domenica 29 settembre 2024

Il grande amico

 

È qui l'amico a cui diedi

metà della mia anima.

Conserva le mie lettere

di ragazzo dentro un cofanetto.

Mimì non si è mosso

da cinquant'anni, sfascia

le sedie, le botti, rilegge

gli stessi libri.

Gli vado incontro

ma passa oltre,

deve pensare che io sia morto.

 

 

 

COMMENTO

Ecco una delle tante poesie di Leonardo Sinisgalli (Montemurro 1908 - Roma 1981) in cui si parla di amici. Questa si trova alla pagina 16 della penultima raccolta di versi del poeta lucano: Mosche in bottiglia, edita dalla Mondadori di Milano nel 1975. Fa parte della prima sezione senza titolo del medesimo volume. Il tema, come detto, è uno dei più trattati da Sinisgalli, a partire già dalle prime raccolte giovanili; in questo caso il poeta, che troppo presto dovette abbandonare la sua terra natale, torna nei luoghi cari dove nacque e trascorse il periodo più felice della sua esistenza; qui incontra un caro vecchio amico, a cui è legato da un rapporto epistolare avuto in gioventù (sa che lui possiede ancora le lettere speditegli molti anni or sono); questo amico ha deciso di non lasciare la terra natale, pur sopravvivendo con lavori umili e saltuari. Come Sinisgalli ama la lettura, anche se non ha allargato più di tanto i suoi orizzonti letterari. Il poeta decide di fargli visita, quindi lo vede in lontananza e gli va incontro, ma il vecchio amico, dato che è passato tanto tempo dall'ultimo giorno in cui si sono visti, non lo riconosce, o forse pensa che non può essere lui ritenendolo morto, e perciò lo supera senza rivolgergli nemmeno il saluto. L'ultima parte della breve poesia potrebbe nascondere qualcosa d'inespresso: la delusione, da parte del vecchio amico, per i troppi anni di lontananza e forse per l'interruzione totale del rapporto d'amicizia che nel frattempo si è venuta a creare; se così fosse, la scelta di quest'ultimo, d'ignorare la presenza del poeta, sarebbe dovuta ad una sorta di risentimento e di grande delusione che prova nei suoi confronti.



Leonardo Sinisgalli nel 1938
(da questa pagina web)


domenica 22 settembre 2024

Il silenzio in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 C'è chi lo ama e chi lo detesta, chi lo desidera e chi lo teme: il silenzio, a causa di differenti situazioni esistenziali o, più semplicemente, per questioni di mere preferenze personali, non risulta piacevole a tutti gli esseri umani. Come è facile intuire, la totale mancanza di voci o di rumori può causare, in alcuni individui, una sorta di ansia (se non di angoscia); tanto più se tale silenzio perdura in presenza di altre persone che, per scelta, decidono di tacere. Ma quante anime, che vivono tutti i loro giorni nelle chiassosissime città moderne, desidererebbero vivere, almeno per un po' di tempo, in luoghi in cui domina il silenzio? Personalmente ritengo il silenzio come qualcosa di estremamente opportuno in determinati casi; mentre in altri (soprattutto quelli in cui la noia la fa da padrone) mi risulta per lo meno spiacevole. Ma di quali silenzi si parla nelle dieci poesie che ho trascritto in questo post? C'è il silenzio di chi ha paura, perché si trova in una situazione di pericolo a causa di una guerra devastante. C'è il silenzio di chi non riesce a parlare, perché gli è appena accaduto qualcosa di estremamente grave, e non può fare altro che rimanere attonito, quasi incredulo, a meditare sul disastro. C'è il silenzio di chi è innamorato, e di fronte agli occhi di una ragazza rimane muto, bloccato a causa della fortissima emozione che lo sovrasta. C'è il silenzio della felicità condivisa, quel silenzio che viene da sé, perché quando si è tanto felici non c'è alcun motivo di aprire la bocca e parlare. C'è il silenzio della solitudine di un uomo che, pensieroso, cammina col suo cane, e che all'improvviso ha la strana sensazione di essere l'unico uomo rimasto sulla terra, percependo il suo stato di solitudine come qualcosa di irrimediabile, di definitivo. E ancora la solitudine, unita alle tante ingiustizie subite, rendono un altro uomo muto, incapace di pronunciare qualsiasi parola a causa della iniquità patita lungo la sua esistenza, che ora è divenuta qualcosa simile ad un "mostruoso incubo", terrorizzante a tal punto da costringere l'uomo all'assoluto silenzio. C'è infine il silenzio dei morti: quelli che ci erano più cari, e che ci capita di ricordare spesso, perché noi amavamo loro, e loro amavano noi; è questo il silenzio più duro da sopportare, perché siamo ben consci del fatto che quelle persone così importanti per noi, non ritorneranno più, e se provassimo a chiamarle per nome, non risponderebbero; il loro silenzio è il nostro dolore più intenso, e non possiamo attenuarlo, tanto meno farlo passare.




