domenica 7 dicembre 2025

I giocattoli in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 Vista la prossimità delle festività natalizie, mi sembra opportuno pubblicare dieci composizioni poetiche in cui i giocattoli la fanno da protagonisti. Penso che il Natale e l'Epifania siano due feste dedicate specificatamente ai bambini; sono loro infatti, che in questi due giorni speciali ricevono i regali più belli, e questi regali consistono quasi esclusivamente in giocattoli. Certo, quelli di oggi sono assai differenti da quelli di ieri: lo so bene anch'io che, ai miei tempi esultavo quando sotto l'albero di Natale, dopo aver scartato i colorati e infiocchettati pacchetti in cui erano racchiusi, vi trovavo soldatini e automobiline (erano questi i miei giocattoli preferiti). In verità non so cosa ricevano in regalo a Natale e nel giorno della Befana i bambini di oggi, ma comunque sia credo che sempre si tratti di giocattoli. Nei versi trascritti di seguito, compaiono soprattutto giocattoli "antichi": aquiloni, cavalli a dondolo, trombette e le immancabili bambole; ciò che conta, a mio avviso, è la imparagonabile felicità dei bambini dei tempi che furono e dei tempi odierni, quando utilizzano a loro piacimento oggetti semplici o complicati, poveri o costosi, di grandi dimensioni o minuscoli… insomma, quel che conta è che si parli in ogni caso di meravigliosi, immortali giocattoli.




I GIOCATTOLI IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO




LE SCATOLE DI SOLDATINI

di Paolo Buzzi (1874-1956)


Certo, adorai gli eserciti

piccoli, ma equipaggiati a perfetto

d'armi e bagagli nel piombo dei minî sgargianti.

Rivedo i profili stereotipi

delle soldatesche ordinate e l'oro pazzo

dei grandi marescialli e dei capi tamburi.

Schierati sulla tavola,

io li guardava camminar fermi

nel passo di marcia, al suon delle fanfare mute.

E le guancie dei trombettieri minuscoli erano gonfie.

Certo, io mi godeva l'anima

degl'Imperatori equestri

che guardano con maschera pallida

passare le forze e le bellezze dell'Impero.

E conosceva i miei capitani

segnati d'un nome d'Eroe. E già la Storia

era la grande maestra alla mia Vita.

Piccole truppe adorate,

in quale abisso di caldaia

si crogiolò la vostra policroma materia?

Dove siete rinati? Né mai più ci rivedremo?

Pur nel fondo del feretro che mi chiuderà?


(da "Poema dei quarantanni", Edizioni Futuriste di "Poesia", Milano 1922, pp. 82-83)




I GIOCATTOLI

di Edmondo Corradi (1873-1931)


Giocavi tu, bambina mia, con grave

atteggiamento, allor che in lunga fila

mettevi i soldatini

sul ponte di una nave

a inseguire un brigante della Sila

uscito da' confini,

oppure un Pulcinella

o un altro burattino:

quello che si trovava più vicino.

La nave galleggiava

entro una catinella

e il brigante scappava

dietro un volume delle «Mie prigioni»

in barba a tutti quanti gli squadroni;

e per questo nessuno lo arrestava.

Così bimba, parlavi:

- Scappa! Scappa! La nave è alla sponda.

I soldati si buttano nell'onda

salgono sulla riva…

Scappa, scappa!

              E il brigante

di stagnola fuggitiva,

né lo coglieano i lacci e la catena.

Giorni lieti e soavi

di tua infanzia serena!

Oh quante volte e quante,

infrangevi i balocchi con le mani

piccine e fremebonde! E quanti, quanti

eroi di stagno infranti!

Più di un bandito io vidi, moribondo,

piegar, fra le tue mani e dorso e testa!

Oh possa tu, domani,

mia bimba, far la festa

a tutti i Pulcinella e i burattini

ed a tutti i banditi e i malandrini

che incontrerai nel mondo!


(da "Dolce infanzia serena", Cappelli, Rocca San Casciano 1919, pp. 32-33) 




LA BAMBOLA E LA BIMBA

di Willy Dias (Fortunata Morpugno Petronio, 1872-1956)


Tanti, tanti anni or sono. E una gioconda

Fanciulla inconscia, ignara

Sognava sempre una bambola bionda

Che lunghi, aurei capelli

Avesse, e gli occhi belli.

