lunedì 8 luglio 2024

Il camuffamento in una poesia di Trilussa

 Sebbene non sia il periodo del carnevale, voglio lo stesso parlare di "maschere". Ma le maschere protagoniste di questo post, non sono quelle reali, usate nelle feste e negli spettacoli: sono quelle che si esteriorizzano in generalizzati comportamenti pubblici, assai diffusi oggi, dove, per nascondere una realtà fatta di sconfitte, di privazioni e d'infelicità, certi individui si mostrano assai differenti da come sono, palesando, tramite immagini o filmati personali, atteggiamenti gioiosi e sguaiata allegria. C'è, in questo tipo di presentarsi agli occhi altrui, una profonda paura di essere giudicati in modo negativo; il timore di passare per "sfigati" (termine volgare che da un po' di anni a questa parte va di moda), ovvero per dei falliti, degli sconfitti. Tale timore è ancor più accentuato dal fatto che i cosiddetti "sfigati", molto spesso, vengono additati con totale disprezzo, da personaggi che, seppur non meritino alcuna importanza, vengono reputati dei "vincenti". Ma per convincere tante e tante persone a scegliere la via del mascheramento, basta la frequentazione dei "social network" (molto si potrebbe discutere sui lati positivi e quelli negativi di tali servizi); in questo contesto, situato tra il virtuale ed il reale - ma purtroppo a prevalere è la prima caratteristica -, viene apprezzato soltanto chi dimostra di possedere quei requisiti (falsi o veri che siano) riconducibili alla categoria dei "vincenti". Insomma, a questo ballo moderno e diabolico, chi non si maschera ha perso.

Passando ora alla poesia di Trilussa (Carlo Alberto Salustri, 1871-1950) intitolata, appunto, La maschera, il geniale poeta romano, nel suo dialetto, colloquia con una vecchia maschera da lui usata molti anni prima, e ancora presente nella sua casa. Come è consueto nella poesia di Trilussa, il dialogo diviene qualcosa di fantastico, perché l'oggetto ha la magica possibilità di parlare col poeta; e quando quest'ultimo gli chiede come riesca a mantenere quel sorriso ampio che la contraddistingue in qualsiasi situazione, essa risponde affermando la totale inutilità di qualsiasi stato d'animo diverso dall'ilarità, consigliando infine all'interlocutore di atteggiarsi allo stesso modo, e di mascherare sempre sia il dolore che la tristezza. Il poeta dà retta alla maschera, ma il suo nuovo proporsi pubblicamente, gli causa soltanto dei giudizi negativi, poiché viene scambiato per un egoista ed un menefreghista. Questi versi ricordano un po' la favola di Esopo intitolata Il contadino, il figlio e l'asino, visto che l'uomo, qualunque tipo di comportamento decida di portare avanti, trova sempre valutazioni negative: falsa commiserazione, compatimento, ampia disapprovazione mista a disprezzo. Quindi, alla fine è meglio non dare alcuna importanza ai metri di giudizio della maggior parte degli esseri umani, mostrandosi sempre e comunque per quelli che si è veramente. 




LA MASCHERA


Vent'anni fa m'ammascherai pur'io!

E ancora tengo er grugno de cartone

che servì p'annisconne quello mio.

Sta da vent'anni sopra un credenzone

quella Maschera buffa, ch'è restata

sempre co' la medesima espressione,

sempre co' la medesima risata.

Una vorta je chiesi: - E come fai

a conservà lo stesso bon umore

puro ne li momenti der dolore,

puro quanno me trovo fra li guai?

Felice te, che nun te cambi mai!

Felice te, che vivi senza core! -

La Maschera rispose: - E tu che piagni

che ce guadagni? Gnente! Ce guadagni

che la gente dirà: Povero diavolo,

te compatisco... me dispiace assai...

Ma, in fonno, credi, nun j'importa un cavolo!

Fa' invece come me, ch'ho sempre riso:

e se te pija la malinconia

coprete er viso co' la faccia mia

così la gente nun se scoccerà... -

D'allora in poi nascónno li dolori

de dietro a un'allegria de cartapista

e passo per un celebre egoista

che se ne frega de l'umanità!

