domenica 9 maggio 2021

La felicità in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

È possibile quantificare la propria felicità? Sicuramente no, ma certo è possibile stabilire quale periodo della nostra vita sia stato il più felice di tutti. Nel caso mio questo periodo è compreso nei 365 giorni di un ormai lontanissimo anno: un anno duro, difficile per vari motivi, ma per me eccezionale, in cui ho vissuto gli ultimi scampoli della fanciullezza, quelli in cui si è più consapevoli del proprio stato di benessere, perché s'intensificano i ricordi, le sensazioni piacevoli, e diviene più facile percepire la propria spensieratezza; di conseguenza si respira per la prima volta nella vita il profumo inebriante della felicità. Ricordo ancora il mio ultimo periodo felice, che risale ormai a diversi anni fa, nato da una circostanza che, in teoria, avrebbe dovuto causarmi sensazioni tutt'altro che piacevoli. In quel preciso lasso di tempo, che è durato non più di qualche mese, non avevo affatto la coscienza della felicità: mi sentivo soddisfatto, rilassato, sereno, perfino nei momenti di grande stanchezza. Conclusosi questo periodo che aveva rappresentato dei notevoli cambiamenti nella mia vita di tutti i giorni, ho cominciato, anche se solo parzialmente, a capire che avevo vissuto un momento molto particolare, ossia "felice". E più passava il tempo, più questa sensazione si rafforzava, fino ad avere la netta consapevolezza di essere stato felice proprio in quella determinata fase della mia esistenza.

Sono in sintonia con chi ritiene la felicità una sensazione inusuale e straoridinaria, che si manifesta e si percepisce assai raramente durante la vita di un uomo. Posso dire di aver vissuto dei periodi ben più brevi di felicità: giorni, ore... Più netta è invece la percezione della felicità che ho vissuto nell'età infantile, anche se la cognizione, in questo determinato caso, l'ho avuta intorno ai dodici anni, ovvero proprio al limite tra la fine dell'infanzia e l'inizio dell'adolescenza.

 

 

LA FELICITÀ IN 10 POESIE DI 10 POETI DEL XX SECOLO

 

 

LA FELICITÀ

di Arnaldo Beccaria (Milano 1904 - ivi 1972)

                                                                     

                                                                 A Giuseppe Ungaretti

Fra vecchi muri ed orti,

luminosa nel sole,

d'improvviso m'è apparsa

la persona viva

della Felicità.

Non umana persona, era.

Era una rosa

rampicante.

Diceva: «Io sono la Felicità:

un fiore che fiorisce

solo negli orti della solitudine:

la rosa rossa sopra un vecchio muro».

 

(da "Sull'orlo del cratere", Mondadori, Milano 1966, p. 117)

 

 

 

 

LA FELICITÀ

di Amalia Guglielminetti (Torino 1881 - ivi 1941)

 

Ma quella che va sola ancora sa

tratto tratto pel suo vagabondare

trovar un'ombra di felicità.

 

Oh! ma un'ombra così lieve che pare

quella del pesco, quando primavera

gli fa una veste di rosette amare.

 

Certa non è se gioia era o non era,

e a sera lo domanda ella a sé stessa

sciogliendo adagio la sua chioma nera.

 

O voce che dicevi sì sommessa:

— Mi piaci! — o riso di perplessità,

o mano che non parla ma confessa,

 

eri o non eri la felicità?

 

(da "Le seduzioni", Palomar, Bari 2001, p. 95)

 

 

 

 

QUESTA FELICITÀ

di Mario Luzi (Sesto Fiorentino 1914 - Firenze 2005)

 

Questa felicità promessa o data

m'è dolore, dolore senza causa

o la causa se esiste è questo brivido

che sommuove il molteplice nell'unico

come il liquido scosso nella sfera

di vetro che interpreta il fachiro.

Eppure dico: salva anche per oggi.

Torno torno le fanno guerra cose

e immagini su cui cala o si leva

o la notte o la neve

uniforme del ricordo.

 

(da "Tutte le poesie", Garzanti, Milano 1993, p. 213)

 

 

 

 

FELICITÀ RAGGIUNTA, SI CAMMINA

di Eugenio Montale (Genova 1896 - Milano 1981)

 

Felicità raggiunta, si cammina

per te su fil di lama.

