sabato 16 aprile 2016

Da una lettera di Enrico Thovez

[...] Ho letto in questi giorni qualche brano della conferenza del Fogazzaro a Parigi sul «poeta dell'avvenire». Quando ho letto che il poeta futuro dovrà avere un alto concetto della femminilità; ristabilire nella letteratura gli elevati tipi ideali di altri tempi, se vorrà che la sua arte sia grande, ho provato come un bisogno di gridare di sdegno e di dolore. Io non so se esista un poeta più di me convinto di quella necessità; io non credo che nessuno mai sia come me nato con un violento, struggente bisogno di elevatezza amorosa, con una fede più salda, più ingenua nell'idealità femminile. Ma dove è il cuore che avrebbe potuto conservare intatto quel tesoro, attraverso una vita come la mia? Se anche io potessi rinunciare all'amore, se potessi rassegnarmi a vivere soltanto dei fantasmi della mente, non potrei più rievocare quell'ideale scaduto, sgretolatosi giorno per giorno in quindici anni di disinganni. Io non sono pessimista per partito preso, come (xxx), il quale per consolarsi delle amarezze sofferte coinvolge in un uguale disprezzo tutta la femminilità; io dico soltanto che la sorte mi ha impedito di conoscere quei rari casi di femminilità degna, che pure debbono esistere. Quando penso che non c'è in tutta la mia città un viso che mi faccia sognare, un cuore che mi desti uno slancio d'entusiasmo! Quando penso che tutto ciò che vedo, che odo intorno all'amore è basso, ignobile o quanto meno mediocre, che non posso nemmeno consumarmi in segreto come da fanciullo, perché nulla di degno v'è più anche fra l'irraggiungibile! Quando penso che io vivo fra le ripulse di una sartina ed i sorrisi ironici di un'istitutrice, e che queste derisioni di amore mi sono pure invidiate da mio fratello, da (xxx) e forse da te, e insidiate poi da moltissimi! Idealizzare questa realtà meschina? È ciò che faccio. Ma se io posso avvolgere della poesia del mio desiderio la banalità della materialità amorosa, non posso però creare delle anime che non esistono e infonderle in quei corpi che non potrebbero contenerle. Brutta cosa non essere un letterato puro! Avere una sensibilità e possedere una tecnica pittorica e plastica! non è più possibile sorvolare sulla corrispondenza intima fra la sostanza e la forma, fra l'anima e il corpo. [...]

(Da una lettera di Enrico Thovez datata: 25 marzo 1898)

lunedì 4 aprile 2016

Poeti dimenticati: Marino Marin

Nacque a Corcrevà di Bottrighe nel 1860 e morì ad Adria nel 1951. Dopo gli studi entrò come dirigente nel comune di Adria, dal quale incarico fu messo a riposo nel 1914 per una grave malattia agli occhi che alcuni anni dopo lo fece diventare cieco. Poeta classicista, pascoliano e, in alcune raccolte decadente, i suoi versi furono così definiti da Ugo Zannoni: « [...] questa poesia è un'immersione profonda nell'incanto della natura e nel sentimento dell'amore e del dolore. Agreste nel senso più forte della parola, pare che voglia cogliere il respiro della terra e il candore mite delle cose della terra. Anima la sua solitudine di note dolci e accorate e percepisce il senso nascosto di ogni manifestazione di vitalità, specie se si effonde dal fremito creativo della terra».



Opere poetiche

"Humus", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1892.
"Sonetti secolari",  Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1896.
"Voci lontane", Barboni, Castrocaro 1898.
"Luci e ombre", Zanichelli, Bologna 1904.
"Narciso", Società Editrice «Avanguardia», Lugano 1907.
"Le Opere e i Giorni", Frisia, Milano 1920.
"Espiazione", Zanichelli, Bologna 1923.
"Rassegnazione", Zanichelli, Bologna 1927.
"Sprazzi di luce", Scarpa e Gambaro, Adria 1930.
"La voce della Gran Madre Antica", «Quaderni di Poesia», Milano 1933.
"Alle soglie dell'infinito", Tempo nostro, Adria 1935.
"Poesie scelte", Il Polesine, Rovigo 1938.
"Vecchie campane", Gastaldi, Milano-Roma 1949.





Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 398-399).
"Poeti delle Venezie", a cura di Federico Binaghi e Guido Marta, Zanetti, Venezia 1926 (pp. 142-147).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. IV, pp. 170-183).
"L'Adunata della poesia", 2° edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. 374-376).
"Cenacolo: Antologia di poeti d'oggi", a cura di Francesco Addonizio e Francesco Giovinazzo, Luce Intellettual, Palermo 1931 (pp. 206-211).
"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 241-247).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (volume secondo, p. 161).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 347-351).



Testi


VITA MINIMA

Volteggiano e ronzano in aria
i gai moscerini: tra il verde,
che ombreggia la via solitaria,
il murmure sale e si perde.

Che fremito d'ali, che festa
d'aerei connubî e di balli
allor che il pio sole ridesta
sereno i maggesi e le valli!

Il vol de le innumeri vite,
cui nutre un fil d'erba, dispiega
le fulve ali tenere in frega
su l'umide siepi fiorite.

Sgusciata staman, la vivace
tribù degli insetti già figlia:
decrepita a sera avrà pace
nel picciolo avel di famiglia:

nel picciolo avel di lor gente
scavato, opra inver gigantesca,
su un verde cespo di mente
o in seno a una mammola fresca.

(Da "Voci lontane")

lunedì 28 marzo 2016

Poeti dimenticati: Luigi Crociato

Luigi Krischan dei conti di Wurmberg (in arte Luigi Crociato) nacque, visse e morì a Trieste tra il 1870 ed il 1935. Dopo gli studi calssici si dedicò all'insegnamento con zelo ed entusiasmo. Fu poeta, prosatore e drammaturgo. Per ciò che concerne la sua opera poetica, Crociato si dimostrò lirico aperto alle nuove tendenze (fece uso abbondante del verso libero) e toccò temi riguardanti la tradizione, la filosofia e la religione. Il suo libro migliore, dominato da una visionarità a volte lugubre, è "Canta il selvaggio", che fu lodato, tra gli altri, da Silvio Benco.



Opere poetiche

"L'ulivo", Tipografia Tomasich, Trieste 1900.
"L'ampolla", Editrice Cittadini, Trieste 1908.
"Canta il selvaggio", Voghera, Roma 1912.
"La tragedia divina", Zanichelli, Bologna 1926.
"Le ultime liriche", Società artistico letteraria, Trieste 1969.





Presenze in antologie

"Poeti italiani d’oltre i confini", a cura di Giuseppe Picciòla, Sansoni Firenze 1914 (pp. 242-244).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 525-530).



Testi



SONNO DI VILLA

Dan canti a la messe;
dan musiche al tino;
dan tela a chi tesse.

Dan ombra al camino;
dan fede ai lontani;
dan serti al destino.

Dan rose a le mani;
dan l'ore promesse;
dan tutto..., domani.

Le nove! e nove volte
batte il gallo col rostro di bronzo
su la campana, e numera
le speranze che tornan furtive,
stelle filanti,
e si spengono in seno a la villa
che ha sonno...

Schiude in cielo la chiara finestra
del plenilunio
San Floriano, con secchia e molt'acqua
cerulea, ch'ei versa sui tetti,
intenti a una mandolinata
di grilli.

Stan, là intorno due frassini,
guardie campestri.
Per la strada bagnata di luna
passano due anime:
il cieco e l'armonica. Al bivio
c'è una casa:
c'è un gatto con occhi di lume
che spia.

Van le due anime a destra; a sinistra,
su la palancola
del torrente, va un altro fantasma,
che si ferma,
perché a battere torna quel gallo.

