domenica 30 giugno 2024

Antologie: "Melodie della terra"

 Melodie della terra è il titolo di un’ampia antologia poetica curata da Plinio Perilli e pubblicata dall’editore Crocetti di Milano nel 1997. Il sottotitolo: Novecento e natura (a cui si dovrebbe aggiungere un terzo titolo: Il sentimento cosmico nei poeti italiani del nostro secolo, presente nella prima pagina del volume, spiega meglio il contenuto di questa antologia che è, quindi, “tematica”, come dice lo stesso curatore nell’Avvertenza (pag. 6); qui, Perilli precisa che l’opera non può definirsi conclusa, poiché restano possibili delle aggiunte future; ecco, a tal proposito, un frammento della stessa:

 

[…] Antologizzare infatti una brillante e moderna serie di poeti della Natura, di liriche sulla Natura e sul sentimento rapinoso e misterico del Cosmo (dagli autori maggiori che aprono il nostro secolo, Pascoli, D’Annunzio, Gozzano, Govoni, Palazzeschi, Ungaretti… fino alle nuove care presenze e voci contemporanee), non significa – si badi bene! – un ovvio, casuale elenco di poesie sugli alberi, i mari, i fiumi, i fiori, i tramonti o i gabbiani! Ma piuttosto adempire e rintracciare in tanti ideali e destini creativi una matrice forte, un radicato denominatore comune, ispirato e potenziato dallo specchio interiore o dall’esempio concreto, dalla presenza amplissima e quotidiana della Natura cui apparteniamo, obbediamo.

 

Per quanto invece concerne la scelta dei testi antologizzati, il curatore dice:

 

La scelta dei testi, ovviamente, ha un mero valore esemplificativo in rapporto alla poetica e al punto di vista “naturistico” del singolo autore. Altrimenti, in proporzione al maggior peso storico, quante pagine sarebbero spettate a Pascoli o D’Annunzio, Ungaretti o Montale, eccetera? Conta, insomma, la citazione scelta, l’exemplum lirico, la variegata campionatura, il differente tono della voce… Più vasta e argomentante la disamina contemporanea, anzi attualissima: tutti gli autori, per la stragrande maggioranza in piena attività, miglior documento, e in progress, dell’inquieta temperie del presente.

 

In effetti, il libro ha le caratteristiche di un vastissimo repertorio della poesia “naturistica” italiana novecentesca, che però, a mio parere, trascura decisamente il primo trentennio del secolo, mentre privilegia l’ultimo. Ciononostante, l’opera antologica risulta assai interessante, dall’introduzione a tutte le restanti parti, siano esse prettamente antologiche o esclusivamente critiche; in queste ultime, il lettore ha la possibilità di scoprire una grande quantità di poeti spesso poco valutati o scarsamente ricordati, e, di conseguenza, ha anche l’opportunità di approfondire ulteriormente la loro conoscenza.

Il volume, di 574 pagine, possiede una precisa struttura: tre principali sezioni che portano il titolo delle fasi del giorno (simbolizzanti le parti del XX secolo): ALBA, MEZZOGIORNO, TRAMONTO; fa seguito, a chiusura, un’APPENDICE. Le sezioni, a loro volta, si dividono in varie sottosezioni o paragrafi, dai titoli assai fantasiosi, in cui la parte antologica è sempre preceduta da una sorta di presentazione; anche prima dei versi dei poeti antologizzati, si può leggere una breve dissertazione che li riguarda, in cui possono comparire i nomi di altri poeti strettamente collegati per età e per affinità poetica (con brevi citazioni dei loro versi). Una di queste sottosezioni, è dedicata esclusivamente ai poeti dialettali. Per quel che concerne l’APPENDICE, essa si sostanzia in una sola, lunga sottosezione, in cui vengono raggruppati – con molte citazioni in versi – i poeti delle ultime generazioni del Novecento esclusi dalla selezione antologica. Ecco, infine, tutti i nomi dei poeti antologizzati, e delle sezioni o sottosezioni in cui sono incasellati.