 

(da "Poesie scelte", volume primo, Mondadori, Milano 1993, p. 151)

La morte in pochi versi di Vivian Lamarque

 Sicuramente la morte fa paura un po' a tutti gli esseri umani. Anch'io la temevo, e lo stava a dimostrare il fatto che da ragazzo e anche oltre mi rifiutassi costantemente di far visita ai miei parenti appena deceduti, per non vedere i loro volti. Ma, cogli anni, ho dovuto prendere atto che la morte è qualcosa d'inevitabile, e nascondersi per non affrontarla ogniqualvolta si presenti, portandoci via persone care dalle quali non vorremmo mai separarci, è del tutto inutile ed ancor più doloroso. Così, oltre a quella delle persone care, è necessario accettare anche la nostra morte, e guardarla in faccia, pensando che sia un evento naturale non del tutto negativo, perché se non ci fosse la morte non ci sarebbe la nascita. È giunto, insomma, che ad un certo punto ci si faccia da parte per lasciar posto ai nuovi venuti. Di versi sull'argomento "morte" ce ne sono a bizzeffe, e tanti sono anche bellissimi; ma oggi voglio proporre una breve e nello stesso tempo intensa poesia di Vivian Lamarque, in cui la parola "morte" non viene mai pronunciata, ma si capisce benissimo che è lei la protagonista della lirica. Ciò che dice è inconfutabile: la morte è con noi già nel momento in cui nasciamo, ed è simile ad un essere invisibile che ci segue per tutta la vita, e, pazientemente, aspetta il momento giusto per riportarci da dove eravamo venuti.



CI ASPETTA 


Ci aspetta paziente

in un angolino

conosce il giorno e l'ora

che noi non conosciamo ancora.


(Era entrata chissà quando

pianino, nessuno l'aveva vista

o forse un bambino.)


(da "Poesie 1972-2002", Mondadori, Milano 2002, p. 207)

domenica 7 luglio 2024

I ragni nella poesia italiana decadente e simbolista

 Quando i poeti italiani decadenti e simbolisti parlano di ragni, spessissimo fanno esclusivo riferimento alla ragnatela: trama di sottilissimi fili che gli aracnidi costruiscono per catturare le loro prede. In questi casi, sempre ne consegue un accostamento alle vicende ed ai comportamenti degli umani; c’è chi - come il Chiaves - li giudica in modo negativo, poiché sono trappole simili a quelle ordite da persone scaltre e malevole; c’è chi ammira la pragmaticità della ragnatela, al contrario della inconcludente trama di pensieri che si susseguono nella testa del poeta per l’intera giornata, e che non portano a un bel nulla; c’è anche chi ritiene le tele dei ragni come qualcosa d’estremamente effimero, che si dissolve con un po’ di pioggia e di vento; il Piazza paragona l’opera di un ragno che si trova sul soffitto della sua misera stanza, a quella del suo cervello, dal quale scaturiscono le sue “memorie segrete”; ma se il ragno, dopo un turbine di vento distruttore, pazientemente ricomincia a tessere la sua ragnatela, il poeta, che ha visto similmente la sua opera dissolversi, non è più in grado di ricreare alcunché.

 

 

Poesie sull’argomento

 

Gustavo Botta: "Partenza" in "Alcuni scritti" (1952).

Enrico Cavacchioli: "Il ragno" in "Le ranocchie turchine" (1909).

Carlo Chiaves: "Ragnateli" in "Sogno e ironia" (1910).

Guglielmo Felice Damiani: "Il ragno che fila" in "Lira spezzata" (1912).

Alessandro Giribaldi: "Tela di ragno" in "I canti del prigioniero" (1940).

Guido Gozzano: "La statua e il ragno crociato" in "La Riviera Ligure", marzo 1913.

Arturo Graf: "Ragni" in "Medusa" (1890).

Pietro Mastri: "Ragnateli estivi" in "L'arcobaleno" (1900).

Giuseppe Piazza: "La spola" in "Le eumenidi" (1903).

Francesco ed Emilio Scaglione: "Conversazione minima" in "Limen" (1910).

 

 

 

Testi

 

RAGNI

di Arturo Graf (1848-1913)

 

Davanti a un foro per lungo e per largo

Distende il ragno la sua fragil tela;

Ed io de’ miei pensier la tela spargo

Sopra l’abisso che ogni cosa cela.