IL SILENZIO IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO



FIORE DEL SILENZIO

di Gaetano Arcangeli (1910-1970)


I silenzi più fondi

li ascoltai tra un passaggio

e l’altro di aerei

(e la luce del giorno

non era più che una vibrazione

dello spasimo muto delle sorti);

quando voci infantili

accennanti al pericolo,

scendenti in tumulto da altane,

lasciavano, spegnendosi, deserta

l’attonita periferia...

Poi, nell’ingorgo tetro del rifugio,

portavo quell’immagine

di fiore del silenzio

a odorare segreta in mezzo all’ansia.


[da "Solo se ombra (1941-1953)", Scheiwiller, Milano 1995, p. 29]





SILENZIO D'AMORE

di Arnaldo Beccaria (1904-1972)


Le parole d'amore che, compiute,

vorrei dirti, e ordinate

in un fluido discorso,

si rapprendono invece

in grumi di silenzio

dentro di me, se gli occhi miei s'incontrano

con i verdi tuoi occhi e il tuo sorriso.

E come quella luce 

che sulle foglie brulica

dell'alberello

che si scapriccia al vento,

così l'anima mia trema e si frange.


(da "sull'orlo del cratere", Mondadori, Milano 1966, p. 172)





SILENZIO

di Vittorio Bodini (1914-1970)


Era un silenzio

calzato di sandali verdi

e con la fronte d'un soldato antico

(quegli oscuri soldati

dal cui labbro, nell'urto delle schiere,

escono inaspettate

parole d'una semplice grandezza).


(da "Tutte le poesie", BESA Editrice, Lecce 1997, p. 117)





SILENZIO ORANTE

di Olinto Dini (1873-1951)


Vado per alpi, e s'incupisce l'aria.

Spontaneo licenzio

da me un roseo lieto immaginare,

e il cuore mi si nega

ad altro che non sia sacro mistero.

M'è augusto ogni pensiero.

Par tempio questa valle solitaria,

e l'alpi paiono are

solenni d'un silenzio

che prega.


(da "Poesie", Edizioni d'Arte Rassegna, Bergamo 1971, p. 147)





SILENZIO 

di Luca Ghiselli (Cesare Ghiselli, 1910-1939)


Silenzio, 

su tutta la veglia silenzio.

Smessa la passione, spento il fuoco,

chiediamo perdono a noi stessi.

Così, dopo il terremoto,

la gente provata si siede sulla strada

fra le rovine, a dormire per espellere

l'ultimo brano d'angoscia.


Più tardi verrà la malinconia.


                                                          (V., 31-834)


(da "Prose e versi", Pananti, Firenze 1985, p. 354)





CADEVA LA SERA VERSO CASA

di Angiolo Silvio Novaro (1866-1938)


Cadeva la sera verso casa

Ci affrettavamo.

Stanco era il cane, e tu fanciullo

Lo tenevi al guinzaglio.

Muta la mamma,

Muti noi due,

Allungavamo il passo.

Perché avremmo dovuto

Parlare?

Eravamo così felici!


Guardavamo il mare

Trascorso da soffi

Terreni di vento,

Dipinto a riflessi

Di tramonto ultimi rosa,

Aspiravamo l'odore

Del timo.

Perché avremmo dovuto

Parlare?