Dieci volte! Di nove è il ricordo,
la decima fila!
Fila, e si spegne ne l'acqua
che ha fretta,
e dall'amplesso dei salci
si svincola... fugge...
«Beata la villa che dorme...»
Continua la strada
quel fantasma: lo spirito mio...

(Da "Canta il selvaggio")

Mattina

M'illumino
d'immenso



COMMENTO


In questa poesia, Giuseppe Ungaretti (1888-1970) raggiunse l'apice della sinteticità e dell'essenzialità di tutta la sua opera in versi. Rispetto alla lirica vera e propria risulta assai più lunga l'annotazione che la precede ne "L'Allegria" (1942), libro dal quale proviene, che è questa: "Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917". La poesia (se di poesia si può parlare) comparve per la prima volta nel 1918, col titolo Cielo e mare, su un volume intitolato "Antologia della Diana", e, col medesimo la si ritrova in "Allegria di naufragi", secondo libro poetico ungarettiano del 1919.



Giuseppe Pellizza da Volpedo, "Mattino di maggio"

venerdì 25 marzo 2016

Antologie: Antologia della lirica italiana - Ottocento e Novecento (a cura di Carlo Culcasi)

Questa antologia di Carlo Culcasi molto somiglia ad un'altra, uscita più o meno nello stesso periodo, curata da Enrico M. Fusco, di cui mi sono occupato tempo addietro. Praticamente è un viaggio della poesia italiana di circa due secoli: XIX e XX, che privilegia i nomi fino a quel momento ritenuti più degni di comparire. Ma, se è vero che per quanto riguarda l'Ottocento, ormai i giochi potevano considerarsi fatti, e quindi il curatore si poteva adeguare ad una comune valutazione critica già attuata in altre prestigiose antologie, per il Novecento, non ancora giunto alla sua metà, tale ragionamento era impossibile. Da qui la scelta di nomi diversissimi fra loro, che in parte si rifanno ad altre selezioni, più o meno recenti, effettuate in base ad una valutazione che concepiva la nuova poesia come continuazione della tradizione passata, e che per questo privilegiava coloro che avevano amato seguire la lezione dei "vati" (Carducci, Pascoli e D'Annunzio); in minor misura, invece, viene dato spazio a poeti emergenti che in qualche modo intendevano rompere con la tradizione per intraprendere nuove strade. Come è noto, negli anni successivi, critici che rispondono ai famosi nomi di Anceschi, Contini, Spagnoletti, Sanguineti e Mengaldo fecero piazza pulita di quei poeti legati troppo al passato, lasciando campo libero agli innovatori. Questa antologia rimane quale esempio per capire come si andava evolvendo il lavoro dei critici letterari, mentre il Novecento avanzava: è, sostanzialmente, una selezione di metà strada, con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti.





ELENCO DEI POETI PRESENTI NELL'ANTOLOGIA

Vincenzo Monti, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Giovanni Berchet, Niccolò Tommaseo, Aleardo Aleardi, Giovanni Prati, Giacomo Zanella, Ippolito Nievo, Giosue Carducci, Domenico Gnoli, Emilio Praga, Enrico Panzacchi, Antonio Fogazzaro, Arrigo Boito, Mario Rapisardi, Giovanni Camerana, Arturo Graf, Giovanni Marradi, M. A. Bonacci Brunamonti, Olindo Guerrini, Giuseppe Picciola, Riccardo Pitteri, Vittoria Aganoor Pompilj, Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Guido Mazzoni, Giovanni Alfredo Cesareo, Pompeo Bettini, Giulio Salvadori, Alfredo Baccelli, Gabriele D'Annunzio, Adolfo De Bosis, Angiolo Silvio Novaro, Sebastiano Satta, Luigi Pirandello, Pietro Mastri, Giovanni Bertacchi, Enrico Thovez, Antonino Anile, Giovanni Cena, Ada Negri, Ettore Romagnoli, Francesco Chiesa, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Guelfo Civinini, Riccardo Balsamo Crivelli, Emilio Agostini, Paolo Buzzi, Angelo Gatti, Luigi Orsini, Vincenzo Gerace, Francesco Pastonchi, Giuseppe Lipparini, Massimo Bontempelli, Giulio Gianelli, Francesco Gaeta, Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Guido Gozzano, Ofelia Mazzoni, Umberto Saba, Corrado Govoni, Dino Campana, Arturo Onofri, Aldo Palazzeschi, Marino Moretti, Sergio Corazzini, Vincenzo Cardarelli, Diego Valeri, Giosuè Borsi, Luciano Folgore, Giuseppe Ungaretti, Vittorio Locchi, Giuseppe Villaroel, Ugo Betti, Lionello Fiumi, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo



