domenica 18 marzo 2012

Marzo


Marzo ventoso
mese adolescente
marzo luminoso
marzo impenitente.

Marzo che fai tuoi giochi
con le nuvole in alto
e con l'ombra e le luci
dài mutevol risalto
alla terra stupita

alla terra intorpidita,
mentre dal seno le strappi
e le primole e le rose
e fresch'acque rigogliose
lieto fai rigorgogliare.

Ed il passero riscuoti
con la tua folle ventata
nella sua grondaia secca
nella siepe denudata.

Spazzi i portici e le calli
e la nebbia nelle valli
e la polvere degli avi
e i propositi dei savi
rompi e l'ombra delle chiese.

Ed il pavido borghese
che nell'essa porta il gelo
dell'inverno trapassato
e col corpo imbarazzato
geme il reuma ed il torpore,
che nel volto porta il velo
della noia ed il pallore
della diuturna morte,
si rinchiude frettoloso
si rinvoltola accidioso
e rincardina le porte.

Se lo scuoti e lo palesi,
marzo giovane pazzia,
la sua trista nostalgia
sogna il sonno di sei mesi.

Ei ti teme, dolce frate
marzo, terrore giocoso
ma tu passi vittorioso
sbatti gli usci e le impannate
con le tue folli ventate.

E la densa polve sveli
nel tuo raggio popolato
e sul legno affumicato
i vetusti ragnateli.

Poich'il termine al riposo
canti, marzo adolescente,
t'odia questa buona gente,
marzo luminoso.

Ma se t'odiano addormiti
nelle coltri riscaldate
ed i passeri impauriti
nelle siepi denudate,
t'ama il falco su nell'aria
che più agile si libra
nella tua ventata varia
e la sente in ogni fibra
lieto nella tua procella,
ché per lei si fa più bella
ché per lei si fa più pura
ai suoi occhi la natura.

Marzo mese luminoso
marzo adolescente
marzo mese irriverente
marzo ventoso.

1° marzo 1910
 


 
Questa poesia fu probabilmente scritta di primo impulso dal filosofo Carlo Michelstaedter dopo un'escursione sul San Valentin, nel Friuli, uno dei luoghi da lui più frequentati e amati. Come le altre poesie del filosofo friulano, fu pubblicata soltanto dopo la morte dello stesso, avvenuta per suicidio nel 1910: durante il medesimo anno in cui furono composti i versi sopra riportati. Molto bella mi pare questa rappresentazione di marzo che viene descritto come un mese assai movimentato, portatore di veloci mutamenti del clima e delle condizioni atmosferiche, ma anche di venti forti, fastidiosi a tal punto che il borghese, temendoli, si rinchiude in casa. Ma se marzo non è amato dalla maggior parte degli uomini e degli uccelli, lo è dal falco, che si fa trasportare nel suo volo dal vento, che sente nelle fibre e nelle membra tutta la forza e l'energia vitale trasmessi da questo mese straordinario, e sa apprezzare anche le immagini nuove e bellissime offerte dalla natura in questo periodo dell'anno.

sabato 17 marzo 2012

Fiorita di marzo

La fioritura vostra è troppo breve,
o rosei peschi, o gracili albicocchi
nudi sotto i bei petali di neve.

Troppo rapido è il passo con cui tocchi
il suolo — e al tuo passar l'erba germoglia
o Primavera, o gioja de' miei occhi.

Mentre io contemplo, ferma sulla soglia
dell'orto, il pio miracolo dei fiori
sbocciati sulle rame senza foglia,

essi, ne' loro tenui colori,
tremano già del vento alla carezza,
volan per l'aria densa di languori;

e se ne va così la tua bellezza
come una nube, e come un sogno muori,
o fiorita di Marzo, o Giovinezza!...


 
È questa di Ada Negri, una delle poesie che fanno parte della raccolta "Dal profondo", uscita nel 1910. Segna un passaggio decisivo, da parte della poetessa lodigiana, verso toni marcatamente più contemplativi e, nello stesso tempo, meditativi. È così anche in "Fiorita di marzo", dove la Negri osservando lo spettacolo dei bellissimi, minuti e fragili fiori che compaiono verso la metà del terzo mese dell'anno sui rami di alcuni alberi da frutta, si rende conto di quanto essi siano simili al periodo della vita umana che coincide con la gioventù; periodo meraviglioso ma di brevissima durata, così breve che, una volta passato si ha l'impressione di aver vissuto in un sogno e non nella realtà. Quando scrisse questi versi Ada Negri si apprestava a raggiungere la soglia dei quarant'anni, che per una donna spesso voleva dire l'inizio della vecchiaia (si parla di un secolo fa naturalmente), ecco il motivo di tale e tanta amarezza provocata nell'animo della scrittrice dal vedere l'imparagonabile rappresentazione della rinascita vitale che si manifesta, in primavera, principalmente con la nuova fioritura delle piante.

