Come sembrano già
così lontani i “mitici” anni ’60… Io, in questo decennio ci nacqui, ma,
certamente per motivi d’età, non ricordo nulla o quasi di quel periodo
decisamente felice per la nostra nazione; pure, in un non lontanissimo passato,
ho visto tanti documentari, servizi giornalistici e film che ne parlavano
spesso in modo entusiastico; inoltre amo la musica pop che, in questo preciso
decennio, si diffuse in modo abnorme, grazie alla proliferazione dei dischi in
vinile (a 33 e a 45 giri), che era possibile ascoltare in casa comperando un giradischi:
elettrodomestico di piccole dimensioni e alla portata di tutti, che si avvaleva
di un piatto girevole su cui veniva posizionato il disco, e un braccio alla cui
estremità si trovava una puntina. Anche i miei genitori mi parlavano spesso e
sempre in modo positivo degli anni ‘60, poiché entrambi, proprio all’inizio del
settimo decennio del Novecento, trovarono un posto di lavoro adeguatamente retribuito e stabile,
che gli permise di vivere senza troppi problemi economici per il resto della loro
vita. In effetti, il periodo compreso tra il 1960 ed il 1969 ha rappresentato
una svolta decisiva per l’Italia, che, soprattutto nei primissimi anni di
questo decennio, beneficiò del cosiddetto “boom”: una sorta di miracolo
economico che consentì ad una larga fascia della popolazione di uscire da uno
stato di povertà in cui si era ritrovato dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale. Poi ci fu il ’68: l’anno in cui iniziò la contestazione giovanile
(fenomeno che coinvolse altri paesi europei come Francia e Germania Ovest) e
che, ahimè, nel nostro paese sfociò nel terrorismo degli anni ’70. E gli anni
’60 finirono per diventare qualcosa di favoloso anche per me, che praticamente
non li ho vissuti. Ma, come ho già detto all’inizio, oggi questo decennio così
importante per la nostra nazione, sembra già dimenticato; e diventa sempre più
raro sentirne parlare, anche perché le generazioni che lo hanno attraversato e
analizzato o sono già scomparse, o non vengono più interpellate al riguardo. Ho
voluto così rievocarli pubblicando 10 poesie di 10 poeti italiani in cui essi
sono protagonisti diretti o indiretti. Ma in questi versi quasi mai c’è
entusiasmo; piuttosto si punta l’attenzione su determinati eventi accaduti
proprio in quel decennio, alcuni dei quali drammatici o tragici; oppure si
esterna una seria preoccupazione per il graduale diffondersi di un capitalismo
sempre più selvaggio. In altri casi, vengono ricordate delle date memorabili per
la popolazione mondiale (come quella del 21 luglio 1969, quando l’uomo, per la
prima volta riuscì a toccare il suolo lunare). Unica eccezione è la prosa
poetica di David Maria Turoldo, che conferma l’impressione estremamente positiva
da lui avuta in quel contesto storico, che vide l’ascesa al potere di alcuni
personaggi straordinari, apparentemente in grado di cambiare il mondo. Poi,
però, con amarezza ammette che si trattò soltanto di una mera illusione.
IL DECENNIO 1960-1969 IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO
2 NOVEMBRE 1962
di Fernando
Bandini (1931-2013)
I puteli notturni
hanno sorvolato
(cavalcando le
folaghe)
La base della
Nato.
Luccicavano
appena
tra nuvole di
perla
e i rami
dondolavano
nel tempo che
s’inverna.
Armi qua e là
Puntate verso il
cielo!
I puteli
fuggivano
Al prossimo
sfacelo.
E l’àlbera
tremava
nei miei occhi e
nel cuore.
Aver trent’anni e
tanta
Paura e
disamore!
(da "Tutte
le poesie", Mondadori, Milano 2018, pp. 46-47)
25 LUGLIO ‘67
di Ferruccio
Benzoni (1949-1997)
Stentorea
in un visibilio
di luce
che pare scolpita
la voce,
il lembo d’un
prendisole…
È quanto di lei rimane
Tra il paesaggio marino e
me
Immobili nel ricordo.
