Vista la prossimità delle festività natalizie, mi sembra opportuno pubblicare dieci composizioni poetiche in cui i giocattoli la fanno da protagonisti. Penso che il Natale e l'Epifania siano due feste dedicate specificatamente ai bambini; sono loro infatti, che in questi due giorni speciali ricevono i regali più belli, e questi regali consistono quasi esclusivamente in giocattoli. Certo, quelli di oggi sono assai differenti da quelli di ieri: lo so bene anch'io che, ai miei tempi esultavo quando sotto l'albero di Natale, dopo aver scartato i colorati e infiocchettati pacchetti in cui erano racchiusi, vi trovavo soldatini e automobiline (erano questi i miei giocattoli preferiti). In verità non so cosa ricevano in regalo a Natale e nel giorno della Befana i bambini di oggi, ma comunque sia credo che sempre si tratti di giocattoli. Nei versi trascritti di seguito, compaiono soprattutto giocattoli "antichi": aquiloni, cavalli a dondolo, trombette e le immancabili bambole; ciò che conta, a mio avviso, è la imparagonabile felicità dei bambini dei tempi che furono e dei tempi odierni, quando utilizzano a loro piacimento oggetti semplici o complicati, poveri o costosi, di grandi dimensioni o minuscoli… insomma, quel che conta è che si parli in ogni caso di meravigliosi, immortali giocattoli.
I GIOCATTOLI IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO
LE SCATOLE DI SOLDATINI
di Paolo Buzzi (1874-1956)
Certo, adorai gli eserciti
piccoli, ma equipaggiati a perfetto
d'armi e bagagli nel piombo dei minî sgargianti.
Rivedo i profili stereotipi
delle soldatesche ordinate e l'oro pazzo
dei grandi marescialli e dei capi tamburi.
Schierati sulla tavola,
io li guardava camminar fermi
nel passo di marcia, al suon delle fanfare mute.
E le guancie dei trombettieri minuscoli erano gonfie.
Certo, io mi godeva l'anima
degl'Imperatori equestri
che guardano con maschera pallida
passare le forze e le bellezze dell'Impero.
E conosceva i miei capitani
segnati d'un nome d'Eroe. E già la Storia
era la grande maestra alla mia Vita.
Piccole truppe adorate,
in quale abisso di caldaia
si crogiolò la vostra policroma materia?
Dove siete rinati? Né mai più ci rivedremo?
Pur nel fondo del feretro che mi chiuderà?
(da "Poema dei quarantanni", Edizioni Futuriste di "Poesia", Milano 1922, pp. 82-83)
I GIOCATTOLI
di Edmondo Corradi (1873-1931)
Giocavi tu, bambina mia, con grave
atteggiamento, allor che in lunga fila
mettevi i soldatini
sul ponte di una nave
a inseguire un brigante della Sila
uscito da' confini,
oppure un Pulcinella
o un altro burattino:
quello che si trovava più vicino.
La nave galleggiava
entro una catinella
e il brigante scappava
dietro un volume delle «Mie prigioni»
in barba a tutti quanti gli squadroni;
e per questo nessuno lo arrestava.
Così bimba, parlavi:
- Scappa! Scappa! La nave è alla sponda.
I soldati si buttano nell'onda
salgono sulla riva…
Scappa, scappa!
E il brigante
di stagnola fuggitiva,
né lo coglieano i lacci e la catena.
Giorni lieti e soavi
di tua infanzia serena!
Oh quante volte e quante,
infrangevi i balocchi con le mani
piccine e fremebonde! E quanti, quanti
eroi di stagno infranti!
Più di un bandito io vidi, moribondo,
piegar, fra le tue mani e dorso e testa!
Oh possa tu, domani,
mia bimba, far la festa
a tutti i Pulcinella e i burattini
ed a tutti i banditi e i malandrini
che incontrerai nel mondo!
(da "Dolce infanzia serena", Cappelli, Rocca San Casciano 1919, pp. 32-33)
LA BAMBOLA E LA BIMBA
di Willy Dias (Fortunata Morpugno Petronio, 1872-1956)
Tanti, tanti anni or sono. E una gioconda
Fanciulla inconscia, ignara
Sognava sempre una bambola bionda
Che lunghi, aurei capelli
Avesse, e gli occhi belli.
- Era una bimba ignara. –
Ed ella ebbe la bambola, ma al breve
Corpo di crusca pieno
Senza saperlo una ferita lieve
Con uno spillo un giorno
Che le giocava intorno,
Ella infisse nel seno.
E la bambola bionda un po’ per volta
La crusca – ahimé – perdeva.
Non se ne avvide pria, la bimba stolta,
Del dì che floscio e vuoto
Il picciol corpo immoto
Più forma non aveva.
E nessuno, nessun, lo seppe mai
Ed ella nulla disse;
Da quel giorno appari mutata assai,
Scherzò delle speranze.
Folleggiò tra le danze.
— Ma nulla, nulla, disse. —
E presto si sentì stanca, la lieta
Gioventù non le arrise;
Nel cuor portava la morte segreta..