 

Ei nella rete onde si cinge intorno

Acchiappa il moscherin che in aria frulla:

Io sto sui miei pensier la notte e il giorno

E non ci colgo un maledetto nulla.

 

(da "Medusa", Loescher, Torino 1890, p. 168)

 

 

 

 

LA SPOLA

di Giuseppe Piazza (1882-1969)

 

O ragno che la ben callida rete

lavoravi sagace, or presto or lento,

mentre io, compagno a te di tetto e stento,

tessevo le memorie mie segrete,

 

poi che or le nostre opre mansuete

la violenza ruppe e spense il vento,

dopo un sussulto, giù, ratto e sgomento

percorresti la gelida parete.

 

Io non mi mossi. E pur se il tenue ordito

a rifare il tuo corpo oggi rivola,

l'angol ritroverà che 'l regga e 'l copra;

 

ma il mio cantuccio il vento ha demolito,

e ne 'l turbine ho perso anche la spola,

e la mia mano tremerebbe a l'opra.

 

(da " Le Eumenidi", Pierro, Napoli, 1903, p. 23)




Odilon Redon, "L'araignée"
(da questa pagina web)




 

giovedì 4 luglio 2024

Alcune considerazioni sul valore attribuito ai poeti ed alle poesie

 Attraverso gli anni mi sono accorto che nel mondo della poesia e dei poeti - parlo dell'Italia ma credo si possa allargare il discorso anche alle altre nazioni - vi siano delle valutazioni errate, delle ingiustificabili trascuratezze e delle sproporzioni riguardo al valore attribuito, per l'appunto, a determinati poeti e a determinate poesie. Approfondendo la conoscenza della materia, soprattutto attraverso la lettura del maggior numero di testi poetici che ho avuto la possibilità di reperire, ho notato che esistevano (ed esistono) dei poeti celebratissimi, di cui sono stati consacrati tutti i versi che hanno scritto; le tante edizioni delle loro "opera omnia" sembrano sancire una sorta d'infallibilità, ogniqualvolta si cimentassero nello scrivere poesie. Al contrario, altri poeti - che personalmente ritengo molto bravi - sono stati trascurati o, in casi più rari, ignorati dalla critica e purtroppo anche dai lettori. Per fortuna il tempo non cancella tutto, ed è possibile, per chi ne abbia la volontà, scoprire tesori nascosti anche nel campo della poesia italiana (parlo in particolar modo del XX secolo); ciò può avvenire leggendo dei saggi stampati in volume o pubblicati in riviste, in cui si parli proprio di questi poeti caduti nell'oblio. Tramite le librerie antiquarie è possibile acquistare alcuni dei volumi di questi poeti negletti, oppure, si possono leggere i loro versi presenti in riviste e giornali ormai introvabili, ma che ora, grazie alla digitalizzazione delle opere letterarie, è sempre più facile trovare nella rete (le cosiddette emeroteche digitali). Sempre su internet, in determinati siti sono a disposizione dei volumi di versi in formato ebook, di tanti e tanti poeti che nessuno conosce e che invece andrebbero letti, apprezzati e rivalutati. Io, che da quando mi sono appassionato a questa materia, ho sempre amato, al di là di chi li aveva scritti, tutti i versi "belli", non mi sono mai fossilizzato sui grandi nomi della poesia; al contrario mi hanno suscitato un'infinita curiosità quei poeti di cui, un po' per caso, avevo letto pochi versi che mi erano piaciuti alquanto, di cui non riuscivo a trovarne traccia nelle antologie e, in alcuni casi, neppure nei saggi critici. Ancora oggi, dopo tanti anni, la mia ricerca in questo campo continua; e sempre riesco - scavando e scavando - a trovare un ennesimo tesoro poetico sepolto.

domenica 30 giugno 2024

Antologie: "Melodie della terra"

 Melodie della terra è il titolo di un’ampia antologia poetica curata da Plinio Perilli e pubblicata dall’editore Crocetti di Milano nel 1997. Il sottotitolo: Novecento e natura (a cui si dovrebbe aggiungere un terzo titolo: Il sentimento cosmico nei poeti italiani del nostro secolo, presente nella prima pagina del volume, spiega meglio il contenuto di questa antologia che è, quindi, “tematica”, come dice lo stesso curatore nell’Avvertenza (pag. 6); qui, Perilli precisa che l’opera non può definirsi conclusa, poiché restano possibili delle aggiunte future; ecco, a tal proposito, un frammento della stessa:

 

[…] Antologizzare infatti una brillante e moderna serie di poeti della Natura, di liriche sulla Natura e sul sentimento rapinoso e misterico del Cosmo (dagli autori maggiori che aprono il nostro secolo, Pascoli, D’Annunzio, Gozzano, Govoni, Palazzeschi, Ungaretti… fino alle nuove care presenze e voci contemporanee), non significa – si badi bene! – un ovvio, casuale elenco di poesie sugli alberi, i mari, i fiumi, i fiori, i tramonti o i gabbiani! Ma piuttosto adempire e rintracciare in tanti ideali e destini creativi una matrice forte, un radicato denominatore comune, ispirato e potenziato dallo specchio interiore o dall’esempio concreto, dalla presenza amplissima e quotidiana della Natura cui apparteniamo, obbediamo.

 

Per quanto invece concerne la scelta dei testi antologizzati, il curatore dice:

 

La scelta dei testi, ovviamente, ha un mero valore esemplificativo in rapporto alla poetica e al punto di vista “naturistico” del singolo autore. Altrimenti, in proporzione al maggior peso storico, quante pagine sarebbero spettate a Pascoli o D’Annunzio, Ungaretti o Montale, eccetera? Conta, insomma, la citazione scelta, l’exemplum lirico, la variegata campionatura, il differente tono della voce… Più vasta e argomentante la disamina contemporanea, anzi attualissima: tutti gli autori, per la stragrande maggioranza in piena attività, miglior documento, e in progress, dell’inquieta temperie del presente.

 

In effetti, il libro ha le caratteristiche di un vastissimo repertorio della poesia “naturistica” italiana novecentesca, che però, a mio parere, trascura decisamente il primo trentennio del secolo, mentre privilegia l’ultimo. Ciononostante, l’opera antologica risulta assai interessante, dall’introduzione a tutte le restanti parti, siano esse prettamente antologiche o esclusivamente critiche; in queste ultime, il lettore ha la possibilità di scoprire una grande quantità di poeti spesso poco valutati o scarsamente ricordati, e, di conseguenza, ha anche l’opportunità di approfondire ulteriormente la loro conoscenza.

Il volume, di 574 pagine, possiede una precisa struttura: tre principali sezioni che portano il titolo delle fasi del giorno (simbolizzanti le parti del XX secolo): ALBA, MEZZOGIORNO, TRAMONTO; fa seguito, a chiusura, un’APPENDICE. Le sezioni, a loro volta, si dividono in varie sottosezioni o paragrafi, dai titoli assai fantasiosi, in cui la parte antologica è sempre preceduta da una sorta di presentazione; anche prima dei versi dei poeti antologizzati, si può leggere una breve dissertazione che li riguarda, in cui possono comparire i nomi di altri poeti strettamente collegati per età e per affinità poetica (con brevi citazioni dei loro versi). Una di queste sottosezioni, è dedicata esclusivamente ai poeti dialettali. Per quel che concerne l’APPENDICE, essa si sostanzia in una sola, lunga sottosezione, in cui vengono raggruppati – con molte citazioni in versi – i poeti delle ultime generazioni del Novecento esclusi dalla selezione antologica. Ecco, infine, tutti i nomi dei poeti antologizzati, e delle sezioni o sottosezioni in cui sono incasellati.

 

 

MELODIE DELLA TERRA. Novecento e natura

 




ALBA

 

1)     “Terrestrità del sole”

Primo Novecento alba e crepuscolo

 

Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Guido Gozzano, F. T. Marinetti, Dino Campana, Arturo Onofri, Clemente Rebora, Corrado Govoni, Giovanni Papini, Piero Jahier, Aldo Palazzeschi, Vincenzo Cardarelli, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro, Ada Negri, Sibilla Aleramo

 

2)     “Odore di eucalyptus”

Parabole ermetiche

Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo

 

3)     “Il moto delle cime”

Altri ermetismi

Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Piero Bigongiari, Tommaso Landolfi, Lucio Piccolo, Lorenzo Calogero