Agli occhi sei barlume che vacilla,

al piede, teso ghiaccio che s'incrina;

e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

 

Se giungi sulle anime invase

di tristezza e le schiari, il tuo mattino

è dolce e turbatore come i nidi delle cimase

Ma nulla paga il pianto del bambino

a cui fugge il pallone tra le case.

 

(da "Ossi di seppia", Mondadori, Milano 1993, p. 52)

 

 

 

 

FELICE-INFELICE

di Marino Moretti (Cesenatico 1885 - ivi 1979)

 

Chi ti contende il nome di poeta?

di poeta vivente?

Il passato è il presente

e chi sa farlo presente è poeta.

Chi ti contende il nome di poeta?

Ma il poeta è felice ed infelice,

e la felicità non gli si addice,

e l'infelicità troppo è segreta.

 

"Tu lascerai ogni cosa diletta

più caramente", è Dante che lo dice,

e tu sarai felice ed infelice

in quest'ultima pena o gioia o stretta.

"Lume non è se non vien dal sereno

che non si turba", così Dante dice,

e tu sarai non altro che infelice

con le tue incertezze e il tuo veleno.

 

(da "In verso e in prosa", Mondadori, Milano 1979, p. 175)

 

 

 

 

LA FELICITÀ

di Ettore Moschino (L'Aquila 1867 - Roma 1941)

 

Splende la prora mia tra gli arabeschi

fini che intesse, balenando, il mare,

e al suon de' vènti armoniosi e freschi

le Sirene si destano a cantare.

 

Cantan d'una beata isola d'oro

che fiorisce improvvisa a' naviganti,

e la Pace v'innalza archi d'alloro,

e l'Amor vi diffonde ali ed incanti.

 

Alto, ne'l mio desìre, ambo le mani

verso la favolosa isola sporgo;

ma il mar s'infosca, e in suoi silenzi immani,

perdutamente mi sommerge il gorgo...

 

(da "I lauri", Treves, Milano 1908, p. 155)

 

 

 

 

FELICITÀ

di Francesco Pastonchi (Riva Ligure 1874 - Torino 1953)

 

Nel vento della sera

odorano i rosai:

godi l'ora che mai

più non ritornerà.

 

Nel vento della sera

baciami tra le rose...

fatta di tenui cose

è la felicità!

 

(da «La Donna», 20 giugno 1914)

 

 

 

 

FELICITÀ

di Massimo Spiritini (Zevio 1879 - Verona 1963)

 

Felicità ti è sempre a qualche metro,

ma invan tu arranchi per tenerle dietro;

ricalchi alfin la via deluso e stanco,

guardi e t'accorgi... che ti trotta a fianco.

 

(da "Versi", QuiEdit", Verona 2010, p. 54)

 

 

 

 

FELICITÀ

di Diego Valeri (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976)

 

Nessun dolore porta

più fuoco dei tormenti,

e paura nel sangue,

nessun dolore duole come questa

felicità che posa all'improvviso

su l'attonito cuore la sua mesta

dolcezza di sorriso;

e il cuore attende e trema

un suo bene supremo e sconosciuto

che non potrà soffrire,

e, fra tema e speranza,

sente che non gli avanza

altro più che morire.

 

(da "Poesie", Mondadori, Milano 1962, p. 189)

 

 

 

 

LA FELICITÀ

di Cesare Vivaldi (Imperia 1925 - Roma 1999)

 

La felicità mi s'attacca alle spalle

d'improvviso,

piena la bocca

di refe per cucire a lunghe gugliate un giorno con l'altro

senza che me ne accorga.

E sono scampato al diluvio,

schietto come un albero,

nudo come la tromba

che suona nella notte

la ritirata.

 

Povere le mie mani se non sapessero più

cosa stringere.