Ella no 'l disse mai,
Nessun lo seppe mai;..
La ferita l'uccise.
(da "Poeti italiani d'oltre i confini", Sansoni, Firenze 1914, pp. 248-249)
IL MIO CERCHIO
di Donata Doni (Santina Maccarone, 1913-1972)
Dov'è andato
il mio cerchio
di legno,
il grande cerchio,
tutta la mia
felicità bambina?
Chi me l'ha
perduto?
A chi
l'ho donato?
Perché
non lo trovo più?
Era il giuoco
più caro,
il più bello
tra i miei balocchi,
quello
che mi faceva
correre,
ansare,
gridare
di felicità.
Quello
che mi faceva
inseguire,
sempre,
fin d'allora
qualcosa
che mi fuggiva.
Forlì 17 gennaio 1937
(da "Neve e mare", Edizioni di Storia e Letteratura", Roma 1973, pp. 114-115)
GIOCATTOLI
di Mario Gori (Mario Antonio Di Pasquale, 1926-1976)
La mia infanzia passò senza giocattoli,
nessuno mi donò treni di latta
per la festa dei morti.
Mio nonno restò povero anche in cielo
e non poté mai scendere. Nessuno
volle in cambio del cuore
vendergli un palloncino colorato.
(da "Opera poetica", Libreria Editrice G. B. Randazzo, Gela 1991, p. 177)
LA TROMBETTINA
di Corrado Govoni (1884-1965)
Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina,
di latta azzurra e verde,
che suona una bambina
camminando, scalza, per i campi.
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c'è la banda d' oro rumoroso,
la giostra coi cavalli, l'organo, i lumini.
Come, nel sgocciolare della gronda,
c'è tutto lo spavento della bufera,
la bellezza dei lampi e dell'arcobaleno;
nell'umido cerino d'una lucciola
che si sfa su una foglia di brughiera,
tutta la meraviglia della primavera.
[da "Poesie scelte (1903-1918)", Taddei, Ferrara 1920, p. 361]
L'AQUILONE
di Giovanni Pascoli (1855-1912)
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
tua madre... adagio, per non farti male.
(da "Primi poemetti", Zanichelli, Bologna 1907, pp. 85-87)
UN PO' PER UNO
di Lina Schwarz (1876-1947)
È vero? Sei un povero
Bambino, che non hai
né dolci né giocattoli,
E non ne avesti mai?
Io, senza i miei giocattoli,
non so come farei...
Bambino, se vuoi prenderli,
Te ne darò dei miei.
Guarda! Pare impossibile!
Io tanti e tu nessuno;
Sarà assai meglio, credilo,
Averne un po' per uno.
(da "Il libro dei bimbi", Arcobaleno, Milano 2015, p. 34)
IL PALLONCINO ROSSO
di Giovanni Tecchio (1872-?)
È il tenue filo al bimbo della mano,
Che stretto stretto lo tenea, sfuggito;
E al palloncino rosso già lontano
Fissa lo sguardo trepido e stupito.
E batte i piedi e piange e piange invano
Il suo balocco in alto ormai sparito;
E pace non si dà di quello strano
Improvviso sparir nell'infinito.
Pure così, negli anni, ad una ad una
Sen van le illusioni più gioconde
Disperse al vento della rea fortuna;
E se amor con la speme non infonde
Virtù che sola in cor la fede aduna,
Astro non brilla in tenebre profonde.
(da "Canti", Monanni, Milano 1931, p. 111)
CAVALLO A DONDOLO
di Giuseppe Zucca (1887-1959)
lontananze
Mi pare ieri.
La nonna Befana, la vecchia
che ama i bimbi buoni e sonnecchia
lassù nella cappa del camino,
s'era accorta d'un bambino
neppur troppo buono: di me:
e dei miei desideri.
Così che,
una mattina, (che freddo in camiciòla!)
una mattina (non c'era scuola,
perché era Pasqua Epifania)
ebbi la felicità mia:
un cavallo che andava su e giù;
un cavallo da re.
Lo rivedo
come fosse qui: le orecchie acute,
la criniera e la coda fioccute,
i finimenti imbullettati
e gli occhi spalancati:
due occhi castani, umani,
tristi: li rivedo.
Per monti e piani
cavallo di legno, al galoppo, al galoppo!
Il gioco non è mai troppo!
Su e giù, tra la gioia e la gioia!
Non c'era tempo alla noia,
allora, col mio cavallo a dondolo!
Giorni lontani!
Oggi, è assai più
grande il cavallo: né io lo governo.
Oscilla tra il cielo e l'inferno,
lento ratto, ratto o lento,
in un perpetuo ondeggiamento.
Ma, come l'altro, non sposta gran che.
Su e giù, su e giù.
Perché, perché
— su e giù, tra rieri e il domani! —
perché questi galoppi vani?
Lo sapete voi, forse, o sperduti
spiriti ignoti, che muti
e lievi talvolta balzate
in sella con me?
(da "Io", Formiggini, Roma 1919, pp. 22-23)
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| Thomas Eakins, "Baby at Play" (da questa pagina Web) |