Eravamo così felici!


Pregustavamo la casa

Musicale,

La mensa illuminata,

L'amico tepore,

La sacra intimità,

Le armonie

Di nuovi amorevoli gaudiosi sensi.

Perché avremmo dovuto

Parlare?

Eravamo così felici!


E non era che un sogno!


(da "Tempietto", Mondadori, Milano 1939, pp. 46-47)





IL SILENZIO DEGLI SCHIAVI

di Salvatore Quasimodo (1901-1968)


Notte, o calice azzurro di musica,

fiori portiamo ai tuoi altari di cenere,

or che le lampade d'oro

alle porte dei tempî sono accese.


Con diverse cadenze,

diciamo ciò che, in natura, è la stessa cosa;

ma sul cammino, la luce era del sole,

l'acqua che addormentò la nostra sete

era fiore di roccia sempre fresco,

e l'acqua, come il sole, era la stessa.


Dacci silenzio pei nostri divini convegni;

lo schiavo che, nella casa lontana,

lasciò l'ultimo sogno come un fuoco acceso,

sa anche pregare, sorella buona

che chiudi gli occhi ai fanciulli

ne l'ora che chiudi le rose.


(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1995, p. 475)





SILENZIO

di Umberto Saba (Umberto Poli, 1883-1957)


Camminavo, pensavo, muto, con gli occhi bassi.

  Erano senza meta quei pensieri e quei passi.

  Precedeva il mio cane.

Io lo seguivo, ignaro. Questa volta era il cane

  che conduceva l'uomo, erano l'orme umane

  dopo, prima le sue;

vedevano i ferini occhi per ambedue

  le forre della strada.


Dove fu questo? Quando? Come la mente invasa

  fu da quello stupore di sonno? Ancora questo

  so: all'improvviso desto

mi ritrovai fra i muri di tacito sentiero.

  Sopra era piombo il cielo, e m'agghiacciò un pensiero

  strano: tanto profondo

udii intorno il silenzio, senza voci lontane,

  che mi parve di essere solo, con il mio cane

  solo nel tetro mondo.


(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994, p. 743)





IL SILENZIO

di Giorgio Vigolo (1894-1983)


Sopra l'immenso muro di granito

non puoi graffiare il minimo segno,

così sul buco della solitudine

è vano sogno incidere parole.


E come nell'immensa arida rupe

l'acqua è dimenticata nel profondo,

così dal masso del lungo dolore

indurito da anni nel silenzio


nessun miracolo desta una fonte.

Tutti i monti stanno sopra il mio petto

e sul mio cuore il peso dell'offesa;


l'iniquità che patì la mia vita

come mostruoso incubo mi schiaccia,

mi respinge nel cuore le parole.


(da "La luce ricorda", Mondadori, Milano 1967, pp. 287-288)





SILENZIO

di Giuseppe Villaroel (1889-1965)


Padre, le sere i lunghi treni a riva

e le stelle sospese alle scogliere,

a risacca di mare. Il vento secco

delle zàgare nuove nei giardini.

Segno di lume alla finestra e il cupo

dorso selvoso del vulcano. Entravi

alto nell'ombra. La cucina nera

schermata dalle fiamme e il volto chino

della mamma. Di voi solo silenzio

ora resiste. Lucida dal mare

la notte cala sui velieri antichi.


(da «La Fiera Letteraria», Anno XI, n. 18, 29 aprile 1956)



Lucien Lévy-Dhurmer, "Le Silence"
(da questa pagina web)


domenica 15 settembre 2024

Riviste: "Lirica"

 Lirica è il titolo di una rivista che nacque a Roma, grazie all'iniziativa di Arturo Onofri, nel gennaio del 1912. La sua vita fu breve (durò soltanto due anni) ma intensa: nelle sue pagine, infatti, trovarono modo di pubblicare interessantissimi versi e prose, alcuni giovani intellettuali vogliosi di rinnovamento; lo stesso fondatore, insieme a Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Antonio Borgese, Teofilo Valenti, Aurelio Enrico Saffi, Armando De Santis, Giorgio Vigolo e altri ancora, avevano la precisa intenzione di rompere con gli schemi tradizionali della nostra letteratura ed intraprendere nuove strade, avendo come riferimento alcuni paesi europei (Francia e Germania in primis). L'ultimo numero di Lirica uscì nel dicembre del 1913. Ecco, infine, tre testi poetici molto belli, pubblicati per la prima volta sulla rivista romana.