 

(da "Poesie scelte 1952/1992", Newton Compton, Roma 1993, p. 88-89)

 

 


domenica 2 maggio 2021

Poeti dimenticati: Balilla Pinchetti

 

Nacque a Tirano, in Valtellina, nel 1889, e ivi morì, nel 1973. Dopo la laurea in lettere conseguita a Firenze, iniziò ad insegnare presso un liceo di Catania; professò l'insegnamento fino al 1959. Tra il 1943 ed il 1945, poiché antifascista, dovette riparare in Svizzera. Finita la Seconda Guerra Mondiale, tornò nel suo paese di nascita, dove, per un breve periodo, divenne consigliere comunale. Fu autore, oltre che di poesie, di alcuni saggi sulla poesia italiana e di ottime traduzioni. Si fece notare con una raccolta di versi: Nel gorgo (1920), dove la fa da padrone il tema della Grande Guerra, a cui il poeta partecipò. Con la successiva Il caduco e l'eterno (1927), il Pinchetti raggiunse la completa maturità; nelle pagine di questo volume spicca un sincero e accorato intimismo, insieme ad una tendenza descrittiva riguardante paesaggi cari al poeta, colti in determinate stagioni e in particolari momenti della giornata. Sulla stessa scia della precedente si pone l'ultima raccolta di Pinchetti: Umana sorte, uscita due anni dopo la sua scomparsa.

 

 

Opere poetiche

 

"Sul limite dei sogni", Muglia, Catania 1914.

"Nel gorgo", Cappelli, Rocca S. Casciano 1920.

"Il caduco e l'eterno", Bemporad, Firenze 1927.

"Umana sorte", C.I.G., Madonna di Tirano 1975.



 


 

Testi

 

UNA SOSTA

 

Anima, godi questo sol che splende

tra cielo e mare, colaggiù, da lunge,

dove come una nuvola si stende,

quasi l'acque a partir dall'orizzonte,

una striscia lievissima di fumo.

Godi e respira questo che ti giunge

da li orti, chiusi tra la riva e il monte,

indistinto, indicibile profumo.

 

Tra poco l'onda scenderà, velando

i contorni alle cose e le distanze.

Ad una ad una, su nel ciel, tremando,

come a specchio d'un'acqua esili fiori,

timidamente si apriran le stelle:

quelle che, d'alto, veglian le speranze

compagne eterne degli umani cuori,

ed il dolore che le fa più belle.

 

E allora, anima, tu risalperai

pel tuo viaggio verso l'infinito:

allor, sola con te, rifrugherai

l'ombre a scrutare se ti si profili

nel respir della notte solitaria

lontano l'azzurrino orlo del lito

co'suoi contorni, fluidi, sottili,

segnati appena di tra l'acqua e l'aria.

 

Ora goditi questa dolce sosta,

ora indugia così. Odi la voce

dell'onde che s'infrangono alla costa,

segui con l'occhio il sole che scompare,

bevi il profumo che per te si esala...

E oblìa che intanto verso la sua foce,

simile a fiume che distende al mare,

perennemente la tua vita cala!

 

(da "Il Caduco e l'Eterno")

 

 

 

 

 

UN ALTRO GIORNO CHE PASSA

 

Un altro giorno che passa: un brano

di cuore - ancora - che se ne va:

un lembo ancora che fugge lontano

della intravista felicità.

 

Ancora un sospiro che si esala

su una speranza nudrita invano:

un'altra piuma strappata ad un'ala

che sostenersi in ciel più non sa.

 

Un'ombra ancora, fitta, che cala

dove più vivo il sole brillò:

ed un rimpianto, ma sempre più vano,

per il sogno che non si avverò.

 

(da "Umana sorte")

domenica 25 aprile 2021

Due poesie per ricordare altre due vittime del nazifascismo

 

Quest'anno, per ricordare una volta di più quello sciagurato periodo durato circa cinque anni, che coincise con il conflitto mondiale più sanguinoso e crudele della storia dell'umanità, ho scelto due poesie di due scrittori italiani che furono direttamente toccati dalla tragedia della guerra. Sia Natalia Ginzburg (1916-1991) che Corrado Govoni (1884-1965), infatti, persero in quei drammatici anni due familiari. Leone Ginzburg (1909-1944) e Aladino Govoni (1908-1944) - rispettivamente coniuge di Natalia Levi e figlio di Corrado Govoni - furono uccisi dai militari tedeschi nella città di Roma durante l'anno 1944.