- Era una bimba ignara. –


Ed ella ebbe la bambola, ma al breve

Corpo di crusca pieno

Senza saperlo una ferita lieve

Con uno spillo un giorno

Che le giocava intorno,

Ella infisse nel seno.


E la bambola bionda un po’ per volta

La crusca – ahimé – perdeva.

Non se ne avvide pria, la bimba stolta,

Del dì che floscio e vuoto

Il picciol corpo immoto

Più forma non aveva.


E nessuno, nessun, lo seppe mai

Ed ella nulla disse;

Da quel giorno appari mutata assai,

Scherzò delle speranze.

Folleggiò tra le danze.

— Ma nulla, nulla, disse. —


E presto si sentì stanca, la lieta

Gioventù non le arrise;

Nel cuor portava la morte segreta..

Ella no 'l disse mai,

Nessun lo seppe mai;..

La ferita l'uccise.


(da "Poeti italiani d'oltre i confini", Sansoni, Firenze 1914, pp. 248-249)




IL MIO CERCHIO

di Donata Doni (Santina Maccarone, 1913-1972)


Dov'è andato

il mio cerchio

di legno,

il grande cerchio,

tutta la mia

felicità bambina?


Chi me l'ha

perduto?

A chi

l'ho donato?

Perché

non lo trovo più?


Era il giuoco

più caro,

il più bello

tra i miei balocchi,

quello

che mi faceva

correre,

ansare,

gridare

di felicità.

Quello

che mi faceva

inseguire,

sempre,

fin d'allora

qualcosa

che mi fuggiva.


                                                Forlì 17 gennaio 1937


(da "Neve e mare", Edizioni di Storia e Letteratura", Roma 1973, pp. 114-115) 




GIOCATTOLI

di Mario Gori (Mario Antonio Di Pasquale, 1926-1976)


La mia infanzia passò senza giocattoli,

nessuno mi donò treni di latta

per la festa dei morti.


Mio nonno restò povero anche in cielo

e non poté mai scendere. Nessuno

volle in cambio del cuore

vendergli un palloncino colorato.


(da "Opera poetica", Libreria Editrice G. B. Randazzo, Gela 1991, p. 177)




LA TROMBETTINA

di Corrado Govoni (1884-1965)


Ecco che cosa resta

di tutta la magia della fiera:

quella trombettina,

di latta azzurra e verde, 

che suona una bambina 

camminando, scalza, per i campi. 

Ma, in quella nota sforzata,

ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi, 

c'è la banda d' oro rumoroso,

la giostra coi cavalli, l'organo, i lumini. 

Come, nel sgocciolare della gronda,

c'è tutto lo spavento della bufera, 

la bellezza dei lampi e dell'arcobaleno; 

nell'umido cerino d'una lucciola 

che si sfa su una foglia di brughiera,

tutta la meraviglia della primavera.


[da "Poesie scelte (1903-1918)", Taddei, Ferrara 1920, p. 361]




L'AQUILONE

di Giovanni Pascoli (1855-1912)


C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,

anzi d'antico: io vivo altrove, e sento

che sono intorno nate le viole.


Son nate nella selva del convento

dei cappuccini, tra le morte foglie

che al ceppo delle quercie agita il vento.


Si respira una dolce aria che scioglie

le dure zolle, e visita le chiese

di campagna, ch'erbose hanno le soglie:


un'aria d'altro luogo e d'altro mese

e d'altra vita: un'aria celestina

che regga molte bianche ali sospese...


sì, gli aquiloni! È questa una mattina

che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera

tra le siepi di rovo e d'albaspina.


Le siepi erano brulle, irte; ma c'era

d'autunno ancora qualche mazzo rosso

di bacche, e qualche fior di primavera


bianco; e sui rami nudi il pettirosso

saltava, e la lucertola il capino

mostrava tra le foglie aspre del fosso.


Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino

ventoso: ognuno manda da una balza

la sua cometa per il ciel turchino.


Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,

risale, prende il vento; ecco pian piano

tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.


S'inalza; e ruba il filo dalla mano,

come un fiore che fugga su lo stelo

esile, e vada a rifiorir lontano.


S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo

petto del bimbo e l'avida pupilla

e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.


Più su, più su: già come un punto brilla

lassù lassù... Ma ecco una ventata

di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?