 

 

MELODIE DELLA TERRA. Novecento e natura

 




ALBA

 

1)     “Terrestrità del sole”

Primo Novecento alba e crepuscolo

 

Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Guido Gozzano, F. T. Marinetti, Dino Campana, Arturo Onofri, Clemente Rebora, Corrado Govoni, Giovanni Papini, Piero Jahier, Aldo Palazzeschi, Vincenzo Cardarelli, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro, Ada Negri, Sibilla Aleramo

 

2)     “Odore di eucalyptus”

Parabole ermetiche

Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo

 

3)     “Il moto delle cime”

Altri ermetismi

Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Piero Bigongiari, Tommaso Landolfi, Lucio Piccolo, Lorenzo Calogero

 

4)     “Le valli azzurre”

Surrealismi d’idilli

Carlo Betocchi, Sergio Solmi, Diego Valeri, Giorgio Vigolo, Adriano Grande, Sandro Penna, Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Libero De Libero, Guglielmo Petroni, Antonia Pozzi, Daria Menicanti, Fernanda Romagnoli

 

5)     “Le stelle cadono accese”

Poeti/Artisti

Ardengo Soffici, Scipione, Luigi Bartolini, Filippo De Pisis

 

 

MEZZOGIORNO

 

6)     “Margherite e rosolacci”

I fiori del realismo

Cesare Pavese, Rocco Scotellaro, Carlo Levi

 

7)     “Sono povere foglie”

Microcosmi e dialetti

Giuseppe Pacotto, Eugenia Martinet, Delio Tessa, Franco Loi, Franca Grisoni, Virgilio Giotti, Biagio Marin,     Giacomo Noventa, Ernesto Calzavara, Pier Paolo Pasolini, Amedeo Giacomini, Edoardo Firpo, Cesare Vivaldi, Paolo Bertolani, Cesare Zavattini, Tonino Guerra, Raffaello Baldini, Tolmino Baldassari, Franco Scataglini, Gabriele Ghindoni, Antonio Carlo Ponti, Trilussa, Mario Dell’Arco, Vittorio Clemente, Eugenio Cirese, Salvatore Di Giacomo, Tommaso Pignatelli, Achille Serrao, Nicola G. De Donno, Dante Maffia, Albino Pierro, Francesco Guglielmino, Vann’Antò, Ignazio Buttitta, Nino De Vita, Pietro Mura, Salvatore Casu, Francesco Masala, Ignazio Delogu

 

8)     “Se la materia può risponderci” …

Lezioni di fisica e Galatei in bosco…

Vittorio Sereni, Franco Fortini, Andrea Zanzotto, Elio Pagliarani, Nelo Risi, Luciano Erba, Giorgio Orelli, Umberto Bellintani, Roberto Roversi, Paolo Volponi, David Maria Turoldo, Danilo Dolci, Giovanni Testori, Primo Levi, Anna Maria Ortese, Margherita Guidacci, Maria Luisa Spaziani, Cristina Campo, Giovanna Bemporad, Elio Filippo Accrocca, Bartolo Cattafi, Giovanni Giudici, Angelo M. Ripellino, Giuseppe Bonaviri, Guido Ceronetti, Fernando Bandini, Giovanni Raboni, Emilio Villa, Edoardo Cacciatore, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Antonio Porta, Amelia Rosselli, Alda Merini

 

 

TRAMONTO

 

9)     “La rinascita delle Grazie”

Neomiti e orfismi contemporanei

Giuseppe Conte, Milo De Angelis, Mario Baudino, Roberto Mussapi, Enzo Di Mauro, Rosita Copioli, Roberto Carifi, Maura Del Serra, Nadia Campana, Alessandro Ceni, Beppe Salvia, Remo Pagnanelli, Marco Tornar

 

10)  “I luoghi persi”