Leone Ginzburg fu un letterato fortemente impegnato: federalista e antifascista irriducibile, pagò a caro prezzo le sue idee libertarie, subendo un periodo di carcere e quindi il confino; si sposò con Natalia Levi (che in seguito al matrimonio sostituì il suo cognome con quello del marito) nel 1938; una volta caduto il fascismo, decise di stabilirsi a Roma, dove partecipò direttamente alla Resistenza. Fu catturato dai tedeschi e imprigionato; fu quindi torturato dalle SS, e in seguito a tali violenze morì nel febbraio del 1944. La poesia di Natalia Ginzburg - autrice di romanzi memorabili come Le piccole virtù e Lessico famigliare, fu pubblicata dalla rivista Mercurio nel dicembre del 1944¹. In questi versi si avverte in modo quanto mai tangibile, la grandissima tragedia della perdita di una persona cara e insostituibile; nella mente della donna, rimane indelebile l'immagine del marito già deceduto: lo stesso di sempre ("solo un poco più stanco"). Ma emerge nello stesso tempo la consapevolezza della scomparsa definitiva di colui - l'unico - che era in grado di assicurarle una presenza costante al suo fianco, tale da confortarla e rassicurarla; il vuoto che prova la scrittrice è devastante. La solita visone della città dopo l'evento tragico, evidenzia la totale indifferenza di una umanità inconsapevole e quindi indifferente, ovvero incapace di percepire minimamente la disperazione senza scampo di una donna sopraffatta dalla solitudine e che, ora, si sente completamente estranea alla vita.

Aladino Govoni, dopo la laurea in scienze economiche e commerciali, divenne militare e partecipò a diverse missioni belliche. Come Leone Ginzburg, visse nella città di Roma dopo la caduta del regime fascista; anche lui partecipò alla Resistenza e fu catturato dalla Gestapo (polizia segreta nazista); dopo essere stato torturato a lungo, venne giustiziato insieme agli altri martiri delle famigerate Fosse Ardeatine, nel novembre del 1944. La tremenda sofferenza provata dal padre Corrado, è testimoniata dalla raccolta intitolata proprio Aladino. Lamento su mio figlio morto (Mondadori, Milano 1946). I versi che ho trascritto fanno parte di tale volume; in queste parole si avverte lo strazio che soltanto un genitore che abbia perduto un figlio in modo così atroce, può provare. Al povero poeta può bastare la semplice visione di una cava cittadina, o il rumore degli spari di cacciatori presenti nei pressi, per scatenare una serie di sensazioni e pensieri sgradevolissimi, legati al luogo e al momento in cui il giovane figlio perse la vita a causa di spietati assassini. Questa insopportabile sofferenza mentale fa sì che egli si scagli contro l'umanità intera e si senta vittima di un volere ultraterreno avverso e inspiegabile.

 

 DUE POESIE PER RICORDARE ALTRE DUE VITTIME DEL NAZIFASCISMO

 

MEMORIA

di Natalia Ginzburg

 

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.

Comprano cibo e giornali, muovono a imprese diverse.

Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.

Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,

Ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.

Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,

Solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.

E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle

che spezzavano il pane e versavano il vino.

Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo

A guardare il suo viso per l’ultima volta.

Se cammini per strada, nessuno ti è accanto,

Se hai paura, nessuno ti prende la mano.

E non è tua la strada, non è tua la città.

Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri,

Degli uomini che vanno e vengono comprando cibi e giornali.

Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra

E guardare in silenzio il giardino nel buio.

Allora quando piangevi c’era la sua voce serena.

Allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.

Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;

E deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.

 

    8 novembre

 

(dalla rivista "Mercurio", dicembre 1944)

 

 

 

 

SE UNA CAVA DI ROSSA PUZZOLANA

di Corrado Govoni

 

Se una cava di rossa pozzolana

incontro intorno a Roma (e sono tante!),

il cuore mi si stringe, perché vedo

in essa rinnovarsi il tuo martirio.

Se mi giungono scoppi: cacciatore

che giù dal cielo un’ala ebbra di canto

sbatte, o il rombo di zampillante

mina di nera terra; il cuore mi si spezza,

ché in ogni colpo, innocuo o sanguinoso,

sento l’eco di quello che t’uccise.