Da "APPUNTI"

di Aurelio Enrico Saffi (1890-1976)


Oh, dalla terrazza sul mare, le vele piccole e nebbiose di lontananza! - le più lontane vele che tocca lo sguardo.

A l'oriente declina il temporale e il giorno battuto e stanco si adagia in un poco di sole, tenero, arridente, prima che muoia:

da l'oriente escono, vengono nel sole le vele,

verso la terra ferrigna, sfavillante di fuochi al tramonto;

e ciascuna porta cuori solidi e tranquilli;

i marinai contenti di riabbracciare, sotto le prime stelle, le loro donne rassicurate.


(da «Lirica», aprile 1912)





ADDORMENTARSI

di Arturo Onofri (1885-1928)


Vaghe torme d'ombre intorno al letto;

per l'insonnia buia i miei ricordi

nel silenzio fanno a colpi sordi

un rullìo di febbre sul mio petto…

    Siete voi, che in un attimo ho scorte,

    ombre antiche d'amore e di morte?


Non intendo che il rullìo febbrile

annegarsi nel fluir dell'ore;

ma improvviso, in fondo al muto orrore,

scatta il bronzeo cuor d'un campanile:

    campanile che batte in eterno,

    cuore d'angelo, cuore d'inferno.


Ora ascolto: il tempo a mano a mano

goccia al fondo dell'eternità;

senza fine cade, e niuno sa

che l'abisso è il mio mistero umano.

    Campanile, non battere più!

    L'orologio son io, non sei tu.


Una stilla è ogni attimo, che piove

nel padule nero del ricordo,

e, cadendo in un gocciolìo sordo,

lo rincrespa di speranze nuove.

    Ora taci, stillìo secolare!

    Sono stanco del troppo sperare.


In silenzio un roseo velo cala

sui miei occhi, nella notte fissi,

ma nel fondo di fiorenti abissi

mi trasogno allo svolar d'un’ala,

    e quest'ombra di morte mi culla

    nel riposo infinito del nulla…


(da «Lirica», giugno 1912)





HOMO SUM

di Vincenzo Cardarelli (Nazzareno Caldarelli, 1887-1959)


Io pago tutto. 

Non c'è mica un peccato 

che io non abbia, finora, 

debitamente scontato. 

Ho un organismo vitale 

che vuole, contrariamente 

al Diavolo di Goethe, 

vuole il Bene e fa il Male. 

Pensate quale puntualità, 

e che liste di conti da saldare! 

Ai cursori d'Iddio

l'uscio della mia casa è sempre aperto. 

E spesso delle loro intimazioni, 

prevenendole, 

io stesso senz'attenderli mi faccio esecutore. 

Sì che quand'essi giungono, 

ritto sull'uscio, li fermo 

e li rimando dicendo: 

- Amici, sono anch'io 

cursore e complice d'Iddio. 

Che dunque venite a fare 

se il debito è già pagato? -

Qualche teologo in tale

inammissibile complicità

sillogizzando

pone il principio della santità.

Beate le terrestri creature

- vuol dire il teologo -

che non peccano senza martirio,

che accenderanno, per uscirne,

fuochi nella gran selva;

e quivi con essa bruceranno,

olocausto docile a Dio,

senza pensare a fughe di Caino!

Quanto a me volentieri

mi piacerebbe peccare

senza pentimento,

trincare senza scotto,

rompere il fato d'Iddio

con fortunate licenze;

e vi dico in verità

che senza indugio darei,

se pur l'avessi,

a qualche persona proba

che stima d'averla e non l'ha,

l'anima mia di santo,

per un poco d'allegra umanità.

