foglie,
vero è il fiume
che preme sulle rive.
La vita non è
sogno. Vero l'uomo
e il suo pianto
geloso del silenzio.
Dio del silenzio,
apri la solitudine.
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 158)
DARE E AVERE
Nulla mi dài, non dài nulla
tu che mi ascolti. Il sangue
delle guerre s’è asciugato,
il disprezzo è un desiderio puro
e non provoca un gesto
da un pensiero umano,
fuori dall’ora della pietà.
Dare e avere. Nella mia voce
c’è almeno un segno
di geometria viva,
nella tua, una conchiglia
morta con lamenti funebri.
(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 237)
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