venerdì 16 marzo 2012

Poeti dimenticati: Giuseppe Cesare Molineri

Giuseppe Cesare Molineri nacque a Pinerolo nel 1847 e morì a Torino nel 1912. Dopo la laurea in Lettere, insegnò all'università di Torino; partecipò alla terza guerra d'indipendenza (1866) nel reparto dei garibaldini; fondò anche una rivista che si occupava di teatro e di letteratura: «Serate italiane (letture per famiglie)». Narratore, autore e critico teatrale, fu anche poeta, come dimostrano due volumi di versi: "All'aperto" (1876) ed il postumo e ricapitolativo: "Poesie (1865-1906)". Nella sua raccolta uscita tre anni dopo la sua morte si evidenziano chiari elementi che lo avvicinano alla Scapigliatura, in particolare al suo corregionale Igino Ugo Tarchetti.
 
 
Opere poetiche
"Al'aperto", Casanova, Torino 1876.
"Poesie (1865-1906)", Lattes, Torino 1915.
 
 
Presenze in antologie
"Lirici della Scapigliatura", seconda edizione aggiornata a cura di Gilberto Finzi, Mondadori, Milano 1997 (pp. 245-250).
"La poesia scapigliata", a cura di Roberto Carnero, Rizzoli, Milano 2007 (pp. 435-440).

mercoledì 14 marzo 2012

Antologie: "Poeti minori del secondo Ottocento italiano"

"Poeti minori del secondo Ottocento italiano" è il titolo di un'antologia poetica curata da Angelo Romanò e pubblicata nel 1955 dall'editore Guanda in Bologna. Il volume di 420 pagine comprende una selezione dei versi di 55 poeti attivi tra il 1850 e i primissimi anni del XX secolo. Il poeta più anziano, con cui inizia l'antologia, è Niccolò Tommaseo, mentre quello più giovane è Giovanni Bertacchi. L'opera è una delle molte che, tra il 1947 ed il 1968, furono dedicate ai poeti italiani cosiddetti "minori" del secolo XIX. Questa di Romanò restringe l'attenzione sulla seconda metà dell'Ottocento, cercando di essere, come avverte lo stesso curatore nella postilla: «ampia nei limiti del buon gusto e del possibile». In effetti non si può dire che la selezione abbia trascurato dei nomi meritevoli, anzi, compaiono qui dei poeti che potrebbero definirsi, più che minori, "minimi". Semmai si può discutere sullo spazio attribuito a ciascun poeta: qui mi pare che risultino sminuiti o non considerati abbastanza, poeti di un certo spessore come Enrico Panzacchi e Domenico Milelli. C'è poi, come ammette anche Romanò, la scelta discutibile dell'ordine cronologico degli autori selezionati, che pone dei poeti (Domenico Gnoli e Arturo Graf su tutti) i quali ebbero meriti non trascurabili nel rinnovamento della poesia italiana a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, in una posizione sicuramente distante rispetto a quel fin de siècle in cui avrebbero avuto un posto ed un valore più adeguati. A parte questi piccoli difetti, tutto sommato non rilevanti, si può affermare che l'antologia di Romanò sia ben fatta e aiuti a comprendere in modo dettagliato il panorama poetico italiano del secondo Ottocento, così determinante per la nascita della prima fase rinnovativa della poesia novecentesca nazionale, rappresentata, in sostanza, dal crepuscolarismo. Ecco, di seguito, l'elenco degli autori presenti nel volume.
 
Niccolò Tommaseo, Giulio Uberti, Francesco Dall'Ongaro, Aleardo Aleardi, Giulio Carcano, Giovanni Prati, Biagio Miraglia, Paolo Emilio Castagnola, Costantino Nigra, Vincenzo Riccardi di Lantosca, Giambattista Maccari, Enrico Nencioni, Giuseppe Cesare Abba, Tommaso Cannizzaro, Giulio Orsini (Domenico Gnoli), Bernardino Zendrini, Emilio Praga, Giuseppe Maccari, Enrico Panzacchi, Vittorio Betteloni, Luigi Pinelli, Iginio Ugo Tarchetti, Domenico Milelli, Felice Cavallotti, Arrigo Boito, Antonio Fogazzaro, Giuseppe Aurelio Costanzo, Mario Rapisardi, Luigi Morandi, Giulio Pinchetti, Giovanni Camerana, Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti), Edmondo De Amicis, Giuseppe Giacosa, Arturo Graf, Gaspare Invrea (Remigio Zena), Emilio De Marchi, Corrado Corradino, Giovanni Marradi, Ulisse Tanganelli, Vittoria Aganoor Pompilj, Guido Biagi, Severino Ferrari, Ugo Fleres, Evelina Cattermole Mancini (Contessa Lara), Giuseppe Picciola, Guido Mazzoni, Edoardo Scarfoglio, Giacinto Ricci-Signorini, Giovanni Alfredo Cesareo, Giulio Salvadori, Pompeo Bettini, Giovanni Bertacchi, Mercurino Sappa, Carmelo Errico.