 

(da «Lirica», dicembre 1913)


domenica 8 settembre 2024

I ricordi nella poesia italiana decadente e simbolista

 A volte, questi ricordi che affiorano, hanno le caratteristiche di una favola (Ugo Betti), oppure sono molto vaghi (D’Annunzio, Mastri e Sinadinò); altre volte somigliano a sogni di un “incarnato spirito” (Gianelli). Nella poesia Le memorie, di Tito Marrone, i “morti” ricordi rivivono se qualcuno si prova a suonare un vecchio clavicembalo. Ci sono anche i ricordi tristi (Giorgieri Contri e Marcellusi) che, in alcuni casi, riguardano amori possibili mai realizzatisi. Spesso però, i poeti decadenti e simbolisti italiani si lasciano andare sulla corrente dei ricordi più lontani e più belli, inerenti all’amore e all’infanzia soprattutto; e, insieme al benessere mentale che essi suscitano in loro, emerge una amara consapevolezza che quei tempi felici evocati dalla memoria ancor viva, si sono dissolti per sempre; alcuni, come il Bongioanni, si chiedono il motivo per cui si vadano a cercare dei ricordi meravigliosi ma strazianti, perché alla fin fine non fanno altro che acuire il dolore di chi sa che il passato non può più ritornare; Civinini, invece, pur rievocando con rimpianto le memorie della sua infanzia, si riconsola pensando che, nel presente, in lui ancora esistono dei sogni e delle speranze simili a quelle ormai perdute. Sia Gabriele D’Annunzio che Italo Dalmatico, infine, ipotizzano la possibilità di dimenticare i ricordi di un passato amoroso che gli causa troppa sofferenza.

 

 

Poesie sull’argomento

 

Mario Adobati: "L'inutule ritorno" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Diego Angeli: "Quello che è stato" in "La città di Vita" (1896).

Diego Angeli: "San Saba" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).

Antonio Beltramelli: "Nostalgie" in "I Canti di Faunus" (1908).

Ugo Betti: "I ricordi" in "Il Re pensieroso" (1922).

Bino Binazzi: "Le nostre Pasque" in "La via della ricchezza" (1919).

Fausto M. Bongioanni: "Via Giulio, di sera" in "Venti poesie" (1924).

Carlo Chiaves: "Ne l'ora de le memorie" in «La Donna», febbraio 1910.

Guelfo Civinini: "Memorie dell'infanzia" in "L'Urna" (1900).

Guelfo Civinini: "Riverenza d'un ricordo veneziano" in "I sentieri e le nuvole" (1911).

Lucio D'Ambra: "Il rondò de i narcisi" in "Le Sottili Pene" (1896).

Italo Dalmatico: "Forse io di te mi scorderò..." in "Juvenilia" (1903).

Gabriele D'Annunzio: "Un ricordo" (3 poesie) in "Poema paradisiaco" (1893).

Giuseppe Del Guasta: "In questi occasi pallidi, sfumati" in «Le Varietà», febbraio 1894.

Francesco Gaeta: "Settimana santa" in "Poesie d'amore" (1920).

Diego Garoglio: "Ricordi e sogni" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).

Giulio Gianelli: "Ricordo di vita anteriore" in "Intimi vangeli" (1908).

Cosimo Giorgieri Contri: "Un'oasi" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).

Cosimo Giorgieri Contri: "Un'ora" in «Nuova Antologia», luglio 1906.

Corrado Govoni: "Natale" in "Le Fiale" (1903).

Giuseppe Lipparini: "Madame Chrysanthème" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).

Enzo Marcellusi: "Ricordo d'un pomeriggio piovoso" in "Il giardino dei supplizi" (1909).

Tito Marrone: "Ricordi la marina" in "Le rime del commiato" (1901).

Tito Marrone: "Le memorie" in "Liriche" (1904).

Fausto Maria Martini: "I giorni" in "Poesie provinciali" (1910).

Pietro Mastri: "Contrasto" in "L'arcobaleno" (1900).

Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Sogni d'ottobre" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).

Agostino john Sinadinò: "Lied delle atonie" in "Melodie" (1900).

Alberto Sormani: "Ultima passeggiata" in «Cronaca d'Arte», aprile 1892.

Giovanni Tecchio: "Aurora" in "Mysterium" (1894).