Che cosa t’hanno fatto, figlio mio,

gli uomini! E a me che cosa ha fatto Dio!

 

(da "Poesie 1903-1958", Mondadori, Milano 2000, p. 309)

 

 


NOTE

 

1) In fondo alla pagina in cui viene trascritta la poesia della Ginzburg, viene riportata una nota con la seguente dicitura:

  Alla memoria di suo marito Leone Ginzburg, morto nelle carceri di Roma il 5 febbraio 1944, ucciso dalla ferocia della Gestapo, Natalia Ginzburg dedica questa poesia. Natalia Ginzburg, nota nel mondo letterario col nome di Alessandra Tornimparte, riprende il suo vero nome che dovette abbandonare, per ragioni razziali, nel periodo dell'oppressione fascista.

 

 

 

domenica 18 aprile 2021

La noia nella poesia italiana decadente e simbolista

 

Certamente quello della noia è uno degli argomenti preferiti dei poeti decadenti e simbolisti, collegandosi facilmente con lo spleen, ovvero con quell'umor nero e quella malinconia descritti in modo ineccepibile da Charles Baudelaire e da altri poeti francesi della seconda metà dell'Ottocento. Nei poeti italiani la noia viene cantata in modi assai diversi: a volte diviene materia, come l'edera che sale sui muri e invade le stanze di un vecchio palazzo in stato di abbandono (Gualdo) o come un albergo senza ospiti, che si ritrova in un perenne letargo (Mannoni); a volte equivale al "Nulla" ovvero all'inutilità (Donati Pétteni, Oxilia e Vallini); altre volte ancora si evidenzia in un paesaggio nebbioso, statico e angoscioso (De Maria, Govoni e Palazzeschi). Ma la noia può nascere anche guardando un semplice oggetto come l'orologio, il quale scandisce un tempo che si annuncia vuoto di avvenimenti (Venditti); oppure, proprio perché sprona la mente, fa nascere una serie di fantasie che a volte si tramutano in veri e propri sogni ad occhi aperti (Adobati, Guido da Verona e Marcellusi). Immancabile è la presenza della morte, ricercata dal poeta in questi momenti, specialmente se a lungo andare la noia si trasforma in una disperazione senza scampo (Spiritini).

 

 

 

Poesie sull'argomento

 

Mario Adobati: "Il tedio sul fiume" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Francesco Cazzamini Mussi: "Alla Noia" in "Le amare voluttà" (1910).

Guido Da Verona: "Ballata crepuscolare" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).

Federico De Maria: "Paesaggio d'angoscia" in "La Leggenda della Vita" (1909).

Giuliano Donati Pétteni: "Più nulla" in "Intimità" (1926).

Luigi Fallacara: "Noia" in «Lacerba», dicembre 1914.

Corrado Govoni: "Noia" in "Le fiale" (1903).

Corrado Govoni: "È un pomeriggio livido" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).

Corrado Govoni: "Noia" in "Poesie elettriche" (1911).

Luigi Gualdo: "Gioia passata" in "Le Nostalgie" (1883).

Amalia Guglielminetti: "Tediata" in "Le vergini folli" (1907).

Remo Mannoni: "L'albergo della noia" in "Fermento" (1931).

Enzo Marcellusi: "Nausea" in "I canti violetti" (1912).

Tito Marrone: "Attimo" in «Matelda», settembre 1908.

Angiolo Orvieto: "Al Tedio" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).

Nino Oxilia: "Da quale attimo nacque questa noia..." in "Canti brevi" (1909).

Aldo Palazzeschi: "Il pastello del tedio" in "I cavalli bianchi" (1905).

Masimo Spiritini: "Quando il tedio mi afferra..." in "In Olanda" (1904).

Carlo Vallini: "La noia" in "Un giorno" (1907).

Mario Venditti, "L'orologio in castigo" in "Il cuore al trapezio" (1921).

Giuseppe Zucca: "Qualche cosa" in "Io" (1921).

 

 

 

 

Testi

 

 

 

BALLATA CREPUSCOLARE

di Guido da Verona

 

  Nell'alte bufere di polvere

che solleva uno stormo di cavalli

nel furioso galoppo,

i corvi gridando ammulìnano

su da l'immenso pianoro

verso la Città che splende orlata di nuvole d'oro.