 

4)     “Le valli azzurre”

Surrealismi d’idilli

Carlo Betocchi, Sergio Solmi, Diego Valeri, Giorgio Vigolo, Adriano Grande, Sandro Penna, Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Libero De Libero, Guglielmo Petroni, Antonia Pozzi, Daria Menicanti, Fernanda Romagnoli

 

5)     “Le stelle cadono accese”

Poeti/Artisti

Ardengo Soffici, Scipione, Luigi Bartolini, Filippo De Pisis

 

 

MEZZOGIORNO

 

6)     “Margherite e rosolacci”

I fiori del realismo

Cesare Pavese, Rocco Scotellaro, Carlo Levi

 

7)     “Sono povere foglie”

Microcosmi e dialetti

Giuseppe Pacotto, Eugenia Martinet, Delio Tessa, Franco Loi, Franca Grisoni, Virgilio Giotti, Biagio Marin,     Giacomo Noventa, Ernesto Calzavara, Pier Paolo Pasolini, Amedeo Giacomini, Edoardo Firpo, Cesare Vivaldi, Paolo Bertolani, Cesare Zavattini, Tonino Guerra, Raffaello Baldini, Tolmino Baldassari, Franco Scataglini, Gabriele Ghindoni, Antonio Carlo Ponti, Trilussa, Mario Dell’Arco, Vittorio Clemente, Eugenio Cirese, Salvatore Di Giacomo, Tommaso Pignatelli, Achille Serrao, Nicola G. De Donno, Dante Maffia, Albino Pierro, Francesco Guglielmino, Vann’Antò, Ignazio Buttitta, Nino De Vita, Pietro Mura, Salvatore Casu, Francesco Masala, Ignazio Delogu

 

8)     “Se la materia può risponderci” …

Lezioni di fisica e Galatei in bosco…

Vittorio Sereni, Franco Fortini, Andrea Zanzotto, Elio Pagliarani, Nelo Risi, Luciano Erba, Giorgio Orelli, Umberto Bellintani, Roberto Roversi, Paolo Volponi, David Maria Turoldo, Danilo Dolci, Giovanni Testori, Primo Levi, Anna Maria Ortese, Margherita Guidacci, Maria Luisa Spaziani, Cristina Campo, Giovanna Bemporad, Elio Filippo Accrocca, Bartolo Cattafi, Giovanni Giudici, Angelo M. Ripellino, Giuseppe Bonaviri, Guido Ceronetti, Fernando Bandini, Giovanni Raboni, Emilio Villa, Edoardo Cacciatore, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Antonio Porta, Amelia Rosselli, Alda Merini

 

 

TRAMONTO

 

9)     “La rinascita delle Grazie”

Neomiti e orfismi contemporanei

Giuseppe Conte, Milo De Angelis, Mario Baudino, Roberto Mussapi, Enzo Di Mauro, Rosita Copioli, Roberto Carifi, Maura Del Serra, Nadia Campana, Alessandro Ceni, Beppe Salvia, Remo Pagnanelli, Marco Tornar

 

10)  “I luoghi persi”

Realismi lirici e riti di memoria

Umberto Piersanti, Nico Orengo, Fabio Doplicher, Tommaso Lisi, Pier Luigi Bacchini, Cristanziano Serricchio, Tommaso Di Ciaula, Vito Riviello, Dario Bellezza, Elio Pecora, Renzo Paris, Francesco Serrao, Claudio Damiani, Marco Lodoli, Michele Sovente, Antonio Facchin, Luigi Fontanella, Domenico Adriano, Ennio Cavalli, Fabio Pusterla, Antonio Riccardi

 

11)  “Nature e venature”

Giardini freddi e lirismi concettuali

Franco Cordelli, Giampiero Neri, Camillo Pennati, Silvio Ramat, Maurizio Cucchi, Valentino Zeichen, Gregorio Scalise, Renato Minore, Francesco P. Memmo, Gianfranco Ciabatti, Valerio Magrelli, Paolo Ruffilli, Eugenio De Signoribus, Marina Pizzi, Daniela Marcheschi, Armando Patti, Daniele Bollea, Fernando Acitelli

 

12)  “Nostalgia dell’acqua”