VOCI NUOVE E NUOVISSIME


Guido Pusinich, Sibilla Aleramo, Francesco Vivona, Giorgio Umani, Massimo Spiritini, Giuseppe Longo, Edoardo Mottini, Federico De Maria, Carlo Delcroix, Sebastiano Mineo, Mariano Rugo, Giovanni Titta Rosa, Cesare Meano, Giuseppe Zoppi, Nicola Moscardelli, Adriano Grande, Elpidio Jenco, Giuseppe Ravegnani, Luigi Fallacara, Fernando Losavio, Renzo Pezzani, Carlo Betocchi, Carlo Martini, Alfonso Gatto, Aldo Capasso, Amalia Guglielminetti, Maria Barbara Tosatti, Antonia Pozzi, Paola Moretta, Marianna Giudici, Angela Talli Bordoni.

domenica 20 marzo 2016

Il futuro nella poesia italiana decadente e simbolista

Vi sono disparate e fantasiose interpretazioni del futuro: c'è chi (Chiaves e Marrone) s'immagina il post mortem e vede la propria anima che spia i beffardi e cinici comportamenti dei vivi, oppure immagina mondi paradisiaci dove vivere una seconda, più tranquilla esistenza. Graf vede la Terra ormai spopolata da qualsivoglia forma vitale; Ruberti si vede già vecchio e rassegnato, cercare di cogliere il buono della vita anche nella tarda età. La poesia della Giaconi è, in sostanza, un'esortazione a vedere ottimisticamente il futuro, mentre la Aganoor esprime un desiderio, o meglio una preghiera, perché cessi il gelo (interiore?) e giunga finalmente la bella stagione. Decisamente pessimiste sono le poesie di Camerana e di Cena; misteriosa e inquietante quella di Donati Pétteni, il quale descrive i terribili presentimenti di un bambino che riesce a percepire il futuro.   



Poesie sull'argomento

Vittoria Aganoor: "Fantasia" in "Leggenda eterna" (1900).
Giovanni Camerana: "E tu salivi la campagna bionda" in "Poesie" (1968).
Giovanni Cena: "Dopo il festino" in "Homo" (1907).
Carlo Chiaves: "Pessimismo" in "Sogno e ironia" (1910).
Gabriele D'Annunzio: "Innanzi l'alba" in "Alcyone" (1904).
Federico De Maria: "C'è qualche cosa..." in "La Ritornata" (1932).
Giuliano Donati Pétteni: "Presentimenti" in "Intimità" (1926).
Luisa Giaconi: "Il domani" in "Tebaide" (1909).
Arturo Graf: "È morta la vita" in "Medusa" (1890).
Giuseppe Lipparini: "L'inconsapevole" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "Ancora" in "Liriche" (1904).
Nino Oxilia: "Aspettando una donna" in "Gli orti" (1918).
Guido Ruberti: "L'ultimo sogno" in "Le fiaccole" (1905).



Testi

E TU SALIVI LA CAMPAGNA BIONDA
di Giovanni Camerana

E tu salivi la campagna bionda
E sulle labbra ti fioriva il canto,
Ma ti attendeva la vallea profonda,
La vallea dei fantasmi e l’ombra e il pianto...