(Si sollevasse una brezza
un alito
e un poco di verde tremasse
cautamente
dalla cima delle piante
alla punta
delle mie dita)
(da “Dopo la lirica. Poeti
italiani 1960-2000”, Einaudi, Torino 2005, p. 368)
VERSI SCRITTI IL
GIORNO DELLA MORTE DI J. F. KENNEDY
di Attilio
Bertolucci (1911-2000)
Amica America America primo amore
non potevamo più
pronunciare quei titoli amati
e neppure America amara che ne era il rovescio
giudizioso e
perfido forse accettabile
sempre giocati su
quella vocale femmina di lunghe gambe
le lunghe dure
gambe americane fatte per grandi spazi.
Non potevamo più
controtipare dal fondo
semidistrutto
della nostra memoria
di Douglas
Fairbanks
gattescamente
librato
sulla pellicola
rigata i salti
con
accompagnamento al piano di Alexander
ragtime Band
perché eravamo
rimasti senza udienza.
Né - udite -
litaniare Poe Hawthorne Melville Dickinson Whitman -
né Stephen Crane
più a misura d'uomo -
di quei semidei
che orme gigantesche
stamparono sulla
terra e scomparvero
senza eredi -
Stephen
e più tardi
Ernest e Francis Scott
che ci diedero in
prosa una musica umile
degna dei versi
più splendenti.
Ora potremo
grazie a te. Così sia.
(da "Verso
le sorgenti del Cinghio", Garzanti, Milano 1993, pp. 25-26)
SETTEMBRE 1968
di Franco Fortini
(1917-1994)
Quest’anno ne
ripete molti altri. La venuta
del caldo, per
esempio. Il grande caldo
si è tutto
sfogato nella prima quindicina di luglio.
Gli studenti, le riunioni. Torino. Parigi. Berlino. I
colpi
a Dutschke, sotto Pasqua. I giorni di maggio. La lotta
a Shanghai. Ieri i russi a Praga; o è da quindici
giorni, già da trenta giorni.
Stenta la
coscienza a seguire questo volo profondo.
L’azzurro è
profondo. Il viola è denso e il verde
Sulla dorsale di
pini e cipressi.
Dove la dorsale
del poggio va in ombra è molta ombra.
Poco fiato leva
le piume bianche
Dei cardi ed esse
in processione
Senza pena vanno
senza peso
Sempre più nell’aria
lasciano l’ombra
Entrano nella
luce rosa.
Stringo nella
tasca una lettera di stamani.
(da “Tutte le
poesie”, Mondadori, Milano 2015, p. 416)
NINNA-NANNA PER
IL 21 LUGLIO 1969
di Luciana Frezza
(1926-1992)
Va a letto,
bambina curiosa,
prendi il tuo
piccolo tranquillante
verde prato e
riposa
in un’amaca di
raggi d’argento.
Ma mille fili
Mille segnali
Mille richiami
Attraversano il
baldacchino
Del tuo sonno di
cellophane.
Sta certa
Ti sveglieremo
All’ora che
aspetti, di questa
Notte d’epifania
lunare.
(da
"Comunione di fuoco. Opera poetica", Editori Riuniti, Roma 2013, p.
276)
Da
"TELEGIORNALE (1963-1964)”
di Gino Gerola
(1923-2006)
5
È subito silenzio
nel bar. Lo
speaker turba la sua voce,
un attimo
s’affaccia
sullo schermo. Un
ronzo cupo
è nell’aria: - La
vallata del Piave
è un cimitero:
brandelli di abitazioni,
i morti nudi che
dormono
in un mare
angosciato. I superstiti
raspano tra le
macerie,
i soldati che
scavano muti
riportano nel
giorno
solo la morte -.
Sul video nereggiano
figure in una
luce
spettrale, la
gola del Vajont
s’apre contro la
diga
tra le montagne a
picco. Qui nella penombra
la piccola folla
ha un solo
sguardo, teso. Una cascata
impazzita è il
rombo delle macchine
per le strade
d’intorno.