Diego Valeri: "Dove fu? quando?..." in "Umana" (1916).

Giuseppe Villaroel: "Veglia" e "Le cose morte che tornano" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).

 

 

 

Testi

 

 

QUELLO CHE È STATO

di Diego Angeli (1869-1937)

 

O memorie lontane come in bianche

stanze deserte e non aperte mai,

stanze chiuse ove il sol filtra dai fori

delle finestre. O mie memorie stanche,

laghi pieni di gigli ove già mai

nessuna man recise i bianchi fiori!

 

Il était un petit navire: oh vana

cantilena che i miei sonni cullava

aprendo agli occhi miraggi profondi:

navigli in rotta verso una lontana

isola, in mezzo ai flutti, ove raggiava

un sole ignoto, sopra ignoti mondi.

 

Memorie della Bella che a traverso

il bosco d'elci addussi in mia vittoria

mentre i merli fischiavano tra i rami,

della Bella cui pur ridea nel verso

l'illusione di futura gloria

e dolce cedeva ai miei richiami.

 

Memorie delle prime lotte quando

alzavo il capo in vano alla conquista

ultima, d'ogni più superba cima

e non vedevo il sangue che balzando

fuor dalle piaghe mi rendea la trista

battaglia inane, di quella ora prima.

 

O memorie, deserto ove già sono

le tombe delle cose che avverranno

e che saranno, come un tempo fu,

deserto immenso ove non giunge il suono

di voce umana e dove a schiera vanno

tutti i pensieri che non tornan più!

 

(da "La Città di Vita", Premiata Tip. dell'Umbria, Spoleto 1896, pp. 8-9)

 

 

 

 

RICORDI LA MARINA

di Tito Marrone (1882-1967)

 

Ricordi la marina

solitaria, quel giorno,

co' i brulli alberi a torno

umidi di pruina?

 

Ci rivolgemmo al sole

igneo su Favignana.

Due barche lente e sole

solcavan la fiumana

d'oro su l'acqua piana,

a 'l vespro novembrale.

L'anima autunnale

fu de 'l loco regina.

 

Arse l'estremo cielo

nel chiarore vermiglio.

La luna (parve un giglio

tenero su lo stelo,

 

un arco senza telo

apparso a l'orizzonte)

con la pallida fronte

vegliava la marina.

 

(da "Antologia poetica", Guida, Napoli 1974, p. 68)

 

Fernand Khnopff, "Memories"
(da questo sito web)



domenica 1 settembre 2024

Antologie: «Officina»

 

«Officina» (sottotitolo: Cultura, letteratura e politica negli anni cinquanta) è il titolo di un’antologia dedicata ad una delle migliori riviste letterarie italiane del secondo Novecento. Officina ebbe breve ma intensissima vita - i suoi numeri uscirono tra il 1955 ed il 1959 - e potè avvalersi di redattori e collaboratori molto prestigiosi; questi infatti furono inizialmente Francesco Leonetti, Pier Paolo Pasolini e Roberto Roversi; col tempo, ad essi si aggiunsero Franco Fortini, Angelo Romanò e Gianni Scalia. Nata come «Fascicolo bimestrale di poesia», in quella che potremmo definire la sua prima parte (1955-1958), fu pubblicata dalle Arti Grafiche Calderini; la seconda, invece, di brevissima durata (marzo-giugno 1959), vide la luce grazie all’editore Bompiani. Nelle pagine di Officina, oltre ai versi, alle prose e ai saggi dei collaboratori e dei redattori sopra citati, comparvero anche scritti di vario genere di altri scrittori famosi, come Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti, Carlo Emilio Gadda, Sandro Penna, Italo Calvino, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Giorgio Bassani, Paolo Volponi, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti e altri ancora. Ma per meglio chiarire il contenuto di questa antologia (pubblicata per la prima volta da Einaudi di Torino nel 1975), ho trascritto due frammenti esplicativi; il primo è tratto da un Nota del curatore Gian Carlo Ferretti, che precede il saggio introduttivo dello stesso:

 