(Da "Versi", 1907)




PESSIMISMO
di Carlo Chiaves

Vorrei provar la dolcezza
di morire, ma per un giorno,
di andarmene con la certezza
di fare pronto ritorno.

Per ascoltare, dal fondo,
pur di una cassa, una volta,
pensare e discorrere il mondo
ignaro di quegli che ascolta.

Come fino a questo momento,
sono stato un ragazzo di cuore,
avrei un accompagnamento
degno di un grande signore.

E come i fiori mi piacciono
e l'ho già detto, son certo
che ne sarebbe il mio feretro
addirittura coperto.

Dal fondo del mio segreto
non senza una qualche apprensione,
starei, attento e inquieto,
a udir la conversazione.

Verrebbero a passi uguali,
con viso di circostanza,
per dir le cose banali,
degli uomini d'importanza:

- È morto! - Già, è morto! - Si tace,
si pensa un qualche minuto.
- È morto! riposi in pace! -
Avrei, non vi pare? creduto

che in questa vita terrena
avrebbe fatto di più -
Vi accerto, ho provato gran pena...
Diamine, gli davo del tu! -

Però non sarebbero certo
tutti i discorsi così,
da uomo vissuto, esperto,
ne ho uditi tanti fin qui!

- Che bella giornata! - Peccato! -
Che strano contrasto! Ier sera
faceva caldo! - Beato!
È morto di Primavera -

Chi è quella donna? - Non vedo!
Ah! quella dal velo nero?
Carina! Possibile? - Credo!
- Che fosse tanto leggero?

- Mah! povero diavolo! - Oh! spesso
è meglio ancora: ed intanto
quando si ha molto promesso,
si lascia molto rimpianto -

- Aveva un certo carattere -
- Ha fatto qualche buon verso -
- Ingegno? No! un po' di spirito,
ma... spirito da tempo perso! -

Dal fondo del mio segreto,
non senza una qualche apprensione,
starei attento e inquieto
a udir la conversazione.

Ma certo sarebbe un po' amaro,
dal fondo de la mia bara,
sentire l'amico più caro
dire a l'amica più cara:

- Non piangere! riposa in pace,
sta meglio! Faremo la festa
stanotte, se non ti dispiace:
è andato, evviva chi resta!

Non te ne sei mai accorta,
che odio la finzione?
ormai passerò da la porta
invece che dal tuo balcone! -

Oh! meglio ancora qualche anno
vivere, tranquillo ed ignaro,
cullandosi nel placido inganno
che ognuno vi parli ben chiaro.

Persuasi che l'amante sicura,
non sogni più fulgidi eroi,
quando vi abbraccia e vi giura
di vivere soltanto per voi.

E, se un bel giorno bisogni
troncare ogni desiderio,
dormire, ma senza sogni,
oh! meglio dormire sul serio.

Con freddo il cuor di ogni palpito,
e di ogni lume il pensiero,
ed obliare e confondere tutto:
i fantasmi e il vero!

(Da "Sogno e ironia", 1910)




John Charles Dollman, "The Unknown"

lunedì 14 marzo 2016

Poeti dimenticati: Silvio Pagani

Nacque a Milano nel 1867. Amico di Gian Pietro Lucini, partecipò al cenacolo poetico formatosi nel capoluogo lombardo durante l'ultimo decennio del XIX secolo, che precorreva in Italia la pratica della poesia simbolista. Scrisse alcune azioni drammatiche, un romanzo e dei racconti.



Opere poetiche

"Lo specchio della dolorosa esistenza" (azione drammatica), Galli di C. Chiesa e F. Guindani, Milano 1895.
"Selve pagane" (azione drammatica), Galli, Milano 1897.
"L'anacoreta" (scherzo drammatico), Stab. Tip. Carlo Aliprandi Edit., Milano 1899.
"Asht'Avakragita, o Il canto di Asht'Avakra" (poemetto indiano), Sonzogno, Milano 1903.
"Aping il savio" (dramma allegorico), Pallestrini, Milano 1907.
"Leonardo da Vinci e Faust" (quadro scenico in versi), Casa ed. del "Pensiero Latino", Milano 1907.