Realismi lirici e riti di memoria

Umberto Piersanti, Nico Orengo, Fabio Doplicher, Tommaso Lisi, Pier Luigi Bacchini, Cristanziano Serricchio, Tommaso Di Ciaula, Vito Riviello, Dario Bellezza, Elio Pecora, Renzo Paris, Francesco Serrao, Claudio Damiani, Marco Lodoli, Michele Sovente, Antonio Facchin, Luigi Fontanella, Domenico Adriano, Ennio Cavalli, Fabio Pusterla, Antonio Riccardi

 

11)  “Nature e venature”

Giardini freddi e lirismi concettuali

Franco Cordelli, Giampiero Neri, Camillo Pennati, Silvio Ramat, Maurizio Cucchi, Valentino Zeichen, Gregorio Scalise, Renato Minore, Francesco P. Memmo, Gianfranco Ciabatti, Valerio Magrelli, Paolo Ruffilli, Eugenio De Signoribus, Marina Pizzi, Daniela Marcheschi, Armando Patti, Daniele Bollea, Fernando Acitelli

 

12)  “Nostalgia dell’acqua”

Voci e incanti di donna

Luciana Frezza, Gabriella Leto, Jolanda Insana, Mariella Bettarini, Donatella Bisutti, Biancamaria Frabotta, Anna Cascella, Vivian Lamarque, Patrizia Cavalli, Giovanna Sicari, Valeria Rossella, Laura Canciani, Maria Clelia Cardona, Liliana Ugolini, Marcella Corsi, Patrizia Valduga, Giulia Perroni, Luciana Notari, Paola Zampini, Antonella Anedda, Anna Maria Farabbi

 

 

APPENDICE

 

  “Le notizie dei venti”

  Altri percorsi. Più esperte o nuove poetiche, ricche voci salienti

 

domenica 23 giugno 2024

Poeti dimenticati: Giuseppe Manni

 Nacque a Firenze 1844 e ivi morì nel 1923. La svolta della sua vita avvenne a 24 anni, quando divenne frate scolopio. La passione per la poesia lo accompagnò per tutta la vita, come dimostra la sua copiosa vena poetica, evidenziata nei volumi che andò pubblicando negli anni, compresi quelli della vecchiaia. Fu un carducciano sui generis, perché abolì quella sorta di paganesimo presente nei versi del poeta toscano, in favore di un'ispirazione cristiana (e in questa peculiarità mostrò anche una certa vicinanza con la poesia di Giacomo Zanella). Come affermò il critico G. A. Pellegrinetti, il meglio della sua opera in versi, non risiede nelle liriche religiose e patriottiche, ma in quelle più umili, magari ispirate da amori giovanili, da paesaggi incantevoli o da piccole gioie quotidiane.

 

 

Giuseppe Manni in un bassorilievo di Dante Sodini

 

Opere poetiche

 

"Rime", Chiesi, Firenze 1884.

"Rime", nuova ed. aumentata, Le Monnier, Firenze 1900.

"Nuove rime", Le Monnier, Firenze 1903.

"Novissima", Le Monnier, Firenze 1917.

"Poesie scelte", Le Monnier, Firenze 1924.

 

 

 

Presenze in antologie

 

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 216-218).

"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 1175-1178).

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 392-395).

"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 126-128).

"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. IV, pp. 217-224).

"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp.392-395).

 

 

 

Testi

 

 

IL MARE

PER ALBUM

 

Se da contrari venti

turbato il mar s'annera e sopra il flutto

cresce mugghiando il flutto;

io, da 'l colle ove sorge

bianca, Alfredo, la tua villa ospitale,

guardo con fronte mesta

la superba tempesta,

e fra me dico: tale

è la vita mortale.

 

Se tace ogni aura intorno e l'onda posa,

ugual, silenziosa

fin laggiù dove arriva

la vista, e dove a l'acque il cielo è riva;

allora, riguardando, a poco a poco

neir animo rapito

ogni pensier si tace:

navigo in sogno verso l'infinito,

sento l'eterna pace.

