domenica 18 febbraio 2018

Il presente e il futuro della poesia


La poesia, ai giorni d'oggi, ha un'importanza irrisoria. Il drastico cambiamento della nostra società, avvenuto soprattutto nel secolo scorso, l'ha relegata in un angolo piccolo piccolo. Certamente colpevoli di ciò sono sia il progresso scientifico che quello tecnologico insieme al progressivo avanzare di un capitalismo senz'anima, che ha reso molte (troppe) persone indifferenti a qualsiasi forma d'arte, perché troppo soggiogate da un benessere arido, tutto concentrato nel consumo dei beni materiali e nel sopravvalutare il lato edonistico dell'esistenza. Anche la magia e la bellezza della parola scritta è venuta ormai meno; se è vero che cento anni fa ancora si scrivevano poesie, prose, lettere e quant'altro su semplici fogli di carta, è altrettanto certo che oggi quasi nessuno lo fa (io compreso), poiché, prima la macchina da scrivere e poi il computer hanno totalmente abolito i vecchi modi con cui era in uso comunicare tra esseri umani. Oggi, addirittura, lo si fa tramite i telefoni, in un linguaggio troppo spesso sgrammaticato e puerile. In futuro, molto probabilmente, quei pochissimi che vorranno ancora dedicarsi all'arte poetica, lo faranno dettando i loro versi ai robot. Eppure, anche se ha un ruolo marginale, quasi insignificante, oggi esiste ancora la poesia; in parte è cambiata la concezione di questa parola, visto che in tanti sono a ritenere poesie alcuni testi delle canzoni di musica pop. Non voglio dire che questo sia ingiusto, ma certo è che, se si abbina una buona musica ad un testo poetico, è normale che quest'ultimo risalti maggiormente, ingannando l'ascoltatore che, in virtù delle note musicali, apprezza in modo spropositato le parole della canzone. Ma esiste ancora la poesia pura: quella scritta sulle pagine dei libri; questi vengono pubblicati in forme diverse dalle tradizionali (si pensi agli gli "ebook") e quasi sempre trovano un pubblico esiguo, sempre meno disposto a farsi ammaliare dal fascino dei versi. Ma soprattutto, per chi riesce, come me, ad appassionarsi alla poesia del passato, esistono i vecchi e i nuovi libri che riportano le liriche dei più grandi poeti della storia; allo stesso modo, sono tutt'ora reperibili alcuni libri di poeti ormai del tutto dimenticati, che, ingiustamente, non hanno mai trovato chi li valorizzasse. 
Chiudo riportando una poesia di Carlo Chiaves, poeta crepuscolare che, in questi precisi versi, circa cento anni or sono mostrò tutto il suo pessimismo riguardo al futuro della poesia. Qui s'immaginano un padre ed un figlio davanti al caminetto, durante una sera invernale del secolo Duemilatrecento. Non si sa come, il bimbo trova un vecchio libro di poesie e, non avendone mai visto uno, chiede al padre cosa esso sia mai. Il padre gli risponde che si tratta di un oggetto frusto, obsoleto, scritto da un uomo bizzarro, intento a fantasticare e a scrivere i suoi inutili vagheggiamenti su carta: insomma un inetto. Quest'uomo, così come tutti quelli che si definivano "poeti", è ormai scomparso da tantissimi anni, e le sue stupide fantasticherie non servono più a nulla. Il bambino, che di tutto quello che ha detto il padre ha capito poco o niente, usa quel logoro oggetto per giocare col gatto, distruggendolo a poco a poco; l'ultima utilità della poesia è insomma quella di far divertire per pochi minuti un bambino ed un gatto. Svolto questo compito, essa scomparirà per sempre.    





NEL SECOLO DUEMILA TRECENTO
di Carlo Chiaves

Nel secolo duemila trecento (suppongo non sia
per anco rovinata, dispersa la crosta del mondo)
chi sa che un turbolento bambino, frugando nel fondo
di una allormai diserta, inutile libreria,

Non trovi, o libro, o labile indizio de' palpiti miei,
il tuo esemplare estremo, un poco corroso dal tarlo;
non corra irrequieto, incuriosito, a mostrarlo
al padre - O cos'è questo, babbo? - Mah! non lo saprei!

- O dove l'hai trovato? fra quelli più grandi? Chi sa
non sia questo lo scritto più raro d'un qualche poeta!
- Che vuol mai dire? - O figlio, vuol dire una razza inquieta
di gente, che è scomparsa da quasi un'eternità!

Di gente che campava, ma fantasticando, e che poi,
quanto sentiva fervere in fondo al bizzarro pensiero,
fermava su le carte, con ritmo o grave o leggero,
con voci uguali e quasi del tutto ignorate fra noi.-

Allora il bimbo che certo nulla, ma nulla affatto
ne avrà compreso, senza pensare o cercare più in là,
ti infilzerà a uno spago, mio libro, e ti adoprerà
un qualche istante ancora, per trastullarsi col gatto.

Indi, dispersi, laceri, i fogli, e calpesti, nel foco
consumerai, più presto di quanto saremo già noi
in terra consumati, poeti inutili o eroi,
tu che un istante almeno avrai servito ad un gioco.

(da "Tutte le poesie edite e inedite", IPL, Milano 1971)

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