Questo lavoro si propone anzitutto di valutare il significato che «Officina» ebbe nella seconda metà degli anni cinquanta (e risulta oggi) nel suo insieme, considerando perciò l’analisi delle sue singole personalità e dei suoi vari versanti sempre in funzione di quel significato più generale; e, ancora, esso si propone anzitutto di cogliere i nuclei ideali e culturali e metodologici e letterari del discorso complessivo della rivista, considerando perciò la verifica di ogni posizione o testo particolare sempre in funzione di quel discorso. Tutto questo con un’impostazione che vuol essere al tempo stesso informativa e sistematica, ma anche calata nel vivo del dibattito critico attuale. In tal senso si muovono l’introduzione, l’antologia, i vari apparati e le appendici degli inediti. Nell’impianto generale, perciò, e nella cura delle sezioni dei testi ripubblicati o pubblicati per la prima volta, si è cercato di applicare un criterio che fosse al tempo stesso agevole e pratico, ma rigoroso e documentato. […]¹

 

Il secondo frammento, che trascrivo interamente, fa parte della “Scheda bibliografica Einaudi”, ovvero un foglio di piccole dimensioni presente all’interno della seconda edizione (1978) di quest’antologia:

 

Le esperienze letterarie e culturali e politiche degli anni cinquanta, sono oggi al centro di un diffuso interesse. E questo libro porta appunto un prezioso contributo di riflessione storico-critica e di attualizzazione problematica e di documentazione in tal senso, perché ricostruisce per la prima volta una delle vicende intellettuali più vivaci di quegli anni, e perché al tempo stesso interviene attivamente su nodi che sono ancora da sciogliere.

«Officina», infatti, non rappresentò soltanto il terreno d’incontro (e di scontro) tra personalità che avrebbero avuto, in diverso modo, una parte sempre più rilevante nella vita culturale italiana (Fortini e Leonetti, Pasolini e Romanò, Roversi e Scalia, Calvino, Sanguineti e Volponi, oltre a certi «ospiti», come Gadda e Luzi e altri ancora); ma segnò anche una fase di fondamentale trapasso (1955-59), le cui implicazioni sono arrivate a investire gli stessi anni sessanta e settanta. Dall’«impegno» alla crisi del 1956, all’avvento del neocapitalismo, dallo storicismo alla stilistica ai primi apporti strutturalisti, dal crocianesimo a Gramsci a Auerbach, da Lukacs a Della Volpe a Barthes e Goldmann, dal «marxismo critico» all’esistenzialismo al neopositivismo, dall’antinovecentismo al realismo allo sperimentalismo, e così via: «Officina» si misurò con tutti i principali problemi (ideali e culturali, metodologici e letterari) di quel periodo, portando nel dibattito proposte originali e talora anche anticipatrici, e sviluppando – attraverso la sua concomitante ricerca poetica e critica – il tentativo più consapevole e avanzato di vivere intimamente le contraddizioni, gli attriti e le difficoltà del rapporto tra privato e pubblico, io e storia, linguaggio e realtà.

Rivista insieme antologica e di gruppo, eclettica e di tendenza, neoaccademica e militante, divisa tra vocazione artigiana e tensione scientifica, tra consapevole istanza extraletteraria e tenace letterarietà, tra rifiuto del mondo borghese e attrazione per esso, «Officina» concluse il suo ciclo proprio nel momento in cui l’intero orizzonte politico e culturale italiano cominciava a cambiare profondamente, e proprio nel momento in cui si profilava la stagione trionfante della nuova avanguardia. Ma la sua travagliata esperienza sarebbe ben presto apparsa ricca di insegnamenti fecondi e di indicazioni attive, al di là di ritardi e limiti e irrisolti contrasti (e, talora, anche grazie ad essi).

Impostato su un organico saggio introduttivo, su una vasta scelta di testi della rivista (tanto più utile, quanto più introvabili sono ormai da tempo i suoi tredici fascicoli), e su una serie di esaurienti apparati, questo libro si vale largamente delle dirette testimonianze attuali dei protagonisti e presenta alcuni documenti inediti di vivo interesse.

 

In conclusione, ecco l’elenco dei nomi - in ordine alfabetico - degli scrittori presenti nella sezione antologica (coloro che vi compaiono con dei versi sono contrassegnati con un asterisco).