 

(da "Rime", Le Monnier, Firenze 1900, pp. 30-31)

 

 

 

 

OTTOBRE

 

Amo il pallido Ottobre. E nel pensoso

suo volto l'ombra di chi piange morti

i suoi tempi felici, e di conforti

schivo s'attende all'ultimo riposo.

 

Con lui s'attristan sotto il nuvoloso

cielo i casali nella nebbia assorti,

mentre pensan l'inverno immoti e smorti

gli alberi lungo il piano accidioso.

 

Amo l'Ottobre, ché somiglia il mio

al suo costume: anch'io veggo finita

per sempre ahimè! l'estate della vita,

 

e solo nelle malinconiose

giornate, in mezzo al pianto delle cose

penso la pace del sepolcro e Dio.

 

(da "Nuove rime", Le Monnier, Firenze 1903, p. 71)

 

sabato 22 giugno 2024

Due sonetti di Cosimo Giorgieri Contri

 Cosimo Giorgieri Contri (Lucca 1872 - Viareggio 1943) è un poeta oggi del tutto dimenticato; però, visto che gli ho già dedicato un post proprio in questo blog, non è tanto della sua poesia che qui voglio parlare, quanto di come nacque il mio interesse verso le sue opere in versi, e di come un po' alla volta riuscii nell'impresa di reperire gran parte delle sue composizioni poetiche. Circa trent'anni fa, leggendo alcune parti di volumi antologici e di saggi critici, mi accorsi che il suo nome ricorreva, in particolare quando si parlava dei poeti crepuscolari (il Giorgieri Contri veniva additato come uno dei precursori); nei dizionari di letteratura italiana e nelle enciclopedie universali, era sì possibile trovare il suo nome (tra l'altro, con la data di nascita errata), ma di lui c'era poco altro: il fatto che avesse anticipato i temi cari ai poeti crepuscolari, qualche titolo delle sue raccolte in versi e dei suoi romanzi. Incuriosito da questa trascuratezza, volli approfondire la sua conoscenza. Inizialmente faticai non poco a trovare - magari in qualche vecchia antologia - almeno una poesia dello scrittore toscano; i primi versi che, finalmente, riuscii a leggere, si trovano nel volume Dal simbolismo al deco (Einaudi, Torino 1981): bellissima antologia realizzata dal critico Glauco Viazzi. Qualche anno dopo, acquistai la raccolta Il convegno dei cipressi ed altre poesie (Zanichelli, Bologna 1922): una riproposizione, a distanza di quasi trent'anni dalla prima uscita, del libro di versi più famoso di Giorgieri Contri, seguito da una serie di ulteriori poesie inedite o quasi. In seguito comperai altri volumi poetici di Giorgieri: La donna del sogno (Lattes, Torino 1905); una ristampa anastatica di Primavere del desiderio e dell'oblio (Lattes, Torino 1903) e Mirti in ombra (Casanova, Torino 1913). Ormai credevo di avere a mia disposizione - a parte la raccolta d'esordio Versi tristi (Pozzo, Torino 1887), l'intera opera poetica dello scrittore lucchese. Poco tempo dopo compresi che leggere tutte le poesie di Giorgieri Contri era impossibile; ciò avvenne quando cominciai a sfogliare - virtualmente s'intende - alcuni periodici e riviste letterarie della seconda metà dell'Ottocento e dalla prima metà del Novecento: numerosissime erano infatti le pagine in cui compariva il suo nome, seguito da suoi versi; ovviamente, alcune di queste poesie sparse entrarono a far parte delle raccolte che ho citato, ma ve ne sono un numero cospicuo che non risultano pubblicate in volume. Poco tempo fa ebbi modo di leggere anche la versione "ebook" della raccolta più famosa di Giorgieri: Il convegno dei cipressi (Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894). Così scoprii che nella riproposizione di tale raccolta, edita, come detto, nel 1922, vi erano delle modifiche ai testi e, soprattutto, dei tagli di alcuni componimenti poetici apportati dall'autore. Ecco, per finire, due sonetti da me trascritti, tratti dalla versione originale di Il convegno dei cipressi, non più riproposti da Giorgieri Contri. 




