venerdì 21 giugno 2024

Cinque poesie di Renzo Pezzani

 Come ho già ribadito più volte, ad un certo punto della mia vita andai a rispolverare ed a riscoprire vecchi libri di scuola, che avevo accantonato in uno sgabuzzino pieno di cose inutili. Nei testi scolastici delle scuole elementari ritrovai i nomi di poeti dimenticati o quasi, alcuni dei quali avevano scritto soprattutto poesie per il pubblico infantile. Uno di questi poeti è Renzo Pezzani (Parma 1898 - Castiglione Torinese 1951). Il suo nome, oggi, è poco ricordato; di lui, al massimo, vengono considerate le raccolte poetiche in dialetto parmense. Eppure, se - come ho fatto io - qualcuno volesse leggere le altre opere in versi di Pezzani, scoprirebbe un buon poeta. Ciò che colpisce maggiormente, nella poesia di Pezzani, è la disarmante semplicità (che a volte si tramuta in vera e propria ingenuità), così come un sincero amore - che scaturisce da una salda fede cristiana - rivolto a tutte le creature più inermi e delicate della terra. In effetti, quando era ancora in età giovanile, lo scrittore parmense ebbe degli elogi da illustri critici letterari, ed il suo nome era quasi sempre presente nelle antologie della migliore poesia italiana del XX secolo. Soltanto dopo che morì, la fama del Pezzani, seppur lentamente, andò scemando, fino a che la sua opera poetica in italiano fu praticamente ignorata da tutti. Oggi, a mio parere, andrebbe rivalutata in positivo, magari prendendo in considerazione soltanto alcune raccolte che furono fondamentali per le antologie scolastiche di quasi un secolo or sono. Da tali raccolte, che, all'incirca vanno da Angeli verdi (1932) a Innocenza (1950), ho estratto cinque poesie attestanti quanto detto sopra. 


Renzo Pezzani




IL FICO


Questo che piange lacrime di miele

e oltre i muri lo si vede sporto

abitatore placido dell'orto

e della casa vigile e fedele;


aspro di foglia e tenero di legno,

è il fico, che dà i bei frutti carnosi

che piacciono anche ai bimbi non golosi.

L'ape l'ha scelto a luogo di convegno.


Macchia d'un verde cupo il più appartato

cantuccio d'orto e muro di cascina.

T'offre il fico da fronda sì vicina

che pare un buon gigante inginocchiato.


(da "Angeli verdi", SEI, Torino 1932, pp. 91-92)





RONDINE PELLEGRINA


Ecco la rondine pellegrina

dono improvviso della mattina.

Emigrante che torna senza fortuna

orna la mia casa d'innocenza

come l'orlo d'una cuna.


Sei tu, sempre tu, rondine mia,

formicola insonne dell'aria,

operaia di poesia;

sei tu la fante del cielo

col grembiule di percalle bianco

sulla veste di nero satin,

e le chiavi del paradiso al fianco.


Sei tu l'Angelo della primavera sempiterna

che l'agile testa sporgi dal nido

come la vampa da una lucerna.


O infermiera dei mali arcani,

consolatrice, sorella:

sei tu che metti e spegni la mia stella

ne' benedetti cieli antelucani.


Ora prego il Signore

che dalla morte ti scampi

poi che cammini sul sentiero dei lampi;

e non si perda l'evviva

del tuo celeste messaggio,

fiore in bocca alla vita,

ambasciatrice di maggio.


(da "Sole, solicello", La Scuola, Brescia 1933, pp. 12-13)





AGNELLO

 

Nessuno ti pettina i ricci,

nessuno ti bacia sul muso,

la mamma è partita dal chiuso,

sei piccolo e senza capricci.


L’erbetta più tenera e fine

la cerchi nel prato da te;

si sente tremare il tuo bee

per vaste pianure e colline.


Per quel campanello che scuoti

le valli non sono più mute;

la terra imbandita di rute

riporti ad incanti remoti.


Guidato a più libera altura

tra boschi, torrenti e perigli,

mio piccolo agnello somigli

un poco di neve che dura.


E se questo sole d’aprile

sciogliesse te in limpido corso,

il mare sarebbe il tuo ovile

ma io vorrei berti d’un sorso;


portarti, innocenza, con me,

al suono del tuo campanello

mio piccolo, bianco fratello

che preghi il Signore col bee.


(da "Belverde", SEI, Torino 1935, pp. 115-116)





PREGHIERA PER IL MINATORE


Signore, mio Signore,

proteggi il minatore.


Come formicola sulla terra

egli scende a cercar metalli,

carboni, sali, cristalli.

Porta un lume in tenebria

ghermisce roccia e lava;

con l'unghia s'apre la via,

col piccone scava.


Signore, mio Signore,

per lui non ride giorno né fiore:

per questo nostro povero fratello

mai che si fermi a cantare un uccello,

mai che una mano gli terga il sudore,

tanto è lontano dal mondo, Signore.


Dietro la roccia compatta e tremenda

mai che una gioia per lui risplenda;

solo la morte gli tocca la faccia

quando la frana ruinando lo schiaccia.


Tieni, o Signore, su lui l'occhio fisso;

scendi, o Signore, con lui nell'abisso.

Egli ha la madre, la sposa, i suoi figli,

solo per essi va incontro ai perigli.


Per l'uomo minatore

ti prego, mio Signore.


(da "Il fuoco dei poveri", Società Editrice "La Scuola", Brescia 1939, pp. 43-44)





FELICITÀ


Il grillo salta

da un’erba a uno spino.

Quando la notte sarà nel giardino

tutta la gente cantare l’udrà.


Salta l’agnello

fa mille capricci

ma mentre salta gli ride tra i ricci

un campanello di felicità.


Salta il capretto

ma più non ritorna

da quella nuvola. Mette le corna,

diventa luna sottile che va.


Salta il poledro

nitrisce contento.

Senza la sella galoppa col vento,

senza la briglia chissà dove andrà.


(da "Innocenza", Società Editrice Internazionale, Torino 1950, p. 12)


Nessun commento:

Posta un commento