Voci e incanti di donna

Luciana Frezza, Gabriella Leto, Jolanda Insana, Mariella Bettarini, Donatella Bisutti, Biancamaria Frabotta, Anna Cascella, Vivian Lamarque, Patrizia Cavalli, Giovanna Sicari, Valeria Rossella, Laura Canciani, Maria Clelia Cardona, Liliana Ugolini, Marcella Corsi, Patrizia Valduga, Giulia Perroni, Luciana Notari, Paola Zampini, Antonella Anedda, Anna Maria Farabbi

 

 

APPENDICE

 

  “Le notizie dei venti”

  Altri percorsi. Più esperte o nuove poetiche, ricche voci salienti

 

domenica 23 giugno 2024

Poeti dimenticati: Giuseppe Manni

 Nacque a Firenze 1844 e ivi morì nel 1923. La svolta della sua vita avvenne a 24 anni, quando divenne frate scolopio. La passione per la poesia lo accompagnò per tutta la vita, come dimostra la sua copiosa vena poetica, evidenziata nei volumi che andò pubblicando negli anni, compresi quelli della vecchiaia. Fu un carducciano sui generis, perché abolì quella sorta di paganesimo presente nei versi del poeta toscano, in favore di un'ispirazione cristiana (e in questa peculiarità mostrò anche una certa vicinanza con la poesia di Giacomo Zanella). Come affermò il critico G. A. Pellegrinetti, il meglio della sua opera in versi, non risiede nelle liriche religiose e patriottiche, ma in quelle più umili, magari ispirate da amori giovanili, da paesaggi incantevoli o da piccole gioie quotidiane.

 

 

Giuseppe Manni in un bassorilievo di Dante Sodini

 

Opere poetiche

 

"Rime", Chiesi, Firenze 1884.

"Rime", nuova ed. aumentata, Le Monnier, Firenze 1900.

"Nuove rime", Le Monnier, Firenze 1903.

"Novissima", Le Monnier, Firenze 1917.

"Poesie scelte", Le Monnier, Firenze 1924.

 

 

 

Presenze in antologie

 

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 216-218).

"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 1175-1178).

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 392-395).

"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 126-128).

"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. IV, pp. 217-224).

"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp.392-395).

 

 

 

Testi

 

 

IL MARE

PER ALBUM

 

Se da contrari venti

turbato il mar s'annera e sopra il flutto

cresce mugghiando il flutto;

io, da 'l colle ove sorge

bianca, Alfredo, la tua villa ospitale,

guardo con fronte mesta

la superba tempesta,

e fra me dico: tale

è la vita mortale.

 

Se tace ogni aura intorno e l'onda posa,

ugual, silenziosa

fin laggiù dove arriva

la vista, e dove a l'acque il cielo è riva;

allora, riguardando, a poco a poco

neir animo rapito

ogni pensier si tace:

navigo in sogno verso l'infinito,

sento l'eterna pace.

 

(da "Rime", Le Monnier, Firenze 1900, pp. 30-31)

 

 

 

 

OTTOBRE

 

Amo il pallido Ottobre. E nel pensoso

suo volto l'ombra di chi piange morti

i suoi tempi felici, e di conforti

schivo s'attende all'ultimo riposo.

 

Con lui s'attristan sotto il nuvoloso

cielo i casali nella nebbia assorti,

mentre pensan l'inverno immoti e smorti

gli alberi lungo il piano accidioso.

 

Amo l'Ottobre, ché somiglia il mio

al suo costume: anch'io veggo finita

per sempre ahimè! l'estate della vita,

 

e solo nelle malinconiose

giornate, in mezzo al pianto delle cose

penso la pace del sepolcro e Dio.