SIBI EI FECIT


Addio. Perdonerete voi, Maria,

se penetrai la vostra anima, è vero?

Fu cotesto amor mio tanto severo,

tanto, e fu puro come un'agonia.


Io non vedrò già mai sotto il vel nero

fiorir la fronte: io non terrò la pia

man che sognai, serrata entro la mia...

Torno all'ombra, Maria, torno al mistero.


Né potrò più sognarvi io, nelle quete

fini d'autunno, errar meco pei piani

roggi da un riso limpido tenuti.


Non vi vedrò io mai sparir pei muti

viali: ahimè le vostre ignote mani

han nelle palme già l'acqua del Lete.


(da "Il convegno dei cipressi", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894, p. 36)





IL CANTO DEL GALLO

                                             (Ed. Haraucourt.)


Per la dolce notturna aura silente

muove la luna in sue candide forme:

e ingannato dal lume, al dì conforme,

cantare un gallo via pel pian si sente.


Allor nel gran silenzio e nell'enorme

quiete dell'ora, giù, lentamente,

voci di gallo arrivano repente

e par dican: Siam qua: noi non si dorme.


Tal se improvviso un duolo alza il suo grido,

dagli abissi del cuore ampii dormenti,

come un gallo alla luna il rauco strido,


di qua, di là, giungon le voci a torme,

fioche querule lunghe alte dolenti:

siamo qua, siamo qua: noi non si dorme.


(da "Il convegno dei cipressi", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894, p. 101)

venerdì 21 giugno 2024

Cinque poesie di Renzo Pezzani

 Come ho già ribadito più volte, ad un certo punto della mia vita andai a rispolverare ed a riscoprire vecchi libri di scuola, che avevo accantonato in uno sgabuzzino pieno di cose inutili. Nei testi scolastici delle scuole elementari ritrovai i nomi di poeti dimenticati o quasi, alcuni dei quali avevano scritto soprattutto poesie per il pubblico infantile. Uno di questi poeti è Renzo Pezzani (Parma 1898 - Castiglione Torinese 1951). Il suo nome, oggi, è poco ricordato; di lui, al massimo, vengono considerate le raccolte poetiche in dialetto parmense. Eppure, se - come ho fatto io - qualcuno volesse leggere le altre opere in versi di Pezzani, scoprirebbe un buon poeta. Ciò che colpisce maggiormente, nella poesia di Pezzani, è la disarmante semplicità (che a volte si tramuta in vera e propria ingenuità), così come un sincero amore - che scaturisce da una salda fede cristiana - rivolto a tutte le creature più inermi e delicate della terra. In effetti, quando era ancora in età giovanile, lo scrittore parmense ebbe degli elogi da illustri critici letterari, ed il suo nome era quasi sempre presente nelle antologie della migliore poesia italiana del XX secolo. Soltanto dopo che morì, la fama del Pezzani, seppur lentamente, andò scemando, fino a che la sua opera poetica in italiano fu praticamente ignorata da tutti. Oggi, a mio parere, andrebbe rivalutata in positivo, magari prendendo in considerazione soltanto alcune raccolte che furono fondamentali per le antologie scolastiche di quasi un secolo or sono. Da tali raccolte, che, all'incirca vanno da Angeli verdi (1932) a Innocenza (1950), ho estratto cinque poesie attestanti quanto detto sopra. 


Renzo Pezzani




IL FICO


Questo che piange lacrime di miele

e oltre i muri lo si vede sporto

abitatore placido dell'orto

e della casa vigile e fedele;


aspro di foglia e tenero di legno,

è il fico, che dà i bei frutti carnosi

che piacciono anche ai bimbi non golosi.

L'ape l'ha scelto a luogo di convegno.


Macchia d'un verde cupo il più appartato

cantuccio d'orto e muro di cascina.

T'offre il fico da fronda sì vicina

che pare un buon gigante inginocchiato.