[da "La
valle e periferia (1943-1995)", Edizioni Osiride, Rovereto 2001, p. 96]
FU LA SERA
IMPROVVISA...
di Margherita
Guidacci (1921-1992)
Fu la sera
improvvisa, non nel corso del tempo.
E non ebbe
corteggio di gloria occidentale
Né bandiere di
fiamma che ondeggiassero
Sui confini del
cielo
Nel lento addio,
promessa del ritorno.
Fu come se il
pugnale di un sicario
Trafiggesse alle
spalle il sole inconsapevole.
L'empio tramonto
nell'oriente
(Luce mutata in
pietra, foglie mutate in piombo,
Acque abbrunate
in un immenso lutto)
D'ogni creatura
fece statua silente
E dell'aria
cinerea
L'opaco specchio
del mortale orrore.
(da "Le
poesie", Le Lettere, Firenze 1999, p. 150)
IN TANTO SPRECO
DI RESPIRO UMANO
di Nelo Risi
(1920-2015)
In tanto spreco
di respiro umano
in tanti mattoni
per gli ultimi piani
in tanta neve
spazzata ogni tanto e con tutta la merce
portata dai
camion nelle notti di gelo
gli uomini,
dentro, resistono bene.
Lavorano dietro i
tavoli su sedie di paglia
o affondati in
poltrone, hanno anche un orario
qualcosa di caldo
per colazione e magari
la macchina poi
che li porti a casa.
Tutti hanno un
letto. Sono due modi però
di lavorare nella
stessa città.
[da "Di
certe cose (poesie 1953-2005)", Mondadori, Milano 2006, pp. 55-56]
GIOVANNA E I
BEATLES
di Vittorio
Sereni (1913-1983)
Nel mutismo
domestico nella quiete
pensandosi
inascoltata e sola
ridà fiato a quei
redivivi.
Lungo una
striscia di polvere lasciando
dietro sé schegge
di suono
tra pareti
stupefatte se ne vanno
in uno sfrigolìo
i beneamati Scarafaggi.
Passato col loro
il suo momento già?
Più volte agli
incroci agli scambi della vita
risalito dal
niente sotto specie di musica
a sorpresa
rispunta un diavolo sottile
un infiltrato
portatore di brividi
- e riavvampa di
verde una collina
si movimenta un
mare -
seduttore
immancabile sin quando
non lo
sopraffanno e noi con lui altre musiche.
(da "Il
grande amico. Poesie 1935-1981", Rizzoli, Milano 1990, p. 160)
Da "AI TEMPI
DI PAPA GIOVANNI"
di David Maria
Turoldo (Giuseppe Turoldo, 1916-1992)
Sì, io ho creduto
fino al punto di ritirarmi nel suo paese, di mettermi a vivere qui, a camminare
per queste mulattiere, in mezzo ai suoi vigneti; a guardare dal monte gli spazi
e il cielo che lui si era portato con sé per le strade dell'oriente e
dell'occidente, fin dalla sua infanzia; qui in mezzo alla sua gente.
Vivevo allora da solo e dormivo in una torre
di mille anni. E da quelle finestrelle guardavo giù tutta la pianura. E dovevo
entrare da una porticina piccolissima, cosicché dovevo curvarmi, e ogni volta che
uscivo avevo la sensazione di inchinarmi di fronte alla creazione. E godevo di
tutte le più piccole cose; e della mia vocazione, e della volontà di donarmi;
godevo specialmente a stare con gli umili e coi fanciulli. E ho creduto
veramente nella possibilità di un mondo nuovo, o comunque diverso. Speravo che
la storia dovesse cambiare. Era il tempo di Kennedy, il tempo di Krusciev. Non
so che tempi fossero. Ora mi sembrano una favola. Oppure ci siamo tutti
sbagliati?
(da "O sensi
miei... Poesie 1948-1988", Rizzoli, Milano 2002, p. 359)