Sono le voci della camerata

mia: le conosco tutte all'improvviso,

una dolce, una acuta, una velata...


A uno a uno tutti vi ravviso,

o miei compagni! e te, sì, che abbandoni

su l'omero il pallor muto del viso.


Sì: dissi sopra te l'orazïoni,

e piansi: eppur, felice te che al vento

non vedesti cader che gli aquiloni!


Tu eri tutto bianco, io mi rammento.

solo avevi del rosso nei ginocchi,

per quel nostro pregar sul pavimento.


Oh! te felice che chiudesti gli occhi

persuaso, stringendoti sul cuore

il più caro dei tuoi cari balocchi!


Oh! dolcemente, so ben io, si muore

la sua stringendo fanciullezza al petto,

come i candidi suoi pètali un fiore


ancora in boccia! O morto giovinetto,

anch'io presto verrò sotto le zolle

là dove dormi placido e soletto...


Meglio venirci ansante, roseo, molle

di sudor, come dopo una gioconda

corsa di gara per salire un colle!


Meglio venirci con la testa bionda,

che poi che fredda giacque sul guanciale,

ti pettinò co' bei capelli a onda


tua madre... adagio, per non farti male.


(da "Primi poemetti", Zanichelli, Bologna 1907, pp. 85-87)




UN PO' PER UNO

di Lina Schwarz (1876-1947)


È vero? Sei un povero

Bambino, che non hai

né dolci né giocattoli,

E non ne avesti mai?


Io, senza i miei giocattoli,

non so come farei...

Bambino, se vuoi prenderli,

Te ne darò dei miei.


Guarda! Pare impossibile!

Io tanti e tu nessuno;

Sarà assai meglio, credilo,

Averne un po' per uno.


(da "Il libro dei bimbi", Arcobaleno, Milano 2015, p. 34)




IL PALLONCINO ROSSO

di Giovanni Tecchio (1872-?)


È il tenue filo al bimbo della mano,

Che stretto stretto lo tenea, sfuggito;

E al palloncino rosso già lontano

Fissa lo sguardo trepido e stupito.


E batte i piedi e piange e piange invano

Il suo balocco in alto ormai sparito;

E pace non si dà di quello strano

Improvviso sparir nell'infinito.


Pure così, negli anni, ad una ad una

Sen van le illusioni più gioconde

Disperse al vento della rea fortuna;


E se amor con la speme non infonde

Virtù che sola in cor la fede aduna,

Astro non brilla in tenebre profonde.


(da "Canti", Monanni, Milano 1931, p. 111)




CAVALLO A DONDOLO

di Giuseppe Zucca (1887-1959)


                                                      lontananze

        Mi pare ieri.

La nonna Befana, la vecchia

che ama i bimbi buoni e sonnecchia

        lassù nella cappa del camino,

        s'era accorta d'un bambino

neppur troppo buono: di me:

        e dei miei desideri.


        Così che,

una mattina, (che freddo in camiciòla!)

una mattina (non c'era scuola,

        perché era Pasqua Epifania)

        ebbi la felicità mia:

un cavallo che andava su e giù;

        un cavallo da re.


        Lo rivedo

come fosse qui: le orecchie acute,

la criniera e la coda fioccute,

        i finimenti imbullettati

        e gli occhi spalancati:

due occhi castani, umani,

        tristi: li rivedo.


        Per monti e piani

cavallo di legno, al galoppo, al galoppo!

Il gioco non è mai troppo!

        Su e giù, tra la gioia e la gioia!

        Non c'era tempo alla noia,

allora, col mio cavallo a dondolo!

        Giorni lontani!


        Oggi, è assai più

grande il cavallo: né io lo governo.

Oscilla tra il cielo e l'inferno,

        lento ratto, ratto o lento,

        in un perpetuo ondeggiamento.

Ma, come l'altro, non sposta gran che.

        Su e giù, su e giù.


Perché, perché

— su e giù, tra rieri e il domani! —

perché questi galoppi vani?

        Lo sapete voi, forse, o sperduti

        spiriti ignoti, che muti

e lievi talvolta balzate

        in sella con me?


(da "Io", Formiggini, Roma 1919, pp. 22-23)



Thomas Eakins, "Baby at Play"
(da questa pagina Web)