(da "Angeli verdi", SEI, Torino 1932, pp. 91-92)





RONDINE PELLEGRINA


Ecco la rondine pellegrina

dono improvviso della mattina.

Emigrante che torna senza fortuna

orna la mia casa d'innocenza

come l'orlo d'una cuna.


Sei tu, sempre tu, rondine mia,

formicola insonne dell'aria,

operaia di poesia;

sei tu la fante del cielo

col grembiule di percalle bianco

sulla veste di nero satin,

e le chiavi del paradiso al fianco.


Sei tu l'Angelo della primavera sempiterna

che l'agile testa sporgi dal nido

come la vampa da una lucerna.


O infermiera dei mali arcani,

consolatrice, sorella:

sei tu che metti e spegni la mia stella

ne' benedetti cieli antelucani.


Ora prego il Signore

che dalla morte ti scampi

poi che cammini sul sentiero dei lampi;

e non si perda l'evviva

del tuo celeste messaggio,

fiore in bocca alla vita,

ambasciatrice di maggio.


(da "Sole, solicello", La Scuola, Brescia 1933, pp. 12-13)





AGNELLO

 

Nessuno ti pettina i ricci,

nessuno ti bacia sul muso,

la mamma è partita dal chiuso,

sei piccolo e senza capricci.


L’erbetta più tenera e fine

la cerchi nel prato da te;

si sente tremare il tuo bee

per vaste pianure e colline.


Per quel campanello che scuoti

le valli non sono più mute;

la terra imbandita di rute

riporti ad incanti remoti.


Guidato a più libera altura

tra boschi, torrenti e perigli,

mio piccolo agnello somigli

un poco di neve che dura.


E se questo sole d’aprile

sciogliesse te in limpido corso,

il mare sarebbe il tuo ovile

ma io vorrei berti d’un sorso;


portarti, innocenza, con me,

al suono del tuo campanello

mio piccolo, bianco fratello

che preghi il Signore col bee.


(da "Belverde", SEI, Torino 1935, pp. 115-116)





PREGHIERA PER IL MINATORE


Signore, mio Signore,

proteggi il minatore.


Come formicola sulla terra

egli scende a cercar metalli,

carboni, sali, cristalli.

Porta un lume in tenebria

ghermisce roccia e lava;

con l'unghia s'apre la via,

col piccone scava.


Signore, mio Signore,

per lui non ride giorno né fiore:

per questo nostro povero fratello

mai che si fermi a cantare un uccello,

mai che una mano gli terga il sudore,

tanto è lontano dal mondo, Signore.


Dietro la roccia compatta e tremenda

mai che una gioia per lui risplenda;

solo la morte gli tocca la faccia

quando la frana ruinando lo schiaccia.


Tieni, o Signore, su lui l'occhio fisso;

scendi, o Signore, con lui nell'abisso.

Egli ha la madre, la sposa, i suoi figli,

solo per essi va incontro ai perigli.


Per l'uomo minatore

ti prego, mio Signore.


(da "Il fuoco dei poveri", Società Editrice "La Scuola", Brescia 1939, pp. 43-44)





FELICITÀ


Il grillo salta

da un’erba a uno spino.

Quando la notte sarà nel giardino

tutta la gente cantare l’udrà.


Salta l’agnello

fa mille capricci

ma mentre salta gli ride tra i ricci

un campanello di felicità.


Salta il capretto

ma più non ritorna

da quella nuvola. Mette le corna,

diventa luna sottile che va.


Salta il poledro

nitrisce contento.

Senza la sella galoppa col vento,

senza la briglia chissà dove andrà.


