domenica 3 luglio 2022

In riva al mare

 

Eran le sei del pomeriggio, un giorno

chiaro festivo. Dietro al faro, in quelle

parti ove s'ode beatamente il suono

d'una squilla, la voce d'un fanciullo

che gioca in pace intorno alle carcasse

di vecchie navi, presso all'ampio mare

solo seduto; io giunsi, se non erro,

a un culmine del mio dolore umano.

 

Tra i sassi che prendevo per lanciare

nell'onda (ed una galleggiante trave

era il bersaglio), un coccio ho rinvenuto,

un bel coccio marrone, un tempo gaia

utile forma nella cucinetta,

con le finestre aperte al sole e al verde

della collina. E fino a questo un uomo

può assomigliarsi, angosciosamente.

 

Passò una barca con la vela gialla,

che di giallo tingeva il mare sotto;

e il silenzio era estremo. Io della morte

non desiderio provai, ma vergogna

di non averla ancora unica eletta,

d'amare più di lei io qualche cosa

che sulla superficie della terra

si muove, e illude col soave viso.

 

 


 

COMMENTO

In riva al mare è una poesia di Umberto Saba (pseudonimo di Umberto Poli, Trieste 1883 – Gorizia 1957). La si può trovare, tra i libri che raccolgono una parte o l'intera opera in versi dello scrittore triestino, in Poesie scelte (Mondadori, Milano 1992) e in Tutte le poesie (Mondadori, Milano 1993); io l'ho trascritta dal primo volume citato, dove si trova a pagina 85. Ancora inedita, apparve nel primo Canzoniere che Saba pubblicò nel 1921, come ultima poesia della sezione L'amorosa spina.

Pur non essendo molto conosciuta e malgrado non mi risulti mai selezionata in alcuna antologia famosa della poesia italiana del Novecento, ritengo questa composizione in versi una delle più belle mai scritte da Saba. Certamente il tema trattato non è allegro: il poeta ricorda un momento - parafrasando un capitolo del Canzoniere - di "serena disperazione" che lo ha travolto. Tutto ciò, come spiega Saba, è avvenuto durante un giorno di festa; verso le sei del pomeriggio, il poeta si trovava sulla spiaggia (probabilmente della sua città natale), e per passare il tempo si dilettava a lanciare dei sassolini nel mare, quando, improvvisamente si avvide della presenza, tra la sabbia, di un bel coccio marrone: forse un frammento di una teiera andata da chissà quanto tempo in frantumi; e guardando quel frammento ormai del tutto inutile, lo paragonò a se stesso, che evidentemente stava attraversando un periodo difficile; la sua situazione deficitaria e la depressione che ne scaturiva, lo portarono a fare un'amarissima considerazione, chiedendosi come aveva fatto, fino a quel momento della sua esistenza, a farsi allettare dalle innumerevoli illusioni che la vita offre, più o meno a tutti gli uomini, e a non amare solamente la morte: unica eletta perché sicura, non ingannevole e in grado di porre fine a qualsiasi tipo di sofferenza. Si nota, in questi versi, l'attenzione particolare che l'autore attribuisce ai colori degli oggetti che vede e del paesaggio; precisamente, tali colori posti in risalto sono due: il marrone del coccio ed il giallo della vela che si riflette anche nel mare. Questi, che in genere non sono associati a sentimenti dolorosi o tristi, in questo caso divengono i simboli della disperazione del poeta.

 

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