Testi

A RICCARDO WAGNER

Vengono a l'alba, poi che il Re li chiama
da le selve col suon lungo del corno,
vengon gli eroi che per Wagner han fama;
salgono il monte a lo spuntar del giorno.
Così Luigi ogni anno li richiama:
Al Tegel fan gli spiriti ritorno:
ivi s'adunano in solenne ammanto
il sommo Vate a celebrar col canto.

Nell'ampia valle al chiaro sol nascente
splendono i laghi, e da l'eccelsa fonte
balza sfumando e brilla ogni torrente
giù pei declivi rapidi del monte.
Qui dove s'apre il fresco dì lucente
vien Parsifàl, che il nuovo raggio ha in fronte,
viene Tristan col fido Kurvenaldo, 
e Sigfried, che l'amor fe' ardito e baldo.

Tannhauser vien, che una devota e pia
prece ha sul labbro e tanto ardor nel seno:
ei passa e fa con dolce melodia
di novo incanto il bosco e l'aer pieno:
mistiche voci su l'alpestre via
scendono a lui dal ciel puro e sereno,
e già l'attende su l'aperta vetta
tra serafici cori Elisabetta.

E silenzioso e cupo, in bruna vesta,
vien l'Olandese, il pallido nocchiero.
Folgori e tuoni e nembi e ria tempesta
eternamente sogna il suo pensiero:
sibila il vento sovra la sua testa,
e, ancor che azzurro, è il cielo orrido e nero:
pace non sa, l'amor cerca e sospira,
l'amor che solo placherà quest'ira.

Ma da l'estremo ciel dov'è serena
più l'aria e più del suo splendor s'avviva,
in vaga conca che un bel cigno mena
vien Lohengrin con fronte alta e giuliva.
Ei canta e s'ode da lontano appena
la voce sua ch'amor scalda e ravviva:
taccion le selve a l'inusato incanto;
lento su l'aria ei s'avvicina intanto.

Candido e lieve il cigno innanzi viene,
dietro si trae la navicella, lento,
e dove passa alto silenzio tiene
il bosco, il monte, il prato e cade il vento,
si schiara il ciel, si fan l'aure serene,
piove letizia e celestial contento:
vengono intorno al biondo cavaliero
stupore, ardor, pietà, pace e mistero.

Lorica e scudo ei lbell'elmo d'argento
tutto risplende più che diamante:
ritto egli sta con nobil portamento,
certo ripensa in cor l'incauta amante,
il casto bacio, il rio tradimento
e la fiorita spiaggia del Barbante,
dove al popol raccolto e ai cavalieri
palesi fe' del Graal gli alti misteri.

Per vie diverse, con diversa fronte
all'erta rupe ognun così s'appressa,
e poi che tutti omai li accoglie il monte
ogni rumor, ogni bisbiglio cessa:
levasi un nembo allor da l'orizzonte
e a l'occhio uman la cima fa inaccessa,
ché in vel di nebbie denso e di vapori
gli alti culmini avvolge ed i cantori.

Or sulle vette ondeggia il nembo e sibili
fan cavalcando ed urli, per le cime,
sfrenate le Walkirie, in tra gli orribili
tuoni levando al ciel l'inno sublime.
Treman le roccie; l'aria di terribili
fuochi s'accende e tutto intorno opprime,
tutto sconvolge turbinosa e nera,
sui gioghi solitarii la bufera.

Allor dal cielo un vivo raggio scende
e fra le rotte nubi il monte attinge.
Ogni cimier, ogni corazza splende;
del lume suo divin tutto si tinge.
Comincia un coro allor di sì stupende
note che l'alma in pio fervor costringe:
cantan gli eroi, solenne vola il canto
alto per l'aria e del Poeta il vanto.

(Dalla rivista «Cronaca d'arte», novembre 1891)