(da "Innocenza", Società Editrice Internazionale, Torino 1950, p. 12)


giovedì 20 giugno 2024

Due poesie di Guido Botta

 Lo scrittore e critico letterario Enrico Falqui (1901-1974), nel 1956 diede alle stampe un corposo volume che definirei fondamentale nell'ambito della poesia italiana del secondo dopoguerra. Io, diversi anni or sono, acquistai la 2° edizione di quest'opera, uscita nel 1957 presso la Casa Editrice Carlo Colombo di Roma. Tale volume s'intitola La giovane poesia, e comprende un interessantissimo saggio di Falqui, seguito da una parte prettamente antologica, in cui vengono selezionati versi di 140 poeti italiani nati tra il 1915 ed il 1936. Quindi, nella parte intitolata Bibliografia, il lettore trova un elenco di saggi critici e di antologie relative all'argomento trattato; nella terza parte di questa sezione, col titolo di Autori, vengono elencati ben 282 poeti (compresi gli antologizzati) rientranti nelle date limite di nascita tenute presenti nella parte antologica. Leggendo quest'ultimo elenco, ho preso in considerazione altri poeti che conoscevo poco o nulla; di loro ho cercato, nei cataloghi delle librerie antiquarie italiane, alcuni volumi poetici, non sempre citati dal Falqui per ragioni cronologiche. Guido Botta è uno di questi poeti; le notizie che lo riguardano, almeno in rete, sono pochissime: nacque a Napoli nel 1918, e pubblicò diverse opere in versi e in prosa. Ignoro la data della sua morte (sempre ammesso che non ci sia più). Leggendo le due raccolte da me acquistate, ho dedotto che il suo fare poetico è senz'altro da segnalare; ecco, allora, due poesie dello scrittore napoletano ingiustamente caduto nell'oblio. 


Guido Botta




TORPORE


Odio ciò che finisce. Odio ogni suono

che si spegne, ogni lagrima che si asciuga,

ogni fiore che invecchia; odio ogni ruga

che segna un volto, ogni pensiero buono


che si corrompe, ogni ora che dilegua

ogni breve momento di dolcezza

perduta, e il vuoto che non dà più tregua,

quando il cuore s'ingolfa. Amara ebbrezza, 


rammentarsi d'un luogo, dire un nome,

svegliare un sentimento intorpidito……

È un giuoco astratto. Tu non l'ami. Tu


sei fatta per portare all'infinito

un inganno crudele. Non sai come

uscirne, o forse non vuoi uscirne più.


(da "Limbo ad oriente", Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1957, p. 55)





FELICITÀ


Com'è breve il cammino

della felicità: ti sfiora,

appena un tòcco, ed è via.

Ti volgi a guardarla. È sparita

nel giro di un giorno di un'ora.

Eppure, passando vicino,

ti brucia, ti lascia un segno

indelebile: il dolore.

Un attimo e sei arso. Come pegno

ti resta tutta la vita

e dolore, dolore, dolore.


(da "Disamore in diesis", Rebellato, Padova 1960, p. 21)

martedì 18 giugno 2024

Le ortensie in una poesia di Vittorio Sereni

 Le ortensie sono piante di una bellezza ineguagliabile, che fioriscono dall'inizio di giugno fino all'autunno inoltrato. Mia madre, che amava quasi alla follia i fiori, ne aveva piantate un paio nel nostro giardino di casa. Le ricordo ancora perfettamente, malgrado siano trascorsi più di quarant'anni. Certo, io non ho mai amato come lei il giardinaggio ed i fiori (grande fu il suo rammarico per questo motivo), però non posso dimenticare la bellezza di quelle piante che la mamma sapeva curare in modo perfetto. Ora, ogni volta che mi succede di vedere, in qualche luogo, delle ortensie bellissime (ed è accaduto anche di recente), mi è giocoforza ripensare a lei, e alle "sue" ortensie dai colori delicati eppur splendenti.