 


«Officina»

Cultura, letteratura e politica negli anni cinquanta

 

Attilio Bertolucci*, Italo Calvino, Massimo Ferretti*, Franco Fortini*, Carlo Emilio Gadda, Francesco Leonetti*, Mario Luzi*, Elio Pagliarani*, Pier Paolo Pasolini*, Clemente Maria Rebora*, Angelo Romanò, Roberto Roversi*, Edoardo Sanguineti*, Camillo Sbarbaro, Gianni Scalia, Paolo Volponi*

 

NOTE

1)     Da «Officina», Einaudi, Torino 1978, p. XI.

domenica 25 agosto 2024

Poeti dimenticati: Farfa

 Farfa (pseudonimo di Vittorio Osvaldo Tommasini) nacque a Trieste nel 1879 e morì a Sanremo nel 1964. Fu pittore, scultore e poeta ed ebbe un ruolo importante all’interno del movimento futurista. Proprio Marinetti – fondatore del Futurismo – nel 1932 volle premiarlo definendolo «poeta record nazionale», per aver scritto una lirica in memoria dell’architetto Antonio Sant’Elia. Appartenne alla generazione dei “Nuovi Poeti Futuristi” (di cui uscì un’antologia nel 1925), pur avendo, in quel periodo, già superato da tempo i quarant’anni. Le sue migliori poesie sono raccolte in Noi, miliardario della fantasia (1932), volume che ebbe l’onore di contenere una prefazione scritta da Filippo Tommaso Marinetti.  

 

 

Opere poetiche

 

“Noi, miliardario della fantasia”, La Prora, Milano 1932.

“Poema del candore negro”, La Prora, Milano 1935.

“Marconia”, Officina d’Arte, Savona 1938.

“Ovabere”, Gutta de Guttis, Genova 1960.

“Tuberie e 7 ricette”, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano 1964.

“Farfa, poeta record nazionale futurista”, Sabatelli, Savona 1970.

 



 

Presenze in antologie

 

"Le cinque guerre. Poesie e canti italiani", a cura di Renzo Laurano e Gaetano Salveti, Nuova Accademia Editrice, Milano 1965 (pp. 262-263).

"Poesia italiana del Novecento", a cura di Edoardo Sanguineti, Einaudi, Torino 1969 (volume secondo, pp. 653-662).

"I poeti del Futurismo 1909-1944" a cura di Glauco Viazzi, Longanesi & C., Milano 1978 (pp. 564-576).

"Poesia surrealista italiana", a cura di Beatrice Sica, San Marco dei Giustiniani, Genova 2007 (pp. 131-134).

 

 

Testi

 

IL MATTINO

 

azzurro

bellezza

rugiada

ossigeno

passeri

sussurro

 

macché

macché

risveglio

balzo

abiti

gabinetto

abluzioni

caffè

 

(da "Farfa, poeta record nazionale futurista", Sabatelli, Savona 1970, p. 88)

 

 

 

 

POE D'AMERICA

 

baudelaire di francia

heine di germania

wilde d'inghilterra

poeti creatori

e maledetti

ribelli tormentati

malgiudicati ieri

masnadieri della penna

oggi glorificati

 

sublimi amici

l'umanità di quel lato

non progredì

un millimetro solo

dal medioevo in qua

 

il poeta

deve ancora morire

prima che possa salire

la sua celebrità

 

e dopo

e dopo

ancora come voi

non può più uscire

per infierire

contro gl'imbecilli

che vedono sempre in ritardo

che si ravvedono poi

non può gustar la gioia

di levar loro gli occhi

per giuocar con essi allegramente

i birilli!

 

(da "Farfa, poeta record nazionale futurista", Sabatelli, Savona 1970, pp. 137-138)

 

 

 

 

AI BAGNI

 

le onde

rotonde

sodamente rosa

di cosce anche seni femminili

sembravano la liquidazione

del soprastante sole

sferico di carne originale

 

(da "Farfa, poeta record nazionale futurista", Sabatelli, Savona 1970, pp. 182-183)