lunedì 17 giugno 2024

Due bellissime poesie dei tempi della scuola

 Pianto antico di Giosuè Carducci (Valdicastello 1835 - Bologna 1907) e Il gelsomino notturno di Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna 1855 - Bologna 1912) sono due poesie molto famose, che, ai tempi in cui io ero studente (ma sicuramente anche prima), era facilissimo trovare fra le pagine dei testi scolastici delle scuole medie inferiori e superiori. La prima, che il poeta toscano dedicò al figlioletto Dante prematuramente scomparso, la imparai a memoria - probabilmente già alle elementari - e mi rimase nella mente per decenni. La poesia di Pascoli, invece, la scoprii molto più tardi, andando a rileggere proprio uno di quei vecchi libri di scuola accantonati da qualche parte per anni e anni. Giustamente, è considerata un capolavoro della poesia italiana di tutti i tempi, ed è anche, citando il critico Giuseppe Nava (1937-2019), "uno dei risultati più nuovi e maturi del simbolismo pascoliano".




PIANTO ANTICO

di Giosuè Carducci 


L'albero a cui tendevi

La pargoletta mano,

Il verde melograno

Da' bei vermigli fior,


Nel muto orto solingo

Rinverdì tutto or ora

E giugno lo ristora

Di luce e di calor.


Tu fior de la mia pianta

Percossa e inaridita,

Tu de l'inutil vita

Estremo unico fior,


Sei ne la terra fredda,

Sei ne la terra negra;

Né il sol più ti rallegra

Né ti risveglia amor.


1871


(da "Poesie scelte", Mondadori, Milano 1992, p. 105)





IL GELSOMINO NOTTURNO

di Giovanni Pascoli (1855-1912)


E s'aprono i fiori notturni,

nell'ora che penso a' miei cari.

   Sono apparse in mezzo ai viburni

   le farfalle crepuscolari.


Da un pezzo si tacquero i gridi:

là sola una casa bisbiglia.

   Sotto l'ali dormono i nidi,

   come gli occhi sotto le ciglia.


Dai calici aperti si esala

l'odore di fragole rosse.

   Splende un lume là nella sala.

   Nasce l'erba sopra le fosse.


Un'ape tardiva sussurra

trovando già prese le celle.

   La Chioccetta per l'aia azzurra

   va col suo pigolìo di stelle.


Per tutta la notte s'esala

l'odore che passa col vento.

   Passa il lume su per la scala;

   brilla al primo piano: s'è spento...


È l'alba: si chiudono i petali

un poco gualciti; si cova,

   dentro l'urna molle e segreta,

   non so che felicità nuova.


(da "Canti di Castelvecchio", Rizzoli, Milano 1993, p. 246) 


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