Anche la poesia senza titolo che ho trascritto di seguito a questo preambolo parla di ortensie; è di Vittorio Sereni (Luino 1913 - Milano 1983) e fu pubblicata nella raccolta d'esordio dello scrittore lombardo: Frontiera (Edizioni di «Corrente», Milano 1941); in realtà, tutte le cinque poesie - compresa questa - che fanno parte della sezione Versi a Proserpina, furono aggiunte al volume citato soltanto in una ristampa del 1966 (All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1966), pur risalendo agli anni immediatamente successivi alla pubblicazione di Frontiera. In questi versi le ortensie divengono simili agli esseri umani, e, come loro, sono in grado di parlare; così avvertono il poeta che una figura femminile non precisata - ma certamente cara al poeta -, tale Proserpina (il nome è fittizio o simbolico), è partita dal luogo dove i due hanno vissuto per un periodo assieme. Tale dipartita ha conseguenze negative sul paesaggio circostante che, anche a causa dell'ormai declinante stagione estiva, improvvisamente assume i primi aspetti dell'autunno, manifestantisi in pioggia e umidità. Secondo me è - in assoluto - una delle più belle poesie di Sereni.




[DICONO LE ORTENSIE]


Dicono le ortensie:

- è partita stanotte 

e il buio paese s'è racchiuso

dietro la lanterna 

che guidava i suoi passi - 

dicono anche: - è finita l'estate, è morta in lei 

e niente ne sapranno i freddi 

verdi astri d'autunno -.

Un cane abbaiava all'ora fonda

alla pioggia all'ombra del mulino 

e la casa il giardino

si vela di leggera umidità.


(da "Frontiera. Diario d'Algeria", Guanda, Parma 2013, pp. 205-207)


lunedì 17 giugno 2024

Due bellissime poesie dei tempi della scuola

 Pianto antico di Giosuè Carducci (Valdicastello 1835 - Bologna 1907) e Il gelsomino notturno di Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna 1855 - Bologna 1912) sono due poesie molto famose, che, ai tempi in cui io ero studente (ma sicuramente anche prima), era facilissimo trovare fra le pagine dei testi scolastici delle scuole medie inferiori e superiori. La prima, che il poeta toscano dedicò al figlioletto Dante prematuramente scomparso, la imparai a memoria - probabilmente già alle elementari - e mi rimase nella mente per decenni. La poesia di Pascoli, invece, la scoprii molto più tardi, andando a rileggere proprio uno di quei vecchi libri di scuola accantonati da qualche parte per anni e anni. Giustamente, è considerata un capolavoro della poesia italiana di tutti i tempi, ed è anche, citando il critico Giuseppe Nava (1937-2019), "uno dei risultati più nuovi e maturi del simbolismo pascoliano".




PIANTO ANTICO

di Giosuè Carducci 


L'albero a cui tendevi

La pargoletta mano,

Il verde melograno

Da' bei vermigli fior,


Nel muto orto solingo

Rinverdì tutto or ora

E giugno lo ristora

Di luce e di calor.


Tu fior de la mia pianta

Percossa e inaridita,

Tu de l'inutil vita

Estremo unico fior,


Sei ne la terra fredda,

Sei ne la terra negra;

Né il sol più ti rallegra

Né ti risveglia amor.


1871


(da "Poesie scelte", Mondadori, Milano 1992, p. 105)





IL GELSOMINO NOTTURNO

di Giovanni Pascoli (1855-1912)


E s'aprono i fiori notturni,

nell'ora che penso a' miei cari.

   Sono apparse in mezzo ai viburni

   le farfalle crepuscolari.


Da un pezzo si tacquero i gridi:

là sola una casa bisbiglia.

   Sotto l'ali dormono i nidi,

   come gli occhi sotto le ciglia.


Dai calici aperti si esala

l'odore di fragole rosse.

   Splende un lume là nella sala.

   Nasce l'erba sopra le fosse.


Un'ape tardiva sussurra

trovando già prese le celle.

   La Chioccetta per l'aia azzurra

   va col suo pigolìo di stelle.


Per tutta la notte s'esala

l'odore che passa col vento.

   Passa il lume su per la scala;

   brilla al primo piano: s'è spento...


È l'alba: si chiudono i petali

un poco gualciti; si cova,

   dentro l'urna molle e segreta,

   non so che felicità nuova.


(da "Canti di Castelvecchio", Rizzoli, Milano 1993, p. 246)