domenica 11 marzo 2012

Da "Il taglio del bosco" di Carlo Cassola

Precipitare nel buio del sonno era quanto di meglio gli restava. Quando Guglielmo sentiva il sonno venire, era contento, perché per qualche ora sarebbe stato liberato da ogni pensiero, e perché un altro giorno era passato. A uno a uno i giorni passavano, e i mesi e gli anni restavano dietro le spalle. Aveva trentott'anni; non era lontano il traguardo dei quaranta, passato il quale sarebbe stato un uomo maturo, quasi una persona anziana.






Il taglio del bosco è il titolo di un racconto lungo scritto da Carlo Cassola (Roma 1917 – Montecarlo 1987). Uscì per la prima volta sulla rivista Paragone, nel dicembre del 1950. Cassola poi lo inserì, a partire dal 1954, in edizioni che comprendevano anche altri suoi racconti. Il frammento che ho trascritto – per me significativo – l’ho estratto dal libro omonimo (vi si legge tale racconto insieme a Rosa Gagliardi e Le amiche), pubblicato dalla Rizzoli di Milano nel 1980.

Prima di leggere il libro, vidi, in replica su un canale della Rai, un film per la televisione assai bello, ispirato proprio al racconto; la regia è di Vittorio Cottafavi, mentre il protagonista principale: Guglielmo, è interpretato da Gian Maria Volontè.

Ciò che maggiormente mi colpì, sia guardando il film che leggendo il libro, fu il malessere esistenziale di Guglielmo - vedovo da poco tempo e padre di due bambine - che praticamente rinuncia alla vita a causa del forte dolore non mai superato completamente. Guglielmo è un uomo solo e avvilito, che continua a vivere soltanto perché deve farlo, ovvero perché ha il dovere di crescere nel miglior modo possibile le due piccole figlie. Non vuole più ricominciare, né sperare in una nuova vita sentimentale; per questo motivo vorrebbe che il tempo passasse velocemente, e che le figlie fossero già grandi e lui vecchio; in tal modo avrebbe ancora poco tempo da vivere, e la sofferenza, insieme alla sua morte, finalmente svanirebbe.


Da "Il mistico sogno" di Gabriele D'Annunzio

I fiori d'autunno hanno una grazia e una delicatezza singolari, e insieme non so qual fascino malinconico da cui si sentono presi anche li spiriti meno sentimentali. Portano, inoltre, nel loro colore e nella qualità delle loro foglie un'apparenza di vitalità quasi direi umana, ma di vitalità sofferente; e per questo attraggono più che le ricche e voluttuose fioriture d'estate e risvegliano in chi li contempla una specie di pietà e di tenerezza: la misericordia per li esseri fragili, solitarii ed infermi.

sabato 10 marzo 2012

Ohimè che cosa è accaduto

Ohimè che cosa è accaduto?
Il mandorlo è fiorito,
Ed io nulla ho sentito
Nulla ho veduto!

S'è guernito e colorato
D'un diadema di stelle d'argento,
Tutta notte ha lavorato
E su l'alba splendeva contento:

Ed ora le sue stelle le dà al vento:
La ghirlandetta fragile e superba
La sparpaglia su l'erba
Del fresco prato!

Il miracolo è compiuto,
Ma io nulla ho veduto
Nulla ho sentito!
Che cosa è dunque accaduto?

Dov'era questo povero cuore assorto,
Dov'era questo povero cuore muto
Se il mandorlo è fiorito
Ed esso di nulla s'è accorto?
 


"Ohimè che cosa è accaduto" è il titolo di una poesia di Angiolo Silvio Novaro, compresa nella raccolta "Il piccolo Orfeo" (1929). In una notte mite di fine inverno un mandorlo situato nelle vicinanze della casa del poeta, è fiorito. Il poeta si è accorto dell'evento soltanto a giorno fatto e si rammarica di non aver potuto assistere al fatto miracoloso che simboleggia il perpetuo e strabiliante rinascere della forza vitale. È una poesia semplice, che tanti anni or sono veniva spesso inserita in antologie scolastiche; il Novaro in questi versi, come anche in altri della medesima raccolta, mostra la sua affezione per la poetica pascoliana delle "Myricae" e dei "Canti di Castelvecchio".