 

  Avvampa un rogo per i culmini

dall'alta muraglia ove convergono

i fuochi vertiginosi del tramonto

e i corvi, neri come la tormenta,

feltrati calanti come l'ala della notte,

a migliaia sopra, gridando, vi strapiombano a migliaia,

come per stendere un lenzuolo funebre

sopra il delirio della sera.

 

  Perché tanto gridano i corvi

calando sui rami degli alberi

al sopravvenire della notte?

Son forse richiami d'amore che il maschio a voi manda,

o femmine calde, raccolte nell'ala piegata

sul ramo che manda profumo

di notte stellata?

 

  Ma io che sto sola e m'annoio

nella deserta mia casa dove nessuno mi chiama,

non odo la voce lontana

dell'uomo ignoto che mi ama,

e quasi di tristezza muoio...

 

  Io faccio scorrer la spola

e fo' girar l'arcolaio

per compiere questo ricamo

di seta che ho sul telaio.

 

  I corvi si addensan come nuvole

su gli alberi del mio giardino,

e manda un profumo che m'inebbria

il fiore pallido Gelsomino.

 

  Ma i corvi ora s'addormentano,

ed il pavone s'è appollaiato...

Oh il buon odore che tramandano

i fiori del pomo granato!

 

  Traverso la porpora d'oro

che infiamma d'aurore notturne le mura serene,

che filtra per le griglie verdi ove s'inerpica e trema

il fiore pallido Gelsomino,

mi giunge lieve una ballata crepuscolare, che m'incanta:

e mentre il delirio della sera

per la imporporata ombra sale,

un'ebbra voglia di vivere,

frammista in me con il pensiero

della morte infinita, m'assale.

 

  O stendardi di porpora!...

gonfie bandiere scintillanti come fontane d'oro!...

ali recise, cadenti nella fiamma,

supreme ali di sole!...

portate a me solitaria un simile grido d'amore,

un simile grido, e mi giunga

soffocato, nel delirio della sera!

 

  Bufere, bufere... La spola

si ferma; il telaio s'inclina;

più vasta l'ombra s'accoglie

nella mia faccia china.

  Ahimè, come sono felici

i corvi, sui rami odorati

che dolce profumo che mandano

i fiori dei pomi granati!...

 

  Mentr'io camminerò senza lampada

nel raggio verde pallidissimo della luna verde che non dà pace,

verso la mia coltre deserta,

verso il giaciglio tormentoso

dove non fui che l'amante inane del mio sogno voluttuoso.

 

  Dove talvolta, mentre le stelle,

simili ad un volo innumerevole di farfalle d'oro,

infurian come bufere di luce

nel quadrato azzurro della finestra,

e par che ogni atomo dello spazio

più miriadi ne chiuda,

non oso nemmeno spogliarmi

per la paura d'esser nuda,

e sto con la gola scoverta

guardando le stelle infuriare nella finestra aperta.

 

  Allor talvolta nell'incantesimo

della notte, che fila

i fili d'oro della sua conocchia,

mi par che un'ombra m'allacci

subitamente le ginocchia,

subitamente mi stringa la gola turgida, inquieta,

e che una mano mi stracci

la bella mia veste di seta.

 

(da "Il libro del mio sogno errante")

 

 

 

 

DA QUALE ATTIMO NACQUE QUESTA NOIA CHE OPPRIME

di Nino Oxilia

 

Da quale attimo nacque questa noia che opprime,

questa lotta che sfibra?

 

Che cosa sono e bene e male se non parole

vane che noi creammo?

 

Alla sua turpe scuola il despoto: l'inganno

ci tiene ebeti, avvinti.

 

Ogni baleno è falso, ogni dolore scompare

nel silenzio dell'Io.

 

Dalle mille ferite che ostentiamo piangendo

altrui, che non si cura,

 

non sorte sangue - Delle pozzanghere il limo

ci scorre nelle vene.

 

(da "Canti brevi")


Gustave Courbet, "Young Ladies on the bank of the Seine – fragment of a painting (Woman with Flowers on Her Hat)"
(da questa pagina web)