 

(da "Nuove rime", Le Monnier, Firenze 1903, p. 71)

 

sabato 22 giugno 2024

Due sonetti di Cosimo Giorgieri Contri

 Cosimo Giorgieri Contri (Lucca 1872 - Viareggio 1943) è un poeta oggi del tutto dimenticato; però, visto che gli ho già dedicato un post proprio in questo blog, non è tanto della sua poesia che qui voglio parlare, quanto di come nacque il mio interesse verso le sue opere in versi, e di come un po' alla volta riuscii nell'impresa di reperire gran parte delle sue composizioni poetiche. Circa trent'anni fa, leggendo alcune parti di volumi antologici e di saggi critici, mi accorsi che il suo nome ricorreva, in particolare quando si parlava dei poeti crepuscolari (il Giorgieri Contri veniva additato come uno dei precursori); nei dizionari di letteratura italiana e nelle enciclopedie universali, era sì possibile trovare il suo nome (tra l'altro, con la data di nascita errata), ma di lui c'era poco altro: il fatto che avesse anticipato i temi cari ai poeti crepuscolari, qualche titolo delle sue raccolte in versi e dei suoi romanzi. Incuriosito da questa trascuratezza, volli approfondire la sua conoscenza. Inizialmente faticai non poco a trovare - magari in qualche vecchia antologia - almeno una poesia dello scrittore toscano; i primi versi che, finalmente, riuscii a leggere, si trovano nel volume Dal simbolismo al deco (Einaudi, Torino 1981): bellissima antologia realizzata dal critico Glauco Viazzi. Qualche anno dopo, acquistai la raccolta Il convegno dei cipressi ed altre poesie (Zanichelli, Bologna 1922): una riproposizione, a distanza di quasi trent'anni dalla prima uscita, del libro di versi più famoso di Giorgieri Contri, seguito da una serie di ulteriori poesie inedite o quasi. In seguito comperai altri volumi poetici di Giorgieri: La donna del sogno (Lattes, Torino 1905); una ristampa anastatica di Primavere del desiderio e dell'oblio (Lattes, Torino 1903) e Mirti in ombra (Casanova, Torino 1913). Ormai credevo di avere a mia disposizione - a parte la raccolta d'esordio Versi tristi (Pozzo, Torino 1887), l'intera opera poetica dello scrittore lucchese. Poco tempo dopo compresi che leggere tutte le poesie di Giorgieri Contri era impossibile; ciò avvenne quando cominciai a sfogliare - virtualmente s'intende - alcuni periodici e riviste letterarie della seconda metà dell'Ottocento e dalla prima metà del Novecento: numerosissime erano infatti le pagine in cui compariva il suo nome, seguito da suoi versi; ovviamente, alcune di queste poesie sparse entrarono a far parte delle raccolte che ho citato, ma ve ne sono un numero cospicuo che non risultano pubblicate in volume. Poco tempo fa ebbi modo di leggere anche la versione "ebook" della raccolta più famosa di Giorgieri: Il convegno dei cipressi (Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894). Così scoprii che nella riproposizione di tale raccolta, edita, come detto, nel 1922, vi erano delle modifiche ai testi e, soprattutto, dei tagli di alcuni componimenti poetici apportati dall'autore. Ecco, per finire, due sonetti da me trascritti, tratti dalla versione originale di Il convegno dei cipressi, non più riproposti da Giorgieri Contri. 




SIBI EI FECIT


Addio. Perdonerete voi, Maria,

se penetrai la vostra anima, è vero?

Fu cotesto amor mio tanto severo,

tanto, e fu puro come un'agonia.


Io non vedrò già mai sotto il vel nero

fiorir la fronte: io non terrò la pia

man che sognai, serrata entro la mia...

Torno all'ombra, Maria, torno al mistero.


Né potrò più sognarvi io, nelle quete

fini d'autunno, errar meco pei piani

roggi da un riso limpido tenuti.


Non vi vedrò io mai sparir pei muti

viali: ahimè le vostre ignote mani

han nelle palme già l'acqua del Lete.


(da "Il convegno dei cipressi", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894, p. 36)





IL CANTO DEL GALLO

                                             (Ed. Haraucourt.)


Per la dolce notturna aura silente

muove la luna in sue candide forme:

e ingannato dal lume, al dì conforme,

cantare un gallo via pel pian si sente.


Allor nel gran silenzio e nell'enorme

quiete dell'ora, giù, lentamente,

voci di gallo arrivano repente

e par dican: Siam qua: noi non si dorme.


Tal se improvviso un duolo alza il suo grido,

dagli abissi del cuore ampii dormenti,

come un gallo alla luna il rauco strido,


di qua, di là, giungon le voci a torme,

fioche querule lunghe alte dolenti:

siamo qua, siamo qua: noi non si dorme.


(da "Il convegno dei cipressi", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894, p. 101)